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Padre e figlio

Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film

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La recensione su Padre e figlio

di Peppe Comune
8 stelle

Aleksei (Aleksei Nejmyshev) è un giovane ragazzo che frequenta la scuola militare e vive con il padre (Andrei Shchetinin) a San Pietroburgo in una casa che da sui tetti, tra abbaini e passerelle sospese nel vuoto. La madre è morta e tra i due si stringe un rapporto di così intensa complicità che arriva a farsi simbiotico. L'appartamento in cui abitano rispecchia la loro estranietà al mondo che c'è fuori, la sacralità delle loro abitudini e dei loro ricordi. Ma entrambi sanno che la vita porterà all'inevitabile separazione e in entrambi si insinua il sospetto che forse è questa la cosa più giusta da farsi se non si vorrà affossare il loro amorevole rapporto nell'improduttiva abitudinarietà dei gesti.

 

 

Immersi da Aleksandr Sokurov in un'atmosfera giallognola e gelatinosa, sospesa tra ciò che è e ciò che si vorrebbe che fosse, padre e figlio danno forma e sostanza a un mondo a parte, fatto di sentimenti forti e contrastanti, del coraggio di sfidare continuamente il vuoto e il timore di abbandonarsi alla solitudine. Un mondo costellato di incubi e abitato da un passato che non ritorna, regolato dai rimorsi per le cose che non si sono fatte e retto dalla reciproca essenzialità emotiva. L'amore per la madre che non c'è più fortifica un rapporto filiale nel segno della comune nostalgia per un equilibrio familiare ormai interrotto per sempre. I loro corpi che si cercano riflettono la necessità per entrambi di porre rimedio a un dolore straziante, di riempire un'assenza con una presenza più forte. "L'amore del padre crocifigge, l'amore del figlio è crocifisso", ripete più volte Aleksei, che con queste parole da il senso dell'ambivalenza di un rapporto filiale vissuto in modo così totalizzante. Un amore capace di rimarginare ferite, di colmare vuoti esistenziali, ma anche suscettibile di imprigionare i corpi e le menti in una dimensione spazio temporale sempre fissa al punto di partenza, immobilizzata in un eterno presente. I continui esercizi ginnici del padre, la continuazione della sua carriera militare intrapresa dal figlio, la gelosia della ragazza di Aleksei per l'intimità che ha col genitore, il fatto che questa venga mostrata sempre dietro una finestra o un inferriata, l'arrivo di un ragazzo che è alla ricerca del padre scomparso, per me danno corpo ad una polifonia di segni che indicano, tanto la loro difficoltà di affrancarsi da un passato che ha messo solidi radici e di guardare avanti sfidando l'imprevedibile, quanto il tentativo di aprirsi alla vita che scorre, di vivificare il loro stesso rapporto rompendo le barriere che li dividono dal mondo che è oltre di loro. Sentimenti che si intrecciano, che sembrano essere alla ricerca di un nuovo equilibrio, con basi più solide delle passerelle o i tetti innevati su cui padre e figlio si incamminano senza paura di sfidare il vuoto che come una voragine si estende sotto di loro. Dove ci conducono tutti questi segni ? Alla Russia che non sa pensare al futuro, perennemente in bilico tra la gloria di una storia millenaria e un presente gravido d'incertezze probabilmente. O a qualcos'altro. Quello che è certo è che l'incontro con l'arte è sempre un'incontro con la semiologia, ovvero, con quell'insieme di segni che una determinata espressione artistica produce e che ognuno interpreta secondo una propria particolare percezione delle cose o stato emotivo. Quando questo naturale esercizio ermeneutico porta a delle conclusioni ragionevoli e ben motivate, si può pacificamente asserire che esso è stato condotto nel pieno rispetto dell'intelligenza e dell'autonome capacità critiche di ognuno. Con un cinema assai figurativo, sempre pervaso di poesia e simbolismi di ogni sorta come quello di Aleksandr Sokurov, lo stimolo a praticarlo è molto accentuato così come alta è la possibilità che si finisca fuori strada per eccesso di fantasiosità interpretativa.

 

 

 

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