Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
Il film di Daniele Vicari ha una sua onestà nel raccontare un certo modo di intendere la vita. Riuscendo ad evitare stereotipi e personaggi da televisione, il film si sviluppa come una storia di formazione da una parte (Claudio) e come la rivincita, seppur parziale, di Stefano dall’ altra. Nel mezzo una ragazza che rappresenta i lati peggiori dell’ animo femminile: la stronzaggine, l’ ipocrisia e il credersi chissachì.
Ribadendo valori come l’ amicizia maschile, il duro lavoro per guadagnarsi qualcosa e il bisogno di rapporti veri tra le persone il film si costruisce su un’ alternanza di momenti divertenti e anche riflessivi con altri in cui l’ attenzione si concentra sulle gare tra auto truccate.
Un film che rende bene la descrizione di un certo ambiente (quello dei ricchi figli di papà romani) con i loro squallidi rituali e la loro pochezza spirituale nascosta tra il rombo dei motori e l’ inconsistenza delle loro parole. A cui fa da controparte, però, la figura di Stefano che racchiude il desiderio di rivalsa su un mondo che non gli appartiene e che è costretto a frequentare per tirare avanti.
Mastrandrea è perfetto nella parte del meccanico, nelle sue origini proletarie e nel suo essere sempre in bilico tra una fragilità di fondo e delle prese di opposizione sincere e incazzate.
Il finale del film lascia la storia aperta e non conclusa ed è anche la dimostrazione di quella teoria che dice che l’ insieme dei pezzi non corrisponde con il risultato finale.
Il valore aggiunto, in questo caso, è Claudio. Un ragazzo silenzioso, solitario e forse impaurito dal mondo, ma anche l’ unico in grado di unire tutti quei pezzi che nessun altro sarebbe stato in grado di mettere insieme.
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