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Metropolis

Regia di Rin Tarô vedi scheda film

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La recensione su Metropolis

di cantautoredelnulla
8 stelle

La lotta tra il bene e il male è scontata in un cartone giapponese. La tradizione dei manga ci pone sempre davanti a simili scontri. Quello che rende interessante il film però è l'impegno che Tarô dimostra nella storia, nella sceneggiatura (che è però scostante nei risultati) e nelle tematiche principali. Così è possibile vedere che è un istinto bruto e irrefrenabile dell'uomo quello di cercare di ottenere a tutti i costi il potere. Si può seguire la storia degli uomini che costruiscono e distruggono ciò che hanno costruito senza provare il rispetto adeguato per le proprie creazioni. Così i robot iniziano una rivoluzione e gli uomini al potere li vogliono distruggere. Per fortuna non è così per tutti. Kenichi ci omaggia dell'amore irrazionale e puro di un bambino per qualsiasi essere vivente, lo zio non è insensibile di fronte a un robot e al suo destino. E al centro di tutto c'è la celebrazione e la vittoria dell'amore, del sentimento come unico mezzo di salvezza del mondo. Perfino un androide capace di provare sentimenti viene vinto da questi piuttosto che dalla sua funzione "genetica", dal suo istinto primordiale. Quindi il trionfo del bene e una domanda, la più banale e quella che non avrà mai risposta, "chi sono io?" sono le radici di questo manga. E ci lasciano sospesi in una città fantascientifica su 4 livelli, senza risposte certe, ma con la certezza che i sentimenti nobili sono quelli che possono dare un futuro all'universo. Bello l'androide angelico nel momento in cui rimane col volto metà uomo e metà robot: lotta interiore tra bene e male senza soluzione di continuità, crisi di identità sul proprio essere umano per i sentimenti e robotico per i circuiti interni.

Sulla colonna sonora

Bellissima la colonna sonora jazz che accompagna con ironia e ritmo le scene, anche quelle più drammatiche, del film. Stupenda I can't stop loving you durante le esplosioni che ricorda una scelta stilistica simile a quella di Kubrick nel finale de Il dottor Stranamore.

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