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Ararat

Regia di Atom Egoyan vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ararat

di tizbel
6 stelle

Andando al cinema con l’idea poco precisa di vedere un film che riguarda il genocidio degli armeni, per poi accorgersi che si tratta invece di un “film nel film”, lascia un po’ delusi! Nell’era televisiva, la sola rappresentazione filmica del genocidio degli armeni avrebbe potuto generare nel regista e sceneggiatore Atom Egoyan il timore di “scivolare” nella retorica e/o di creare una delle tante fiction che oggi la televisione sforna a più non posso. Questa resta solo un’ipotesi ed una volta espressa non resta che andare oltre e considerare Ararat come è stato presentato. E’ allora interessante considerare il “gioco degli spettatori a più livelli di rappresentazione cinematografica”: la rappresentazione alla quale stiamo assistendo noi, pubblico in sala, e quella alla quale stanno assistendo i protagonisti del film di Egoyan nel set del film di Egoyan-Saroyan. In questo gioco, la mdp di Egoyan-Saroyan ci fa esperire le violenze subite dal popolo armeno da parte dell’esercito turco nel 1915 fino a che, allargando il campo, la stessa mdp diventa stavolta quella del solo Egoyan che ci fa vedere come gli spettatori del set assistono alle scene del film nel film. Questa operazione è probabilmente una ricerca sul sentimento di odio presente nella natura umana, su come esso possa essersi generato e, più precisamente, che cosa resta di questo odio oggi, dopo che le generazioni più giovani sono venute a conoscenza dei tremendi fatti del passato. Ecco che una buona rappresentazione cinematografica (quella di Saroyan) può far penetrare negli articolati meandri di quell’odio anche il giovane Raffi, nato in Canada ma di sangue armeno, quando assiste alle malvagità del funzionario turco interpretato da Alì. E’ interessante inoltre il confronto verbale che questi due avranno quando Raffi accompagnerà a casa Alì e quando poi gli porterà la bottiglia di champagne offerta da Saroyan. Viene qui rappresentato un tentativo di capire qual è l’origine di quell’odio e se esso possa essersi tramandato negli anni tra i due popoli, quello turco e quello armeno, attraverso i legami di sangue di più generazioni: Raffi sente che qualcosa gli appartiene di quell’odio mentre Alì, forse più saggiamente, fa notare che si tratta di un odio che a loro non riguarda, perché nati entrambi in Canada, e che fa parte di un passato lontano (magari da dimenticare). Questa ricerca e la tecnica utilizzata da Egoyan per rappresentarla rendono abbastanza bene come avrebbero reso bene le scene del solo film di Egoyan-Saroyan perché poco retoriche e abbastanza crude tanto da non doversi beccare l’etichetta stilistica della fiction televisiva. Per chi scrive, purtroppo il film perde di spessore a causa delle troppe “storie satellite” del tema centrale, le quali invece, per chi conosce meglio l’opera di Egoyan, potrebbero richiamare i suoi eventuali stilemi cinematografici. Per “storie satellite” si intendono: la diatriba tra Ani e Celia sulla morte del padre di quest’ultima; la storia d’amore tra i due “fratellastri”; le ricerche di Raffi alle pendici del monte Ararat dove viene coinvolto da una guida locale nel trasporto di eroina, in una sorta di “scambio di favori”; Raffi che (forse) ignora il contenuto delle scatole dove ci dovrebbe essere la pellicola e poi David, alla dogana, scopre che invece c’è eroina; ancora una volta l’ignoranza di Raffi che può essere solo presunta visto che poi si scopre che l’eroina ha qualcosa a che fare con Celia; infine, il giorno prima della pensione, David scoprirà il contenuto di quelle scatole e, nonostante ciò, lascerà andare Raffi e poi riconoscerà che il suo atto buono è merito di suo figlio Philip che, quasi all’inizio del film, gli aveva chiesto di cambiare atteggiamento se voleva continuare a vedere il nipote. Insomma tutta una serie di sequenze che fanno “sparpagliare” il carico di contenuti ed il carico emotivo del film. Non resta che l’amara conclusione sul fatto che se il film avesse riguardato la sola tragedia degli armeni o avesse insistito sulla ricerca sull’odio, con la particolare rappresentazione cinematografica scelta, avrebbe sicuramente reso più. Verrebbe quasi da fare una classica considerazione da critica cinematografica: un occasione persa! Peccato!

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