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La zona d'interesse

Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film

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La recensione su La zona d'interesse

di Gangs 87
10 stelle

Rudolf Höss, comandante di Auschwitz, vivi con la sua famiglia in una casa con giardino che la moglie Hedwig si impegna a rendere bella e accogliente. Al di là del muro di cinta, l’orrore del campo di concentramento non scalfisce i loro sogni e i loro progetti di vita. Quando Höss viene promosso a vice ispettore di tutti i campi di concentramento del Reich la famiglia sembra costretta al trasferimento ma Hedwig si opporrà con tutta sé stessa e sarà solo il sacrificio di Höss che riuscirà a porre rimedio all’altrimenti inevitabile declino familiare. Al di là del muro di cinta sempre e solo l’orrore del campo di concentramento.

 

Jonathan Glazer cela allo sguardo il ripugnante scempio dei campi di concentramento ma lascia che le orecchie ascoltino, ogni rumore, ogni lamento. Utilizza molto il suono Glazer, lo fa in modo concreto e con grande competenza. Fin dall’inizio è ben chiaro che, il suono, avrà un ruolo fondamentale nella narrazione, tanto che il regista, prima di mostrarci qualsiasi cosa, ci lascia a schermo nero per diversi minuti, con in sottofondo un audio avvolgente, penetrante e disturbante.

 

A rendere diverso e al contempo angosciante la pellicola però non è tanto ciò che Glazer decide di non mostrare quanto quello che decide di farci vedere. Se il cinema è avvezzo ai film che raccontano lo sterminio degli ebrei, e sono diverse le pellicole che negli anni hanno insistito sulla crudeltà della soluzione finale, se ogni regista che ha deciso di trattare il tema ci aveva portato all’interno delle mura di cinta e filo spinato che circondavano i noti luoghi di orrore, Jonathan Glazer decide di andare oltre. Oltre il muro. Dalla parte dei carnefici.

 

La zona d’interesse diventa appunto quel lembo di terra che non è mai stato l’oggetto della nostra curiosità. Quando mai ci siamo chiesti cosa facevano nel tempo libero le SS, quali erano i loro sogni i lori obiettivi? Quando mai li abbiamo pensati come esseri umani con vizi e virtù? Il cervello mai è riuscito a concepire un pensiero di normalità pensando agli esecutori del genocidio. Ma c’è un prezzo da pagare per coloro i quali si sono semplicemente trovati dalla parte fortunata del muro di cinta?

 

Jonathan Glazer racconta questo, più o meno. Non tanto, come l’ha definita qualcuno la “banalità del male” quanto la sua normalità. Generata dalla cieca e inoppugnabile convinzione di essere dalla parte giusta. La famiglia Höss trascorre le giornate in allegria, tra compleanni e pranzi in giardino, tuffi in piscina e ospitalità familiare, ad un certo punto Hedwig inviterà anche la madre a trascorrere qualche giorno nella loro splendida villetta, progetti di giardinaggio e mura da innalzare sempre di più, nell’estremo tentativo di nascondere il più possibile alla vista ciò che non può sfuggire alle orecchie e all’olfatto.

 

La pellicola di Glazer, liberamente tratta dall’omonimo romanzo di Martin Amis, non punta mai il dito, non intende farlo minimamente. La pellicola di Glazer ci mostra l’essere umano, la crudeltà che da esso può scaturire e l’indifferenza che da esso si genera. Per quanto tenti di mostrare il lato umano, attraverso una ragazza che semina mele di notte per provare a sfamare gli umani imprigionati, non ci riesce, la sua immagine infatti compare sempre come il negativo di una foto, presente ma mai veramente definita, mai sufficiente.

Nessuno può uscirne indenne dal racconto di Glazer. Neanche noi, umani del futuro che a Rudolf Höss sembra scorgere in fondo ad un buio corridoio dell’edificio in cui lavora; donne che puliscono forni crematori e passano aspirapolveri nelle camere a gas con la stessa normale indifferenza che accomuna la famiglia Höss.

 

E credo che sia proprio per questo che si parla così tanto de La zona d’interesse, per quel muto senso di colpa che ci trasmettiamo di generazione in generazione; ormai fa così parte di noi che neanche lo sentiamo più, eppure c’è, manovra ogni gesto e ogni pensiero perbenista e nasconde, con il migliore dei muri di cinta di illusione e falsa innocenza, tutto il terrore della colpevolezza (fintamente inconsapevole) che ci attanaglia.

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