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La zona d'interesse

Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film

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La recensione su La zona d'interesse

di EightAndHalf
8 stelle

La zona di interesse è quella della casa del comandante SS di Auschwitz, il generale Höss, e della sua famiglia - moglie, 3 figli, a un certo punto anche una suocera. Una casa indagata e ispezionata da Jonathan Glazer in ogni suo interstizio, scansionata in sincronia coi movimenti dei suoi abitanti: i corridoi, le stanze da letto, il giardino di ingresso, il grande orto con serra, il vialetto coi fiori. La zona è questa, un piccolo paradiso. Fuori, sul retro e intorno all’orto, le austere casermone di uno dei campi di concentramento più sanguinosi del Terzo Reich: una sinfonia rumorista di urla, ordini in tedesco, spari, urti, rimproveri, preghiere. La musica di Mica Levi raccorda i segmenti di questo perenne e angosciante sottofondo, uno squarcio velenoso fra i mobili, i tavoli apparecchiati, le chiacchierate della signora Höss con le amiche, i giochi del piccolo Höss coi soldatini. 

Questo è il set di The Zone of Interest; ed è quello che si è letto quasi ovunque fin dalla sua presentazione a Cannes. Un presupposto agghiacciante e all’apparenza concettualmente asfittico, di potenziale entomologia post-hanekiana, tanto più che è prodotto dalla stilosa e sempre catchy A24. E invece Glazer va altrove e arricchisce le sue premesse, perché le sue “camere di sorveglianza” dentro casa Höss tornano simili ma non uguali, e ogni situazione è sempre vista da più prospettive, come se la camera di Glazer a sua volta accerchiasse i suoi personaggi, ribadendo che si tratta di un assedio al contrario, oltre che di un non-horror del fuoricampo. A ribadire che non è entomologia perché non esiste un solo approccio, non esiste un solo risultato, non capiremo la dimostrazione, falliremo a capire il calcolo.

Ne deriva il rapporto col fuoricampo: non si tratta solo di dire che la famiglia Höss ignora il mondo attorno a loro. Sono tutti ben coscienti, invece, e tutti elaborano a modo loro, tra la volontà luciferina di creare un’assurda oasi di pace, la sensazione di dover adempiere a un dovere, una fuga e vari casi di insonnia. Lo stile di vita degli Höss è insintetizzabile, ed è per questo che Glazer lo sguardo entomologico non ce l’ha proprio, non ha nulla di clinico né di chirurgico. La sua scatola infernale assomiglia di più a una sfilata di design, a un libro di arredamenti, a uno showreel di mobilio borghese, con ogni pagina diversa dall’altra; la varietà umana della famiglia Höss è aliena, e la loro casa è un’astronave arrivata su un pianeta che sta attraversando l’Apocalisse. Ancora Under the Skin, ancora magie incantatrici per ingannare altre vittime, ancora una sintesi post-umana quando l’umano è già finito.

Esperienza sinfonica, infernale, paurosa, The Zone of Interest strangola i sensi in tutte le sue diverse direzioni stilistiche: i tre momenti colorati e svuotanti, gli orrori più evidenti tagliati di netto da bruschi stacchi di montaggio, le camere termiche in cui una semplice bambina può diventare una strega, il “salto” prefinale che museifica l’orrore, i segmenti finali in cui Höss va a Orianenburg e sta male perché non vedere il muro del campo in una città totalmente ariana non rende quel muro meno lontano, quel male meno pressante, quel tumore più digeribile. Questo film è davvero un’esperienza cosmica, che indaga le nostre idee di civilizzazione, famiglia e memoria costringendoci a viverle come pugnalate, con un costante senso di vomito e di panico. Finora, il più grande horror (kubrickiano) dei giovani Anni Venti del 2000.

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