La recensione su La promessa

“Lei mi promette che lo scoprirà?”

“Si, signora Larson…io lo prometto”

Quello di Jerry Black è un giuramento sincero, fatto ad una madre distrutta che piange la morte della figlia di dieci anni, stuprata e uccisa da un mostro invisibile nel mezzo di una foresta innevata, Jerry promette di prendere il responsabile, lo giura sulla sua anima davanti ad una piccola croce fatta dalla stessa bambina, è un atto dovuto, necessario, inevitabile.
Ma Jerry è un poliziotto ormai in pensione, quella che decide di prendere è l’ultima chiamata di un lunga carriera, ad attenderlo ci sono le sue canne da pesca e un biglietto comprato dai colleghi per il Messico, un percorso già scritto che subisce invece una svolta decisiva.
E’ il fato (benevolo, maligno, imparziale?) a decidere per lui, ci mette lo zampino portandolo nella casa dei Larson, faccia a faccia con una donna disperata, davanti ad una promessa che è come una condanna; e qualcosa scatta nella mente del poliziotto, come una porta che si apre davanti agli abissi della follia, Jerry varca questa soglia invisibile incapace di tornare indietro.

Tratto da un romanzo di Friedrich Dürrenmatt (Das Versprechen 1957) la terza prova in regia di Sean Penn è un thriller anomalo, fascinoso e cattivo come pochi altri, un film che pur rispettando tutti gli stilemi del genere e le regole di un percorso narrativo consolidato, ne prende allo stesso tempo le distanze preferendo una deriva più intimista e drammatica, scavando l’anima di un protagonista ossessionato e perdente reso in modo magistrale da un grandissimo Jack Nicholson.

Quello di Jerry è un personaggio complesso e sfaccettato, nel corso del film intraprende un viaggio senza ritorno che lo definisce in tutti i suoi pregi e difetti (i limiti evidenti della natura umana), ci viene presentato un uomo comune che lotta per il bene ma che finisce travolto da un ossessione che ha il sapore della perdizione.
Il suo bisogno di giustizia è forte, la sua promessa un fardello pesante da portare, ma la realtà è che nessuno gli presta più attenzione, alla fine è solo un pensionato come tanti altri, i colleghi che una volta lo rispettavano ora lo guardano con sospetto, non lo capiscono, non gli credono, gli consigliano di lasciar perdere.

Ma per loro è facile, loro non hanno giurato, non hanno giurato sulla croce di una bambina morta.

E così questo personaggio tragico non ha scelta, deve giocare la sua partita e sfidare il male, lottare contro tutto e tutti, lottare contro se stesso e il suo bisogno di verità e giustizia, sfruttare indegnamente l’amore di una donna maltrattata e le carezze di una bambina innocente, giocarsi tutto quello che gli rimane e infine perdere, sconfitto dallo stesso fato (benevolo, maligno, imparziale?) che l’aveva messo sulle tracce di un fantasma imprendibile.

Sean Penn firma un bellissimo film, come lo erano, anche se in misura minore, i due precedenti (Lupo solitario e Tre giorni per la verità), con La promessa tocca delle vette registiche notevoli, perfezionando uno stile personale che nel corso degli anni si è fatto sempre più caratteristico.
La cifra stilistica di The Pledge si esprime nei contrasti tra primi piani sofferti e gli intensi campi lunghi, nell’esaltazione di uno scenario invernale freddo e inospitale, cruda cornice di una sofferenza interiore presente nel cuore di tutti i personaggi, dal declino mentale del protagonista, al calvario delle anime incontrate lungo il suo cammino d’indagine, tutte figure toccate (marchiate) profondamente dal male.
In questo il regista viene aiutato da un cast veramente notevole, in ruoli secondari troviamo un gruppo di attori di grandissimo livello, tutti in grado di elevare le sequenze girate a momenti di grande emotività e senso drammatico; Vanessa Redgrave, Mickey Rourke, Benicio Del Toro, Sam Shepard, Aaron Eckhart, Robin Wright Penn, Harry Dean Stanton, Helen Mirren, Tom Noonan, Patricia Clarkson.

Tuttavia quello che fa di questo La Promessa un grande film è senza dubbio la sua natura ambivalente, il suo inserirsi nel genere stravolgendone le regole primarie, quella di Penn è una rilettura personale che rifugge ogni sensazionalismo, scordatevi inseguimenti e scene action, la tensione nasce e si sviluppa prima di tutto nel corpo e nella mente dei personaggi, ed è una tensione a tratti insopportabile.
Dove prima c’era la logica, c’erano schemi consolidati e percorsi da seguire adesso domina il caos, un caos beffardo che si diverte a giocare con il protagonista lasciandolo alla fine solo e sconfitto, a vagare sperduto nei desolanti territori della follia.
Finale di rara cattiveria, ingiusto come spesso è ingiusta la vita, dominata da eventi che nessuno può controllare, decisa da episodi e scelte che appaiono inevitabili e che forse lo sono davvero, ma la cruda verità è che Jerry non ha mai avuto nessuna scelta, come un pesce di acqua dolce preso all’amo del fato e lentamente portato a galla, dove l’aria comincia a mancare e la mente si perde in granelli di sabbia.

Voto: 8,5