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Requiem per un gringo

Regia di José Luis Merino, Eugenio Martin vedi scheda film

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La recensione su Requiem per un gringo

di giurista81
4 stelle

Revenge movie con una messa in scena non sempre curata e modestissimo per location, fotografia (dello spagnolo Mario Pacheco) e costumi.
La sceneggiatura ha alcuni spunti originali, tutti concentrati nella parte finale e inseriti in un soggetto trito e ritrito. Abbiamo uno straniero, interpretato dal semisconosciuto Lang Jeffries (granitico ma non male), costruito a immagine e somiglianza dello straniero protagonista in Per un Pugno di Dollari e in cerca di vendetta (vuole vendicare il fratello trucidato da una banda di messicani al soldo del solito Fernando Sancho). Vediamo così apparire il protagonista sul mulo, con un poncho leopardato (sic!) e con lo stesso cappello usato da Clint Eastwood. La "novità" sta però nel fatto che il "nostro" compare solo nell'ultimo terzo del film. La prima parte dell'opera infatti è funzionale a presentare i vari componenti della banda, in particolare i tre luogotenenti di Sancho: un indiano superstizioso che crede nelle stregonerie e che se ne va in giro con una serie di amuleti al collo (gli da corpo il grande caratterista Aldo Sambrell, truccato con parruccone e pizzo alla Tomas Milian versione monnezza), un classico pistolero spaccone tutto vestito in pelle nera con tanto di guanti e pistole tenute al contrario (lo interpreta un Carlo Gaddi che sembra esser uscito da un film di Dracula) e il solito elegantone di mezza età che contende leadership e donna (la procace Femi Benussi) a Sancho, tramando nell'ombra.
Purtroppo questa parte si rivela di una pesantezza e di una noia fin troppo marcate. Merino tenta di inserire duelli bizzarri (due uomini legati con una corda ad altrettanti pali, con uno di loro dotato di pistole prive di tamburo in modo da essere ucciso  in sicurezza dall'altro), torture con frustate in pieno volto, sparatorie crudeli con uomini uccisi dopo esser stati feriti agli arti, impiccati per spionaggio con al collo un cartellone con scritto: "Se allunghi troppo le orecchie ti si può allungare anche il collo", il tutto sotto il rigido controllo di Sancho che ride a crepapelle e si diverte con la Fenussi (bella una sua apparizione con un costume fatto di vistose collane di gioielli).
Migliorano le cose nell'ultimo terzo di film dove Merino attinge dalla propria verve orrorifica, non per nulla era un regista legato all'horror più che al western, e regala un epilogo quanto meno degno di visione (il resto è inutile) anche se non adeguatamente sfruttato a causa di una messa in scena frettolosa e non bilanciata.
Così assistiamo all'apparizione di Jeffries che destabilizza psicologicamente i tre luogotenenti sfruttando le debolezze degli stessi. Di fatto li sfida uno a uno invogliandogli facendo leva sulle relative passioni (rispettivamente la stregoneria, la conoscenza di segreti relativi alla scomparsa di una donna amata dal pistolero e interpretata da Marisa Paredes, e il controllo della banda), ma lo spettatore conoscerà l'esito dei relativi scontri solo a fine film, quando il pistolero si presenterà davanti a Sancho chiedendo di far parte della sua banda e svelando poi la morte dei tre elementi di punta del messicano, con relativi flashback offerti allo spettatore. L'indiano viene eliminato dopo che il nostro gli è apparso con un gatto nero in collo simulando di essere uno stregone (!?), mettendo così in fuga il bandito per apparirgli di volta in volta davanti in sella a un mulo (non si capisce bene come, a causa di un buco di sceneggiatura non di poco conto) fino all'inevitabile assassinio finale (dopo che Sambrell si è convinto di esser stato vittima di un'allucinazione dovuta a una roccia dalla conformazione di un uomo a cavallo). Il pistolero in pelle viene invece ucciso in una tormenta di sabbia dal forte gusto horror (sciatta la messa in scena dal momento che si vede che la sabbia è sparata con un ventilatore, senza considerare poi il mistero connesso all'improvvisa tempesta giunta proprio al momento opportuno). Macabro e spettacolare (soprattutto in chiave di ideazione) il terzo omicidio, con una processione funebre in pieno deserto (con adeguato commento sonoro di Lavagnino) e il nostro pistolero nascosto al posto di un cadavere.
Geniale, invece, l'ultimo omicidio, quello di Sancho, con il protagonista che approfitta di un'eclissi solare (bellissima inquadratura in primo piano del sole con il disco lunare nero che avanza a oscurarlo in un cielo dallo sfondo rosso fuoco) per simulare la volontà divina di porre fine alla vita del rivale. Degna di nota anche tutta la messa in scena precedente con Jeffries che beffeggia di continuo Sancho e la sua banda, gettando a terra gli amuleti dell'indiano, lo scalpo del pistolero e un ciondolo detenuto dall'uomo di mezza età ma di proprietà della donna di Sancho con cui lo stesso aveva un relazione segreta.
Dunque un western di quarta categoria che si distingue per alcune trovate dal retrogusto horror (per atmosfera) molto carine che lo elevano dalla mediocrità, ma che viene pesantemente penalizzato da una prima parte lentissima e da una messa in scena spesso sciatta. Con una maggiore cura e uno sviluppo diverso del soggetto sarebbe potuto emergere una bella sorpresa. Voto: 5.5=

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