Espandi menu
cerca
La spia che venne dal freddo

Regia di Martin Ritt vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Aquilant

Aquilant

Iscritto dal 9 ottobre 2004 Vai al suo profilo
  • Seguaci 23
  • Post -
  • Recensioni 354
  • Playlist 100
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su La spia che venne dal freddo

di Aquilant
8 stelle

“The constant gardener” ha riproposto all’attenzione del pubblico la figura di John Le Carré, ovvero dell'ex dipendente dei servizi britannici David J. M. Cornwell, autore dell’ineguagliabile “The spy who came in from the cold” opera fondamentale per la comprensione dei subdoli meccanismi spionistici che si celano nell’ombra e stritolano con i loro possenti ingranaggi le pedine umane inviate allo sbando, costrette ad un doppio e triplo gioco mortale.
Gelidamente disperato, disumanizzante, di un’asciuttezza da tagliare col coltello, il romanzo la dice lunga sull’atmosfera da guerra fredda dei primi anni ’60 ed è probabilmente da considerare una delle più significative spy story di tutti i tempi, un canto di sconfitta della dignità umana sacrificata sull’altare di una fittizia sicurezza nazionale, secondo soltanto a taluni capolavori di un altro grande della letteratura spionistica, Graham Greene, che resta comunque l’indiscusso numero uno del genere e non solo, grazie anche a significative opere letterarie come “The human factor”, “The power and the glory”, “The heart of the matter”.
Sotto certi versi “The spy who came in from the cold” è da considerare come un ideale spartiacque tra un genere di letteratura spionistica tutta imperniata sul ritmo e sull’azione (Gerard De Villiers, Adam Hall, Nick Carter, Jean Bruce, Edward S. Aarons, ovvero una nutrita schiera di autori “segretissimi”) ma quasi totalmente priva di una buona caratterizzazione dei personaggi e di un apprezzabile spessore psicologico, e le più mature opere di autori quali Ken Follett (The eye of the needle, Triple, the Key to Rebecca, the man from St. Petersburg, che restano i suoi indiscussi capolavori), Robert Ludlum (the Bourne identity, the Matarese circle, the Gemini contenders), Frederick Forsyth (The day of the jackal, the Odessa file, the dogs of war), tanto per citare dei nomi che sono sulla bocca di tutti. Romanzi portati non di rado sullo schermo, che si avvalgono solitamente di intrecci elaboratissimi e complessi, almeno per quanto riguarda Ludlum, pur non disdegnando affatto il sano gusto dell’azione. A Le Carré va comunque il merito di aver dato vita ad un’opera di agghiacciante realismo e dall’amaro e disingannato finale, dotata della stessa precisione di un orologio svizzero, che riscrive ex novo la grammatica della letteratura spionistica, facendo d’altronde tesoro dei precetti del grande Graham Greene e rendendo del tutto obsoleti i vari ammazzasette James Bond (che purtroppo continua ancora ad imperversare impietosamente sullo schermo), OS 117, Nick Carter, Sam Durell & company, eroi senza macchia e senza paura, totalmente privi di anima e di risvolti umani, fredde macchine da guerra attorniate dalle compiacenti Barbie di turno, di volta in volta immancabilmente sedotte ed abbandonate come da copione.
I meriti (od i limiti, a seconda dei punti di vista) della presente versione cinematografica curata da Martin Ritt risiedono principalmente nell’aver seguito fedelmente passo passo lo schema narrativo del romanzo, confidando nel consumato mestiere di Richard Burton e Claire Bloom, nonché di una valida schiera di attori di contorno. Considerato il carattere dell'opera originaria, appare peraltro obbligata la scelta di un bianconero sobrio, pulito, essenziale ma alquanto dimesso. Il ritmo non eccessivamente sostenuto è in perfetta sintonia con l’itinerario di morte del protagonista, antieroe per eccellenza, personaggio non di gommapiuma ma fatto di carne e sangue, e lo si vede, nera ombra nella notte che lotta per la sua vita e per quella della donna amata, avviluppato in un intricato gioco di finzioni la cui evidenza finale risulterà agghiacciante e la dirà molto lunga sulla mancanza di scrupoli da parte di coloro che reggono i fili dell’alta tensione politico-spionistica. Film di personaggi che non sono quelli che sembrano, di eroi e traditori (o viceversa) impiegati in un crudele gioco a rimpiattino, avvolti nel mistero di una pressante realtà che li tramuta in nere ombre senza spessore e consistenza in notti di gelide solitudini. Esseri manovrati a distanza dalla fitta ragnatela dei servizi segreti, accreditati di ruoli intercambiabili e buttati a capofitto in un vortice senza via di scampo.
Purtroppo l’aver adattato quasi pedissequamente le traiettorie filmiche sulla falsariga dell’opera originale alla fine finisce per nuocere allo svolgimento narrativo, specie nella prima parte, priva della necessaria efficacia in quanto impossibilitata a rendere adeguatamente in sequenze il forzato itinerario di personale degradazione da parte dell’agente Alex, personaggio che non riesce a condensare nel gelo di una perigliosa esistenza il suo caldo afflato di vita, in direzione della strada che conduce all'inferno in terra, in un percorso che rivisita a ritroso di tutti i gradini di una precaria condizione umana.
Ma non fanno difetto al film momenti di altissima tensione drammatica, ripresi, pur con una certa parsimonia, con movimenti di una macchina da presa sempre attenta alle minime sfumature, sempre pronta a sottolineare con discrezione, specie a beneficio degli spettatori a digiuno del libro, quei particolari momenti apparentemente insignificanti ma che nell’economia della storia rivestono una certa importanza. La secchezza di dialoghi tesi e fitti effettuati in alternanze di campi e controcampi getta una luce sinistra su un mondo per sua precisa scelta sporco ed equivoco, mentre i ripetuti primi piani flettono le desinenze dell’ambiguità rivelando inaspettate trame mentali fatte e disfatte in ripetuti giochi al massacro verbali e materiali. In definitiva si ha di fronte un’opera tutt’altro che tesa a stupire, non priva di momenti di sincera commozione, metafora sottile dell'inevitabile scollamento tra ragion di stato e ideologia che si verifica ogni qual volta il castello di carte dell’utopia applicata all’amor di patria crolla rovinosamente travolto dal suo stesso peso trascinando con sé esseri senza patria apparente e senza memoria.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati