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Spruzzi - Spetters

Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Spruzzi - Spetters

di kosmiktrigger23
6 stelle

Fin dagli esordi Paul Verhoeven ha già ben saldi in mente quelli che saranno i capisaldi del suo cinema: fare film turpi in cui gente turpe fa cose turpi, subisce cose turpi, si veste in modo turpe e in generale vive in modo turpe, il tutto - possibilmente - supportato da una colonna sonora atroce.

Come succede spesso il diavolo è nei dettagli, e varie scene amene dimostrano la solida poetica del regista: in  particolare mi ha colpito la scena in cui Renee Soutendijk decide di sedurre un poliziotto per evitare i controlli - il cui esito, come si comprende dopo, sarebbe stato esiziale - sul suo chiosco di friggitoria. Il fratello di lei - un individuo ributtante - cede la roulotte agli amplessi mercenari della sorella e si mette in macchina a leggere una rivista per body builders. Ecco, il dettaglio della rivista è veramente rivoltante. Stesso dicasi della scelta da parte di uno dei motociclisti dell'immondezzaio del paese per pista di allenamento, scena in cui veniamo a scoprire - en passant - che le salsicce fritte servite nel chiosco sono di cibo per cani (scoperta che non sembra sconvolgere particolarmente nessuno). E via discorrendo, tra motociclisti omosessuali stupratori, paralisi, suicidio, sbronze, gare a "chi ce l'ha più lungo", cristiani, impotenza (un fil rouge del film), misoginia.

L'opera che fa da sfondo a questo film è piuttosto esplicitamente La febbre del sabato sera, altro film sgradevolissimo, ma che poteva contare sul glamour di Travolta e sullo sfondo attraente della discoteca. Qui le vite miserande dei protagonisti ruotano intorno al motocross invece che alla disco.

In cosa sta la forza di questo film che fin ora ho descritto come una semplice parata di orrori? Io direi che è nell'atteggiamento del regista: infatti rispetto ai suoi protagonisti e alle vicende che li riguardano Verhoeven non mostra il minimo distacco. Non c'è umorismo, non c'è pudore, non c'è intellettualismo. Se un John Waters faceva film disgustosi su gente disgustosa e ne traeva prodigi di intelligenza e umorismo, Verhoeven non si presta al gioco e tratta i suoi come un cameriere tratta i piatti  che serve al ristorante: da una parte non gliene frega nulla e non ne è responsabile, dall'altra li serve in modo perentorio, autoritario, opportuno (qui naturalmente non abbiamo a che fare con fagiano ai tartufi, ma con crocchette di cibo per cani).

E' difficile spiegare la faccenda: c'è una scena in cui la bella friggitrice regala, per scherzo, a Van Tongeren un mattone per ricordare il loro primo incontro, che si era svolto in  circostanze in cui un mattone aveva avuto una parte rilevante.

Scena umoristica? Certo. E certo che no. La recitazione è perfettamente seria (seria, non straniata).

Anche nella famigerata scena della gara dei piselli non c'è la minima farsa e neppure la minima drammatizzazione. Dobbiamo, sembra dirci il regista, arrenderci all'idea che c'è gente che prende decisioni in base a chi ha il pisello più lungo. Dopotutto è un modo come un altro: se non vi piace, affari vostri.

Con questo, non c'è nessuna indagine sul realismo o e nessun rapporto documentaristico con realtà. I personaggi sono piatti ed evidenti.I loro rapporti sono piatti ed evidenti (il realismo cinematografico non punta mai, secondo me, all'evidenza della realtà, ma alla sua fotogenia).

Questa irritante disposizione consente a Verhoeven di tirare fuori dal cilindro una scena secondo me di una forza sorprendente. Mi riferisco a quando il motociclista paralizzato torna a casa e gli abitanti del suo quartiere lo accolgono con la banda (che non è nè una banda poeticamente scalcinata alla Grazie signora Tatcher, nè una banda che abbia qualche qualità a parte quella di essere una banda) e gli regalano una sedia a rotelle elettrica. Pienamente ovvio. E' storpio, hanno fatto una colletta e gli hanno regalato una sedia a rotelle. "Cos'altro dovevano fare?" mi sono sorpreso a chiedermi. E' evidente.

Naturalmente è un equilibrio talmente precario, casuale se vogliamo, che è latente per la maggior parte del film, spesso perduto (la scena del suicidio di Van Tongeren è già troppo "creativa" per reggere), ma che è sufficiente a persuadere lo spettatore a non farsi domande senza senso sul perchè o il percome possano succedere certe cose. Succedono, punto e basta.

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