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1860

Regia di Alessandro Blasetti vedi scheda film

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La recensione su 1860

di luisasalvi
10 stelle

Quasi un capolavoro. Blasetti ha fatto tesoro della lezione dei grandi registi sovietici, in particolare (oltre ad Ejzenstejn, amato e ammirato da Blasetti) di Dovzenko e forse di Barnet, e con meno enfasi e retorica di regime; forse non arriva proprio al capolavoro, i capolavori sono rari e non amo distribuire le cinque stelle come fanno molti, ma gliele do, come per il poco noto (e molto più recente) “Pagine di vita” di Barnet, che lo ricorda per molti aspetti, in particolare per il finale di pura propaganda, imposto dal regime e appiccicato ad un film che poteva essere concluso prima; Blasetti ha avuto tempo e modo di eliminarlo dopo la caduta del fascismo. Valgono per 1860 molte cose che ho detto per il film di Barnet o per Arsenale di Dovzenko; immagini rapide e staccate di tragedie e violenze tanto più potenti in quanto appena suggerite, come qui all’inizio il soldato borbonico che colpisce i picciotti caduti per verificare che siano morti o per ucciderli; altre di tenerezza tanto più emozionante in quanto appena suggerita, come quando, dopo la battaglia di Calatafimi, Gesuzza cerca il marito Carmeliddu, crede di trovarlo ferito e morente, lo volta e ne solleva il capo e vede che non è lui, ma il ferito, forse accecato o in delirio, la crede sua madre e le chiede di non lasciarlo, di tenerlo così, e lei rimanda la ricerca del marito e lo tiene così finché lui muore. Alternate, molte scenette popolari, umoristiche e folkloristiche, che alleviano la tensione ed evitano la retorica, come quando Carmeliddu “impara” e ripete ciò che ascolta dai grandi; fra le cose che ascolta, ed è notevole che siano passate sotto il regime, i diversi contrapposti commenti e progetti sull’Italia futura, da Gioberti a Mazzini, con liti fra i sostenitori delle varie proposte e speranze… In treno due italiani polemizzano così, uno si alza indignato, l’altro lo segue per continuare a discutere, e due tedeschi si seggono nei posti che loro hanno lasciato; si ritrovano insieme a Quarto, e uno osserva che è meglio non discutere e incominciare ad agire, evitando che i tedeschi ci prendano il posto… Intanto si aggiungono patrioti dell’ultima ora, che il giorno prima avevano criticato Garibaldi ma che ora ritengono utile cambiare bandiera. Dopo 150 anni (e dopo 75 dal film: esattamente la metà) è tutto ancora di attualità.

Ma il film ha una grandezza che va ben oltre i momenti di commozione o le tematiche politiche: ha una grandiosità epica raramente conseguita anche nei grandi film del neorealismo; straordinari movimenti di masse, dei picciotti e delle donne sui monti e poi durante la battaglia, coerenti alla vicenda, che vede come protagonisti i picciotti e le loro donne (ottimamente rappresentati dai due protagonisti, Carmeliddu e Gesuzza), in implicita polemica con chi vede l’unità d’Italia come frutto intellettuale o borghese cui il popolo era indifferente. Indipendentemente da considerazioni storiche, che non interessano ai fini della valutazione artistica del film, questo accento sulla corale partecipazione popolare è resa magnificamente, e viene sottolineata per contrasto dagli incontri che fa Carmeliddu in viaggio per l’Italia (la principale ragione tematica e artistica di questo viaggio, narrativamente poco giustificato), di fronte a teorici e intellettuali che si perdono in inutili disquisizioni. Anche la … presenza costante di Garibaldi, tanto più incisiva proprio in quanto non lo si vede mai se non in fugaci apparizioni da lontano e lo si sente con voce fuori campo alla battaglia di Calatafimi (dove “o si fa l’Italia o si muore”), ha una forte carica epica; così come l’uso della natura, vista a volte con lo sguardo tenero e sorpreso di Barnet, a commento tacito delle situazioni, dai monti aspri durante le dure repressioni dell’esercito austriaco alla straordinaria fioritura di mandorli con l’arrivo dei garibaldini.

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