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Togli le gambe dal parabrezza

Regia di Massimo Franciosa vedi scheda film

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La recensione su Togli le gambe dal parabrezza

di mm40
3 stelle

Durante una trasferta di lavoro, un ingegnere quarantenne carica in auto una sedicenne francese autostoppista. La ragazza è bella ed estroversa, ma soprattutto furba: irretisce l’uomo facendosi credere disponibile, ma si guarda bene dal concedersi a lui.

La voglia matta è un film diretto da Luciano Salce nel 1962; Togli le gambe dal parabrezza, per la regia di Massimo Franciosa, arriva sette anni dopo e ne sembra una sorta di remake non dichiarato, meno ispirato, più superficiale nei contenuti e anche meno impietoso nella ridicolizzazione del maschio latino fanfarone e inconcludente. La prospettiva si ribalta però immediatamente quando, nei crediti di scrittura, compare Giuseppe Berto come autore del soggetto grazie al suo racconto La ragazza va in Calabria, uscito nel 1960 in Racconti d’estate (sceneggiatura dello stesso Berto, di Franciosa, di Agostino Bonomi e di Gaio Frattini); il copione de La voglia matta risulta invece essere originale, firmato da Salce insieme a Castellano e Pipolo. Chi ha preso spunto da chi? Nuovo colpo di scena: se Salce aveva utilizzato l’accoppiata Ugo Tognazzi – Catherine Spaak (attore comico sulla quarantina più francesina graziosa trapiantata in Italia), qui Franciosa dirige Alberto Lionello e Carole André, mostrando ben poca fantasia nella scelta quantomeno della tipologia degli interpreti. E, va detto, Lionello e la André sono bravi e funzionano nel contesto, ma Tognazzi e la Spaak nel film del 1962 sono assolutamente irraggiungibili. Quanto al resto, l’opera di per sé non mostra grandi intuizioni e i momenti più godibili sono forse le proiezioni fantastiche del protagonista; la trama a ogni modo procede – talvolta zoppicando un po’, come nella scena dell’appartamento (in entrambi i sensi: l’appartamento nell’appartamento, ecco) – verso un finale ampiamente prevedibile e senza dubbio facilotto. Leopoldo Trieste e Orchidea de Santis in ruoli secondari; belle le musiche di Mario Nascimbene. Il titolo viene naturalmente da una frase contenuta in un dialogo, verso la metà del film: ma non è affatto fondamentale nel complesso del lavoro. 3,5/10.

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