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The Blair Witch Project

Regia di Daniel Myrick, Eduardo Sánchez vedi scheda film

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La recensione su The Blair Witch Project

di bamba
6 stelle

Il Cinema è un mezzo di comunicazione che ha segnato fortemente la storia del Novecento, ha scoperto un nuovo modo di vedere le cose e ha coperto un ruolo cruciale nella Modernità. Il libro “L'occhio del Novecento” di Francesco Casetti sviluppa un percorso, analizza il linguaggio che caratterizza e identifica il Cinema. Abbiamo avuto modo di trattare diverse tematiche: il senso della totalità, il senso della parzialità, il punto di vista soggettivo, il fuoricampo. Così ho deciso di applicare alcune tematiche tra cui: “Il Fuori Campo” e “Cinema come produttore di Sensazioni” sul film “The Blair Witch Project”. I giovani esordienti Eduardo Sanchez e Daniel Myrik realizzano una sorta (se così si può definire) di documentario su una presunta strega del posto (nel bosco di Black Hills nel Maryland). Il film si sviluppa attraverso un gioco, rovesciando (in maniera radicale) qualsiasi logica filmica, allontanandosi nettamente dai canoni della regia cinematografica. I movimenti di macchina a mano (con una 16 mm in bianco e nero destinata alla visione oggettiva mentre la 8 mm destinata alla visione soggettiva ) sembrano chiarire in maniera evidente la mancanza di uno “stile” ben preciso, quindi The Blair Witch Project può rappresentare la morte del Cinema come espressione artistica. Il film da una parte può essere considerato vero, dato che la trama è esigua e tende ad avvicinarsi al Dogma 95 di Lars Von Trier (vedi film come Idioti) , dall'altro lato è falso per il suo apparato folcloristico-documentario che pervade l'intera pellicola e crea uno strato interpretativo ed immaginario. La speculabilità, ovvero la capacità di suggerire un mondo (o un universo) narrativo approssimato, è in grado di sviluppare un processo cognitivo e offre allo spettatore la piena libertà di immaginare, creare, completare, quanto non è stato detto sullo schermo. Essenzialmente The Blair Witch Project vuole essere un'esaltazione del reale oppure un filmato-veritè abbandonato dai tre sfortunati protagonisti, dato che non esiste essenzialmente una vera sceneggiatura,non esiste nessuna direttiva e i dialoghi sono lasciati alla libera improvvisazione.Già a priori, lo spettatore è a conoscenza della sorte dei protagonisti, ma non è a conoscenza di come essi siano spariti e questo ci spinge alla visione dell'intero lungometraggio. Per 97 minuti lo spettatore è bombardato da immagini avvolte nella completa oscurità, la macchina da presa (8 mm) sembra scrutare ogni minimo lineamento dei protagonisti che a loro volta diventano soggetto e oggetto della rappresentazione o meglio del vedere (vedi il primo piano sconvolto, distorto e ravvicinato della protagonista Heather Donahue che sembra essere l'unica scena che rispetti i canoni principali della regia) immagini sgranate, confuse prive di messa a fuoco e in costante movimento. La macchina da presa sembra trasformarsi in una sorta di protesi meccanica in grado di trasmettere “visivamente” al pubblico l'angoscia e le tensioni marcate sui volti dei protagonisti. The Blair Witch Project sembra essere una sorta di processo di mistificazione della realtà nell'era di Internet (guarda il successo ottenuto al botteghino cinematografico, grazie al marketing in Internet) e agisce su alcuni meccanismi primordiali della paura, costruendo un prodotto horror fortemente emotivo e coinvolgente. Come per tutte le leggende, anche quella costruita attorno alla strega di Blair pretende, per poter funzionare, che qualcuno gli creda. Ciascuno di noi ha conosciuto la "sua" strega di Blair, ciascuno di noi si è svegliato nella notte disturbato da un rumore misterioso. Tutti abbiamo paura della strega di Blair. Nessuno escluso. Ho solo fatto una piccolissima panoramica e messo da parte alcuni aspetti, alcuni contenuti che andrebbero sviluppati e analizzati in maniera più precisa. Come sappiamo, il Cinema è un arte del mostrare qualcosa attraverso un occhio meccanico e delimitare l'immagine dentro quattro lati. L'immagine che otteniamo è essenzialmente una parte di realtà che ci propone il mondo. Ma oltre l'immagine, oltre l'inquadratura che cosa si nasconde? L'uso del Fuori Campo a cosa vuole rimandare? Prendendo come oggetto di analisi il film The Blair Witch Project, notiamo (nella prima parte del film) che i tre protagonisti si limitano a filmare ciò che è fisicamente filmabile (vedi alcuni dettagli come ad es. alcuni mucchietti di sassolini, i ramoscelli appesi sull'albero che simulano le bambole vodoo ecc...), cioè tutto quello che l'occhio riesce a vedere. Di fatto la prima parte del film può essere definita come una sorta di documentario, grazie ad una serie di interviste agli abitanti del posto e ad una donna anziana chiamata “Mary Brown”. In questo modo il film riesce ad accompagnare lo spettatore verso lo sviluppo dell'intreccio e tenta in tutti i modi di non disorientarlo. La seconda parte del film al contrario, tende a trasformare il documentario (se così lo possiamo definire) in un viaggio verso l'incubo, verso l'ignoto. Ecco che la macchina da presa, è destinata (come ho spiegato prima) a diventare un diario di sventura per i tre protagonisti (giocando sulla visione soggettiva) che si sono accidentalmente persi nel bosco maledetto di Burkittsville. Qui entra in gioco l'elemento che assume una grande importanza nell' Estetica Cinematografica “Il Fuori Campo”.Già dai tempi del Cinema Espressionista Tedesco, il regista Fritz Lang spesso adottava il Fuori Campo non solo come strumento di lettura del film, ma anche per rendere evidente la parzialità dello sguardo cinematografico (vedi la sequenza che apre il film M il mostro di Dusseldorf, dove lo spettatore riconosce un delitto, attraverso alcuni dettagli di oggetti, per esempio le posate e il piatto, le scale e una palla che rotola.). The Blair Witch Project segue lo stesso percorso, infatti per tutta la seconda metà del film le inquadrature sono puramente delle soggettive e i tre protagonisti fuggono da qualcosa di malefico ed inquietante (forse la strega di Blair?) che sta al di là del campo del visibile, o meglio al di là dei bordi dell'immagine. Infatti la visibilità è sempre accompagnata da una invisibilità che può essere l'essenziale . Poco o nulla viene mostrato in The Blair Witch Project, le immagini che si sviluppano davanti ai nostri occhi, non sono assolutamente chiare, (quasi sempre sotto l'effetto flow) come scrive Casetti nel suo libro, ci troviamo di fronte ad una totalità dislocata. Questi continui fuori campo, prodotti dalla macchina da presa segnano una volta per tutte e definiscono l'orizzonte, non per quello che è stato filmato ma “l'atto del filmare”, è questo l'elemento principale che rende The Blair Witch Project un film assolutamente originale . Ma tutto quello che lo spettatore non vede con i suoi occhi, poiché sta al di fuori dal campo del visibile, produce a sua volta un processo cognitivo che tende a richiamare “l'immaginazione”. Quindi il Cinema ha il potere di mostrare tutto, senza utilizzare nessun mezzo evocativo. Nel film, più volte lo spettatore è avvolto nella completa oscurità, e quasi sempre, è costretto a tralasciare l'immagine filmica per dedicarsi esclusivamente al suono. Il libro “Note sul Cinematografo” di Robert Bresson, sviluppa attraverso una serie di aforismi gli elementi che arricchiscono l'immagine audiovisiva, attribuendo un ruolo principale al suono. Nel suo capolavoro “Un condannato a morte è fuggito” Bresson, tende ad enfatizzare, dilatare e amplificare il rumore (guarda la sequenza iniziale che apre il film, dove la violenza non viene mostrata ma si respira la sua essenza, attraverso il senso dell'udito). Spesso nel film The Blair Witch Project si sentono, le voci affannate dei protagonisti, o quelle in lontananza di bambini che piangono disperati nella notte e pur trattandosi di Cinema le immagini contano poco o nulla. Il senso della vista è relegato in secondo piano rispetto a quello dell'udito. Sono i racconti delle persone, i rumori confusi del bosco notturno, il pianto dei bambini nel buio, le urla strazianti di Joshua a costruire l'immagine della paura. Un'immagine mentale personale, individuale e soggettiva. Una inquietudine più intima, legata alle paure ancestrali di ogni singolo spettatore. Prima fra tutte la paura del buio. Nella società moderna vedere è conoscere. Al buio è impossibile conoscere. In The Blair Witch Project più volte lo spettatore è lasciato fisicamente al buio. E' lo spettro delle paure interiori dell'individuo che guarda e tende ad essere chiamato in gioco per riempire i vuoti dell'immagine. Tutto il peso emotivo del film ricade sul singolo spettatore. Un individuo che guarda e non vede, che pensa di conoscere e non conosce ciò che gli si presenta innanzi. L'ignoto è più emotivamente suggestivo del noto, l'invisibile del visibile. Ciò che risiede nella nostra immaginazione è più terrificante di qualsiasi squamoso essere partorito dal grande circo di Hollywood. Come possiamo notare il Cinema è un linguaggio che raccoglie diversi elementi che a loro volta sviluppano altrettanti linguaggi. Ma non solo, Kracauer (teorico degli anni 20) in uno dei suoi più importanti interventi, definisce il Cinema come strumento (o medium) che è in grado di produrre e sollecitare i nostri sensi e portarli ad uno stato di estrema eccitazione, definendolo un Cinema puramente delle Attrazioni. Riprendendo in esame il film The Blair Witch Project, possiamo notare che adotta (sempre nella seconda parte) un movimento febbrile della macchina da presa (ricordiamo il capolavoro di David. W .Griffith “Nascita di una Nazione” in cui la sequenza finale denominata “salvataggio all'ultimo minuto” produce un forte ritmo incalzante, grazie al suo montaggio parallelo ), che è capace di trasmettere un forte momento di vera paura, angoscia e paranoia, ma anche esaltare il vero senso della velocità . Ogni minimo rumore di passi, il fruscio delle foglie secche, le grida innocenti di bambini e il forte rumore dei sassi che pervade l'intero bosco comunicano la vera drammaticità del film. Tuttavia la velocità che si sviluppa in tutto l'arco dell'opera da un lato crea un effetto di “piacere” che già si era affermato con il Manifesto dell'Avanguardia Futurista che qui riassumo con un semplice punto -Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia- Dall'altro lato però la velocità intimorisce, produce l'essenza del pericolo (minaccia l'incolumità dei tre protagonisti dato che sono sottoposti ad una costante accelerazione, vedi la sequenza finale in cui Heather Donahue e Michael Williams tentano di salvare il loro compagno Joshua Leonard all'interno della casa abbandonata). Ma allo stesso tempo offusca la vista dello spettatore, che non è in grado di acquisire un punto di riferimento ben definito e lo disturba, portandolo in uno stato di confusione percettivo, sia dal punto di vista spaziale, sia dal punto di vista temporale, quindi egli tende a perdere l'orientamento. Il film sembra quasi basarsi su uno sguardo che acquisisce la mobilità delle cose, dato che utilizza frequenti movimenti (tutti a mano) della macchina da presa e segue (quasi ossessivamente) gli oggetti che coprono l'intera inquadratura. Nella scena finale del film, Eduardo Sanchez e Daniel Myrik adottano la tecnica del cross-cutting, mostrandoci una situazione (dal punto di vista della 16 mm) e poi spostandoci su un'altra (questa volta il punto di vista passa alla 8 mm ). Questo permette allo spettatore di aver presente (in maniera chiara) la situazione in cui è immerso, cercando di assistere in tempo reale a due momenti diversi. Quindi l'occhio del Cinema possiede un movimento superiore a quello degli oggetti e dei corpi ma tende anche a precedere gli eventi. Infatti il finale del film gioca con l'elemento della suspence (già adottata da Alfred Hitchcock in alcuni suoi Capolavori, vedi Psyco, Uccelli, Nodo alla gola ecc..), che ha la forza di prevedere e proiettarci all'interno della situazione per poi arrivare alla piena risoluzione e quindi sciogliere l'intero intreccio. Ci siamo soffermati su alcuni aspetti e tematiche (Il Fuori Campo e le Sensazioni Forti) che in qualche modo definiscono e caratterizzano il Cinema. Come ho sottolineato prima, la macchina da presa è un occhio meccanico in grado di cogliere la realtà che è soggetta ad un determinato punto di vista. Essa riveste diversi ruoli che sono stati oggetto di interesse per l'uomo tra i quali: quello di mandatario, mezzo di registrazione e mezzo di riproduzione. Ritorniamo al film The Blair Witch Project, la macchina da presa funziona come mandatario dei tre protagonisti, l'obiettivo tenta in tutti i modi di scrutare lì, dove la visione dello spettatore non può arrivare. Heather Donahue (filmaker) e Michael Williams (fonico) hanno lo scopo di realizzare un documentario che testimoni la presenza di una presunta strega che si aggira per il bosco di Burkittsville. Quindi il Cinema è una forma di gioco che ha lo scopo di riprodurre qualcosa (audiovisivo) e renderla perpetua nella memoria umana. Ma allo stesso tempo l'uomo si serve della ripetizione ( o meglio della riproducibilità ) sia per produrre una forma di sicurezza ma anche per esorcizzare la morte dato che il mondo cambia continuamente .Ma è interessante sviluppare un'altra tematica che interessa particolarmente l'arte Cinematografica. L'operatore Serafino Gubbio ha messo a confronto “La macchina da presa” e l'uomo che si limita a coprire il ruolo di “operatore”. Secondo Serafino Gubbio, l'uomo limitandosi a girare una manovella, diventa una sorte di protesi meccanica che ha lo scopo di ingoiare la realtà ed esserne padrone. Questo può portare ad una sottomissione dell'uomo di fronte alla macchina da presa, fino a renderlo uno schiavo. Ecco che a questo punto, la macchina sostituisce l'uomo (come nel film muto di Buster Keaton “The Cameraman” in cui la scimmietta con aria impassibile gira la manovella senza rendersi conto di quello che gli sta davanti) . Nel film The Blair Witch Project la protagonista Heather Donahue e Michael Williams tentano disperatamente di ritrovare il loro amico Joshua (che urla all'interno della casa) senza liberarsi dalla macchina da presa, sembra quasi che la 16mm e la 8mm abbiano preso il sopravvento sui due personaggi (questo gli sarà fatale). Dziga Vertov (regista che ha segnato la storia del Cinema Russo degli anni 20) scrisse un celebre saggio in cui elogiava l'occhio della macchina da presa: Il cineocchio vive e si muove nel tempo e nello spazio, percependo e fissando le impressioni in modo del tutto diverso dall'occhio umano, io sono il cineocchio, sono l'occhio meccanico che ha il potere di avvicinarsi e allontanarsi dagli oggetti, ma allo stesso tempo ho la possibilità di strisciare sotto di essi. Il cineocchio quindi, non si limita soltanto a rappresentare la realtà ma ha la possibilità di ambire a qualcosa di più. The Blair Witch Project quindi, diventa una sorta di esperimento nel quale l'occhio (o il cineocchio secondo D. Vertov) della macchina da presa ha la possibilità suprema di muoversi in qualunque direzione, coprire degli spazi e addentrarsi lì, dove l'occhio umano non ha alcuna possibilità di entrare.

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