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American Beauty

Regia di Sam Mendes vedi scheda film

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La recensione su American Beauty

di jazzyman
8 stelle

AMERICAN BEAUTY, LA MORTE DEL SOGNO AMERICANO.


Spaccare il sociale iniziando dal nucleo familiare, e perchè no il male discreto della borghesia, svelato nel suo grottesco incedere di inevitabili cause ed effetti. La ‘middle-class’ messa a nudo dal freddo languore della fotografia di Conrad Hall, il gioco spietato e inutile di ruoli fissi dell’American Way of Life e la scoperta del nulla nel tanto auspicato (falso puritano) sogno americano. Questo è il concetto portante di Alan Ball, lo sceneggiatore per le immagini dell’esordiente e ben misurato regista Sam Mendes, a metà fra i fratelli Coen e Lynch, freddo e cinico osservatore di quello squallido gotico americano nascosto nelle facciate delle ricche ville dei quartieri alti. È questo il triste avanzare materialista dell’ideale tipico: l’American Beauty. Cos’è la bellezza americana, un ultra quarantenne (Kevin Spacey) che ricomincia a spinellarsi come negli anni ‘70 e seduce una minorenne amica della figlia (Tora Birch). La moglie così patetica (una magnifica Annette Benning) da non rendersi conto quanto triste sia il suo modo di far carriera. Un vicino di casa colonnello omofobico fuori, omosessuale dentro, fanatico nazi-simpatizzante (per gli amanti del dettaglio: oltre al piatto con la svastica nella sua credenza, anche la Luger, pistola usata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale), che riversa le sue complessità da manicomio sul figlio, forse unico sano di mente, nonostante spacci erba. La dicotomia sta già nel titolo, figuriamoci nel restante mondo artificiale sorretto solo dalle farsate delle posizioni sociali. E che dire di Kevin Spacey, unico attore alla portata di una tale caratterizzazione, al di sopra delle righe. Sono fuori dal vostro mondo sembra dire la sua faccia, sempre contorta nella giusta, ammiccante ed autocompiacente espressione. Forse l’unica ‘bellezza americana’ sono i petali di rosa dell’immaginario erotico di Lester/Spacey, che contornano l’unica vergine speranza di purezza di tutto il disarmonico equilibrio circostante.

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