Regia di Luigi Magni vedi scheda film
Nella vecchia locanda “La carbonara” si mangiano i piatti forti e gustosi della tradizione romana, si canta (troppo e male), si fa politica, si ama, si guarda la Storia (siamo nel 1825, sul confine settentrionale degli Stati della Chiesa) e si tenta di cambiarne il corso degli eventi. Ci sono i carbonari veri e sprovveduti, l’ex carbonaro pentito e diventato frate, i briganti capeggiati da Lupone con un’irresistibile collana di peperoncini, il cardinale e i preti, gli spaghetti alla carbonara e la bella proprietaria della locanda, Cecilia, che tutti desiderano e chiamano, con fremente fantasia, come il suo piatto simbolo. Sapori, personaggi, figuranti, umori, inflessioni dialettali, equivoci e colpi di scena sono quelli ai quali Magni ci ha abituato da almeno trenta anni. Sono tre decenni lunghissimi e faticosi per tutti. Soprattutto per un cinema che non riesce a ripensare se stesso e a trasformarsi e che si deve accontentare di modesti attori, escluso Manfredi, come Valerio Mastandrea che ripropone la sua espressività, l’unica di cui sia capace, da Costanzo Show e Lucrezia Lante della Rovere, geneticamente inadeguata al ruolo di popolana. Perché i bravi registi italiani sciupano il grande passato che è alle loro spalle?
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta