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Addio terraferma

Regia di Otar Ioseliani vedi scheda film

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La recensione su Addio terraferma

di luisasalvi
6 stelle

Forse è più significativo, pur letteralmente identico, il titolo originale in francese, Adieu, plancher des vaches!, espressione popolare usata in origine dai marinai in partenza, poi anche dagli aviatori, in cui la terraferma è indicata con il termine che indica il letto (di legno, ma coperto di strame) delle mucche, e perciò suggerisce (credo) un senso spregiativo del tipo di “letamaio”, o “terra di merda”. Mondo ipocrita, avido, egoista e falsamente moralista (la “padrona” relega in casa il marito ubriacone e scaccia indignata la bella serva sorpresa con lui, ma lei ha un amante sempre più esplicitamente accolto a palazzo) e nello stesso tempo falsamente spregiudicato ( con una cicogna che partecipa alle serate mondane svolazzando liberamente fra gli ospiti): anzitutto quello del castello signorile in cui vive da recluso il marito, non a caso interpretato da Iosseliani, che si consola a giocare con trenini elettrici ed a bere come una spugna, e alla fine scappa con un occasionale amico barbone altrettanto amico del vino e dei canti (sempre presenti nei film di Iosseliani, di poche parole ma di molti canti), in barca, con cui si allontanano dallo strame della terraferma verso un cielo e un mare puliti e radiosi, cantando liberi ed felici (può ricordare il finale di Fellini Satiricon; come spesso ricorda Fellini). Anche il figlio fuggiva di casa di nascosto con la stessa barca, per raggiungere compagni sbandati con cui bere molto o per fare, male, umili lavori da cui veniva licenziato per incapacità; ma, finito in galera, ne esce “corretto”, cioè ben inserito a forza nel suo mondo, da cui il domestico viene a prenderlo all’uscita di prigione con il dono di una nuova spider, con cui parte abbandonando senza parole l’amico con cui aveva condiviso bevute, imbrogli e poi i mesi di carcere, e in casa viene accolto e festeggiato trionfalmente anche dall’amante della madre. Finirà per  giocare, lui, con i trenini elettrici del padre e  bere con la compagnia e la collaborazione dell’ambiguo domestico sempre pronto al doppio servizio, agli ordini della madre padrona e ai sotterfugi dei dissidenti ubriaconi: forse anche questo autobiografico, vicenda iniziale del regista che da giovane perdeva il suo tempo disperdendosi fra mille interessi come il merlo canterino, poi, costretto a convivere per sopravvivere in una società des vaches, si sfoga bevendo e fantasticando e giocando; per poi fuggirne, come nel film il padre o nella realtà il regista, in mare o in Francia o nella fantasia falsamente documentaria dei suoi film. Il vero protagonista è il padre, come suggerisce lo stesso titolo, dato che è lui che parte lasciando la terraferma, oltre al fatto che lui è interpretato dal regista; il figlio lo è solo in quanto suggerisce la giovinezza del padre e finisce vivendo come viveva il padre all’inizio del film.

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