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Halloween. 20 anni dopo

Regia di Steve Miner vedi scheda film

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La recensione su Halloween. 20 anni dopo

di scapigliato
8 stelle

A vent’anni dal film culto di John Carpenter, Halloween (1978), il mito celebra se stesso. Protrattasi con alti e bassi, la saga creata da John Carpenter, Debra Hill e Moustapha Akkad, arriva al giorno delle feste un po’ imbolsita, scontata nella reiterazione dei personaggi tipo e nella lunga mattanza di Michael. Steve Miner ha tra le mani una bella occasione: la reunion dei volti chiave della saga slasher più amata. Purtroppo, non potendo più contare sulla presenza del gigantesco Donald Pleasence, che dava sguardo e corpo allo straordinario Dt. Loomis, intrigante e perfetta nemesi del Male Assoluto Michael Myers, carica tutto il peso mitologico della rentrée su Jamie Lee Curtis, eroina dei primi due episodi storici, ovvero Laurie Strode, oggi signora Tate, qui accompagnata da Janet Leigh, sua vera madre, celebre ragazza della doccia di Psycho (Alfred Hitchcock, 1960), e in parte su Nancy Stephens la vecchia infermiera Marion del primo episodio. Per l’occasione servono anche volti emergenti per il pubblico giovane e il casting azzecca la scritturazione di Joseph Gordon-Levitt e Josh Hartnett, qui al suo debutto.

Il risultato finale è un film di chiara estetica anni Novanta, con estrema edulcorazione delle immagini e dell’apparato iconografico orrorifico, una fotografia piatta e televisiva che non molesta lo sguardo e la canonica sfilata di tipi, temi e motivi dello slasher “castrato” del decennio di riferimento: il college borghese, i soliti pruriti sessuali a cui non viene dato seguito, personaggi stereotipati, patetici e piatti che non apportano nulla di nuovo, come i personaggi di LL Cool J e Adam Arkin, il solito body count prevedibile, locations borghesi, interni puliti e messa in scena che esalta ed esaspera il classico interior design americano dai colori pastello, evoluzione dello stile coloniale inglese, con il suo layout arioso e dagli accessori e decorazioni forti da gotico elegante, quasi kitsch. Una fattura estetica finale quindi mediocre, con poche suggestioni visive, quasi azzerate dall’imperante dottrina autolesionista della chiarezza narrativa e visiva.

Nonostante questo impianto generale del film, Halloween: H20: Twenty Years Later è più che godibile, a tratti davvero spassoso e con alcune idee accattivanti supportate da un’azzeccata coreografia scenica e filmica: l’incontro-scontro tra madre e figlio in paese, dove la bravura di entrambi gli attori rinvigorisce il duello di caratteri assente nella maggior parte del film; le allucinazioni (o forse no?) di Laurie Strode/Keri Tate; i corridoi deserti della grande magione con le tende bianche che svolazzano, alcune inquadrature antinaturalistiche e qualche azzeccata apparizione di Michael più, ovviamente, lo scontro finale tra lui e la sorella, dove quest’ultima prova pure tenerezza per l’odiato, amato, fratellino. Un rapporto che sarebbe stato bello approfondire, senza indagarlo eccessivamente, ma lasciarlo semplicemente emergere dagli eventi. Oltre alla presenza di Jamie Lee Curtis i punti di forza attoriali della pellicola sono pochi. Tra gli attori, l’unico che va oltre il suo ruolo stereotipato è Josh Hartnett che come figlio di Laurie Strode è suggestivo e possiede la labilità di famiglia, il guizzo strano e misterioso che Hartnett ha già di suo ed esemplificherà meglio con il successivo personaggio di Zeke in The Faculty (Robert Rodríguez, 1998).

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