Regia di Noah Baumbach vedi scheda film
Straordinaria versione contemporanea di “Kramer contro Kramer” nella quale Baumbach riesce nella notevolissima impresa di portare in scena il dramma di un divorzio mantenendosi sempre neutrale. Un geniale 'j'accuse' alla società americana contemporanea. VOTO: 9½
Impossibile guardare “Storia di un matrimonio” e non pensare all'eterno “Kramer contro Kramer”. Ci troviamo infatti non solo nei medesimi territori, ma addirittura a una versione del sopracitato film del 1979 aggiornata con certosina precisione alla società del secolo XXI. Anzi, mi sbilancerò ulteriormente dichiarando che questo lavoro di Baumbach è persino superiore a quello di Benton (Oscar al miglior film, e che a me personalmente piace moltissimo). Gli è superiore giacché riesce a mostrarci un dramma, quello del divorzio, in maniera talmente equanime che sfido chiunque a dirmi in buona fede che è riuscito o anche solo che è stato tentato di prendere le parti di Nicole o di Charlie. E questo è merito non da poco, perché una cosa è coinvolgere lo spettatore con un duello buoni vs cattivi, ben altra difficoltà si presenta se nessuno dei protagonisti lo è 'cattivo' (o 'buono', fate voi). I Barber sono infatti, fondamentalmente, due brave persone, con pregi e difetti certo, infilatesi loro malgrado in una brutta situazione che se accaduta altrove sarebbero forse, anzi molto probabilmente, riusciti a venirne fuori illesi. E su questo punto Baumbach non fa sconti alla società americana odierna, ed è geniale nel riuscire a dipingerla per noi con appena due pennellate. Bravura dell'autore a parte, anche gli attori hanno dato il loro fondamentale contributo alla piena riuscita del film: Scarlett Johansson e Adam Driver sobri e misurati nei panni della coppia protagonista, Ray Liotta e Laura Dern tirati come corde di violino in quelli dei rispettivi avvocati. Per quest'ultima Oscar come migliore attrice non protagonista. Restando in tema Academy, nella categoria miglior film arrivò la meritatissima nomination ma la statuina andò poi a parare nelle mani di Bong Joon-Ho per “Parasite”. Detto in altre parole: la sfortuna di compiere l'impresa al momento sbagliato, quando cioè nella stanza a fianco qualcun'altro ne realizza una ancor più grande. Fosse uscito nel 2020 anziché 2019, la vittoria sarebbe stata senza dubbio sua (ed essendo una produzione Netflix non credo che il Covid avrebbe inciso granché sui ricavi).
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