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Strade violente

Regia di Michael Mann vedi scheda film

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La recensione su Strade violente

di scandoniano
8 stelle

Esordio di Michael Mann che è il manifesto del suo cinema metropolitano schietto e rigoroso. Grande James Caan, ottime musiche e fotografie. Non un capolavoro ma un film rivoluzionario ed emblematico.

Il film d’esordio di Michael Mann è una summa di quella che sarà la sua peculiare poetica di autore rigoroso ed essenziale. Anche i contenuti, che parlano di un ladro (il titolo originale non a caso è “Thief”) impossibilitato al riscatto personale, risucchiato da un destino che non vuole lasciarlo andare, richiamanti una certa letteratura noir, denotano il marchio di fabbrica di un Mann capace di riportare le vicende con straordinaria verosimiglianza, partendo da una sceneggiatura che soprattutto nelle caratterizzazioni dà il suo meglio. Gran merito va inoltre alla fotografia di Donald Thorin (importante in un film girato praticamente tutto in notturna) e soprattutto all’interpretazione degli attori, tutti compresi tra i due poli delle vicende, il boss Leo (lo straordinario caratterista Robert Prosky) e il prodigioso scassinatore Frank (fenomenale interpretazione di James Caan).

Peculiari anche le musiche (dei Tangerine Dream), che letteralmente subissano il clima plumbeo e il ritmo incessante del plot con la sovrabbondanza di un accompagnamento totalizzante. Lo sguardo di Mann è terribilmente schietto, senza retorica, e la sua regia peculiare, con gli spettacolosi carrelli ed un’attenzione al dettaglio, anche del montaggio, davvero invidiabili. La sua Los Angeles notturna è un concentrato di luci e pericoli, che un algido Frank è capace di affrontare con la disinvoltura di un animale a sangue freddo, capace di ravanare nel torbido, di riprendersi il dovuto, di fronteggiare gli sbirri corrotti. Ecco perché la sottotrama in cui Frank è marito e padre, premuroso e cordiale, presente ed affettuoso, sono il contraltare necessario per testimoniarne la speculare imperturbabilità professionale.

Suggestiva la parte finale del film, in cui dalle intenzioni si passa ai fatti, dal pensiero all’agire: è per questo che la vendetta di Frank, che prova a farsi giustiziere solitario e finalmente fautore del suo destino, va avanti senza dialoghi, ma in un clima di tensione che, oltre alle musiche, ha come protagonista il punto di vista del regista, capace di conferire ritmo e pathos alle vicende che accompagnano lo spettatore verso un finale liberatorio e necessario, rivelatore ancora una volta del cinema di Mann, un autore interessante, che crea il suo cinema mettendo a sistema la “Giungla d’asfalto” di John Houston ed il western di Sam Peckimpah.

Film dal grande rigore estetico e formale, ma anche molto compatto sul piano narrativo. Un piccolo cult che ha soprattutto il merito di lanciare Mann e il suo cinema che ha rivoluzionato il crime movie ed il rapporto tra la settima arte e la metropoli.

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