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Hereditary - Le radici del male

Regia di Ari Aster vedi scheda film

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La recensione su Hereditary - Le radici del male

di AuroraZwart
5 stelle

C'è un effetto domino a cui la psicologia popolare affibia il nome, metoniminico, di "psicosi di massa". Se quest'opera prima di Ari Aster fallisce tout court nell'identificare il suo stesso potenziale nella mancata prospettiva scientifica, il pubblico conferma ampiamente tutte le teorie sull'apprendimento, l'assimilazione e l'influenza ambientale da Piaget in poi. L'elemento più sconvolgente, l'unico a dire il vero, è la vendita riuscitissima di una copia carbone dei vari, eventuali e bistrattati Paranormal Activity (da grandi magazzini, d'accordo, ma largamente più innovativi per l'epoca), infiocchettata da art-house, come peraltro sottolineato a più riprese da una critica avveduta.

Packaging grazioso, non c'è che dire, i movimenti di macchina, i modellini in scala e tutta la chincaglieria che ormai insegnano anche al doposcuola faranno anche il verso ai grandi ma, tirare in ballo pure Polanski e Rosemary's Baby pare eccessivo per due ore nella fiera del visto e rivisto.

Versare un po' di acquaragia e verificare senza sforzo la sovrapposizione perfetta con un capitolo qualunque del franchise paranormale ideato da Oren Peli, la simbologia utilizzata è a prova d'ingenuo. La genealogia? Anche quella di terza mano.

 

Tragico destino, più che della famiglia raccontata qui dai nostri, quello delle pellicole con velleità psicologiche che si manterrebbero sopra la sufficienza se non cadessero miseramente in tentazione e restassero sui binari dell'orrore reale, forse troppo umano, così pericolosamente vicino, troppo, per essere digerito da una platea ormai disempatica e assuefatta ad una retorica mangereccia, superstiziosa, ciberneticamente medievale.

 

Giudizio scisso di netto se tiriamo in ballo il cast: Toni Collette su tutti, regge da sola il tendone e fa anche troppo, se contestualizzata con più serietà nello spettro della schizofrenia la sua interpretazione è da leggere come rara bellezza..regista cieco e sordo, insensibile: porta a compimento il suo sulfureo piano di banalizzazione, succede anche questo. Byrne, Dowd, Shapiro, Wolff, tutti in parte.

In buona misura inferiore al secondo lavoro di Aster, Midsommar, nonchè a tutti i titoli di riferimento, tra cui The Witch e l'ahimè sottovalutato Oculus, entrambi mettono in scena una discesa all'inferno (dell'infermità) più sofferta e credibile. Difficilmente il film più terrificante delle nuove leve, sicuramente lo spreco più grande dell'ultima decade. 

 

Ci speriamo che sia tutta un'allegoria e che in realtà, poi...  

No.

 

Spoiler: non fa paura.

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