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Il sentiero della violenza

Regia di Phil Karlson vedi scheda film

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La recensione su Il sentiero della violenza

di fixer
6 stelle

 

Lee Hackett (chissà perché nell’edizione italiana si chiama Larry) è un ex avventuriero, un patriarca del vecchio West che è diventato un ricco allevatore dopo aver lottato, combattuto, arraffato, rubato e ucciso per riuscire a diventare ciò che ora è. Il Western è pieno di uomini come lui. Come il vecchio  Vincent Waggoman (Donald Crisp)di L’UOMO DI LARAMIE o Vincent Bronson (Lee J.Cobb)di IO SONO LA LEGGE. Sono loro che hanno fatto il West, piaccia o no. Sono loro che lo hanno costruito e hanno gettato le basi del Nuovo Mondo, dell’America di oggi. Loro hanno fatto la frontiera e la legge della frontiera è ancora oggi qualcosa di vivo, vegeto e alquanto sgradevole (BOWLING A COLUMBINE di Michael Moore ne é una splendida dimostrazione).

Con gli anni, sono diventati saggi. Hanno contribuito in modo determinante a costruire villaggi che sono diventati città, hanno gettato le basi economiche di interi Stati, hanno seminato i germi di una mentalità tipicamente di frontiera, pronta a giustificare conquiste e violenza nel segno di un confuso principio di libertà.

I primi effetti sono visibili nei figli di questi “Frontier Men”: sono stati cresciuti nel loro esempio e ne hanno succhiato il latte contaminato dell’abuso, del sopruso e dell’arbitrio. Senza averne le virtù antiche del sacrificio, della rinuncia, della consapevolezza che ciò che si raggiunge ha sempre un prezzo, spesso carissimo, credono che sia loro tutto dovuto e si comportano allo stesso modo, senza rendersi conto che la società, la realtà sono cambiate e che ciò che un tempo era lecito oggi è criminoso.

Ma la colpa di Larry, oltre a quella di aver educato i propri figli a seguire il suo esempio, è di continuare a far loro credere che nulla sia cambiato e a minimizzare ogni loro atto di protervia e di arroganza.

Uno dei suoi due figli, Davy (James Darren) non sembra apprezzarne gli insegnamenti e si comporta in modo diametralmente opposto. Ama la pace, odia la violenza, rispetta il prossimo (al punto di innamorarsi di una meticcia). L’altro, Ed (Tab Hunter), è la fotocopia del padre, con l’aggravante di imitarlo nel momento sbagliato, in un’epoca ormai che si è lasciata alle spalle il selvaggio West e si è incamminata decisamente verso lo stato di diritto.

Larry è stato un fortunato avventuriero che è riuscito a creare una fortuna ma ha fallito miseramente nel suo ruolo di padre.

A complicare le cose è la mancanza di una madre, che sarebbe servita a temperare il carattere violento e arrogante del padre.

Finirà come è logico che finisca. Ed si caccerà nei guai, il padre (che si riconosce in lui da giovane e che preferisce all’altro figlio) cercherà di toglierlo dai pasticci finché arriverà al classico duello con pistola. Il vecchio Larry, che pretende di essere chiamato così anche dai figli(segno evidente di un malinteso ed erroneo senso di familiarità), si troverà ora a piangere sul cadavere del figlio, proprio come i vecchi Bronson e Waggoman. Il loro passato violento, da cui essi si illudevano di essersene definitivamente staccati, li rincorre, li ossessiona, li perseguita e li colpisce al cuore, strappando loro il bene più grande.

Il film è tratto da un racconto di Ric Hardman ed è soprattutto sceneggiato da Frank Nugent, autore di alcune delle migliori sceneggiature di John Ford (IL MASSACRO DI FORT APACHE, CAVALCARONO INSIEME, SENTIERI SELVAGGI, L’ULTIMO URRA’, I TRE DELLA CROCE DEL SUD e UN UOMO TRANQUILLO). La sceneggiatura qui non è sostenuta in modo altrettanto valido da un Van Heflin non al meglio e soprattutto da uno scialbo James Darren.

Il personaggio più interessante è senz’altro quello del vecchio Larry: l’interesse è dato dalla sua personalità perennemente in conflitto fra l’antico “animus pugnandi”, il temperamento bellicoso, il vecchio spirito guerriero mai domo e la consapevolezza di un mondo ormai definitivamente tramontato, la necessità della legittimità del diritto, dell’inoppugnabilità della legalità. Questa doppia anima in realtà finisce per danneggiare in modo irreparabile il figlio Ed, che, come detto, ne prosegue idealmente e materialmente la carriera di selvaggio e cinico avventuriero. Questa doppia anima non è però resa al meglio. Phil Karlson non riesce a trasmettere allo spettatore il terribile tormento che affligge il padre. Non c’è mai, se non in modo alquanto schematico, la sensazione del conflitto che dovrebbe tormentare quest’uomo. La patina di civiltà che sembra avvolgerlo è ancora troppo sottile per resistere alla natura mai del tutto doma del vecchio avventuriero. Le diverse occasioni che gli potrebbero permettere di porre fine in modo deciso e autoritario alla crescente ed esplosiva perdita di controllo del figlio Ed, sono in realtà altrettanti fallimenti. Egli si riconosce in lui e questa è la sua maledizione. Il vero colpevole non è suo figlio e, purtroppo per lui, solo il tragico epilogo lo pone di fronte alle sue terribili responsabilità. L’interpretazione di Tab Hunter risulta indovinata, malgrado le perplessità per averlo scelto come “cattivo” fossero molte. Ric Hardman, autore del soggetto, insistette per quel ruolo. Era un rischio perché le platee d’America lo consideravano come il classico bel ragazzo biondo affascinante, sogno di tante ragazzine come accadeva con Troy Donahue e Jimmy Dean. Ma ebbe ragione. Hunter qui lascia intravedere doti drammatiche notevoli. Tuttavia, ed è un ulteriore punto debole del film, non c’è sviluppo psicologico credibile nel suo personaggio. Non c’è evidenza né traccia di conflitto interiore, non c’è un minimo barlume di coscienza, non un momento di abbandono. E’ più una macchina distruttrice che, una volta rotti i freni inibitori, tutto travolge fino all’autodistruzione.

John Ford creava, ed era la sua grandezza, all’interno delle storie, momenti di lirismo e di comicità che, combinandosi a meraviglia con la crescente tensione drammatica, completavano il quadro umano e psicologico. In questo film, la tensione drammatica non conosce soste, sale gradualmente fino al climax finale. La mancanza di struttura psicologica adeguata e delle digressioni necessarie per meglio definire contorni e personaggi, però, rende piuttosto meccanico il tutto e lo impoverisce, contribuendo a fornire così un prodotto di qualità medio-bassa, appena sopra il tipico B-Movie.

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