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Disobedience

Regia di Sebastián Lelio vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Disobedience

di yume
8 stelle

Film di costruzione magistrale , immagini dense di umori, sensazioni, spinte dal profondo trattenute a stento.

locandina

Disobedience (2017): locandina

 

Il nostro motto dev’essere dunque: riforma della coscienza non per mezzo di dogmi, ma mediante l’analisi della coscienza non chiara a sé stessa, o si presenti sotto forma religiosa o politica. Apparirà allora che il mondo ha bisogno da lungo tempo del sogno di una cosa.”

 K.Marx da una lettera a Ruge da Kreutznach (settembre 1843)

 

Disobbedire per essere libera, è il “sogno di una cosa” di Esti (Rachel Mc Adams), la mite moglie di Dovid (Alessandro Nivola) che da ragazza amava Ronit (Rachel Weisz) già libera, indipendente e in fuga dalle regole di Dio e della Sinagoga.

Dovid è cugino di Ronit e candidato alla guida spirituale della collettività dopo la morte dello zio.

 

Ronit, figlia di un rabbino ortodosso, torna a Londra da New York per la morte del padre, caduto a terra stecchito durante un’omelia in cui parlava di libero arbitrio:

Dio ha creato tre specie, gli angeli, l’uomo e le bestie. L’uomo è al centro ed ha libertà di scelta fra l’angelo e la bestia, il libero arbitrio fra il bene e il male”.

 

Forse è stata la sua incoerenza a fulminarlo, un fatto è certo, alla bella Ronit non ha concesso quel libero arbitrio, non l’ha più voluta vedere dopo aver sorpreso le due ragazze che si baciavano e nelle disposizioni testamentarie la casa è andata alla Sinagoga e alla fanciulla la sua pipa.

 

Una comunità ebraica ortodossa di grande rigore nel rispetto di culto e tradizioni è quella in cui Sebastiàn Lelio colloca una storia tanto lontana dal suo centro di riferimento, geografico e umano, quel Cile da cui tutti i suoi film, da La Sagrada Familia 2006, Navidad 2009, El Año del Tigre 2011, Gloria 2013 a Una donna fantastica (2016) hanno sprigionato luce ad illuminare la condizione umana universale, femminile in particolare.

 

Una comunità ebraica, dove tutto è incapsulato in un ordine rigido e in un conformismo fatto di rituali, gesti, abbigliamento, cibo, feste religiose, canti di Sinagoga, sempre molto belli, ma anche un’occhiuta vigilanza sui comportamenti altrui che non ammette trasgressioni, e dove la prima a dover imparare il dogma dell’obbedienza è la donna, è il focus on per una pellicola in cui Lelio dà l’affondo al suo tema prediletto: la donna che trasgredisce sapendo di trasgredire.

E cosa più grave della trasgressione somma? La donna che non ama l’uomo ma una donna.

 

Ronit ed Esti si sono amate da bambine, ora si ritrovano donne.

Lelio ha una misura inconfondibile nell’arrivare al cuore del problema.

L’essenzialità è la sua cifra costante, dal tempo dei lungometraggi che lo fecero conoscere come punta di diamante dell’ Escuela de Cine de Chile di Santiago, fiorente e degna erede del grande Nuovo Cinema della stagione di Allende.

 

Da un sobborgo ebraico londinese a Manhattan, mito della frontiera per una donna decisa a non disperdere il suo “sogno di una cosa”, Ronit ha compiuto il giro di boa e ora torna a casa creando spiazzamento in chi la voleva morta, se non fisicamente, almeno moralmente.

Si saprà ben presto che è stata Esti a chiamarla, avvertendo la Sinagoga di New York della morte del padre.

Fra un arrivo e una partenza da Heathrow si consuma,quasi in un’aristotelica unità di tempo, luogo e azione, una storia millenaria di amore negato, avvilito, brutalizzato e infine trionfante.

Assente come sempre, in Lelio, il pur minimo sospetto di manicheismo, il suo mondo è aperto all’ingresso di tutti, purchè sappiano trasgredire il dogma dell’obbedienza.

Dovid capirà, e non ci saranno plateali colpi di scena. Nascerà un figlio, una vita continuerà nella Grande Mela, un’altra, forse sola o forse con Dovid, resterà nella vecchia Europa, l’amore farà nonostante tutto e nelle sue varie forme il suo corso

 

Tratto dal romanzo di Naomi Alderman, figlia lei stessa di un rabbino londinese, e scritto con Rebecca Lenkiewicz, Disobedience non ha l’impatto forte del premio Oscar Una Mujer Fantastica , ed è forse il suo pregio.

Mezzi toni, una fotografia dimessa per interni ed esterni che sembrano fatti per il silenzio, il raccoglimento, la preghiera, in una parola, l’assenza di vita.

Scegliere fra il bene e il male? Non è quello che sembra così facile fare è il messaggio del film.

A Ronit che va via Esti urla “E’ più facile andarsene

E Ronit risponde “Non credo”.

 

Forse il film doveva finire qui, con questa compattezza adamantina che scende nelle fibre più intime dell’uomo a scoprire le sue contraddizioni.

Nel finale si disperde un po’, sembra quasi alla ricerca di un non lieto fine finendo così per averlo.

Ma questo è poca cosa rispetto alla costruzione magistrale del film, all’impatto con immagini dense di umori, sensazioni, spinte dal profondo trattenute a stento.

Una ripresa fra tante resta nella mente, Ronit ed Esti che camminano insieme, un passo ritmico, solidale, una solitudine negata. Poco importa quale strada reale percorreranno, su quel selciato grigio di Londra erano insieme.

Come due adolescenti che scoprirono l’amore.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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