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Vacanze di Natale 91

Regia di Enrico Oldoini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Vacanze di Natale 91

di pgm
3 stelle

Probabilmente dovrei smetterla di perdere tempo. Già di per sé così poco, andrebbe speso diversamente, in modo ben più edificante. Ma è insito all'umana natura farsi del male, più o meno volontariamente, e il sottoscritto non fa eccezione. Vacanze di Natale '91: «Minchia!», esclamerebbe il cameriere impersonato da Benigno, personaggio che all'economia del film serve quanto la forchetta ad assaporare il brodo. L'esclamazione in questione, tuttavia, non denota, invero, alcunché di positivo, più atta a disegnare e designare il modo in cui robaccia di questo genere venga realizzata, "scritta" e messa in scena di volta in volta.

Ci risiamo. Di nuovo Sankt Moritz, di nuovo le vacanze di Natale, di nuovo il fior fiore della miscellanea società italiana, rappresentata da emblemi cristallizati, si riversa ad attendere l'anno nuovo nel medesimo luogo di villeggiatura. L'industrialotto milanese, i burini romani, gli omosessuali-non-omosessuali emiliano-siciliani, e bla bla bla, ricchi premi e cotillons. Nulla di nuovo, tanto per cambiare.

Che dire? Tutto è stato già detto, scritto, qualcuno si sarà di certo  speso nella formulazione di teorie che spieghino, giustificandolo, il fenomeno del cinepanettone al di là della mera motivazione economica. Il problema, a mio avviso, in tali operazioni, risieda nel fatto che, anno dopo anno, vi sia ancora del pubblico che brami la visione di siffatto pattume, esaltandolo al punto da renerlo genere vero e proprio, epifanica apparizione attesa ogni anno, proprio come si attendono le Feste o il processo del lunedì. Misteri italiani, e amen.

Il film. Il "film" (le virgolette sono d'obbligo) nulla ha a che spartire con l'originale del 1983, poiché già completamente convertito alla dannata riproposizione di comicità prettamente e sfacciatamente televisiva, il cibo preferito dagli italiani, la ragione precipua che suole muovere l'abitante del Belpaese vero la sala cinematografica per affollarla. L'equivoco alla base dell'episodio di Boldi e De Sica è sciatto e trito, così come lo sviluppo della loro storia, manco a dirlo declinata sul versante gastro-sessuale, orizzonte poi ampiamente esplorato e mai perduto nei capitoli successivi. Frassica-Roncato difficilmente digeribli, nondimeno ciarlieri e stereotipati, storiella bislacca, male impostata e totalmente inesplosa. E poi il buio oltre la siepe, quel peccato (mor)tale da infangare, in coda, una carriera intera: la presenza di Albertone. Sebbene aggiunga una profondità spiccia ma insolita alla sua vicenda, vederlo prestare la propria maestria, il proprio talento a una simile scempiaggine, fa male al cuore e alla memoria. Infine, la storia che vede protagonista Greggio, totalmente avulsa dalle altre, slegata, brutta, inguardabile, incredibilmente posticca e fuori luogo, affettata in alcuni passaggi da risultare sgradevole, un ammicamento, quello al cimea dell'orrore che fu (sic!), pronto a fare il paio con l'incursione "hitchcockiana" del panettone precedente. E questo, da solo, sarebbe sufficiente per comprendere lo stato semiconfusionale in cui versassero regista e sceneggiatori, oltre ai produttori, al momento del confezionamento dell'agognata fatica natalizia.

Alla fine, tutti a festeggiare il nuovo anno, i cattivi gettati in piscina (ideona!), il proletariato trionfa e ogni cosa si assesta nel posto preassegnato, all'insegna del moralismo più fiacco, più becero, più insulso, sciocco proprio in quanto finto.

E pensare che nemmeno è il peggiore dell'intero filone.

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