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Carrington

Regia di Christopher Hampton vedi scheda film

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La recensione su Carrington

di Bebert
7 stelle

Dora Carrington, nel 1915, conosce Lytton Strachey, intellettuale nato nel 1880 da famiglia agiata e indirizzato agli studi umanistici per lampante attitudine: una sensibilità da coltivare e Strachey, da una scuola all’altra scrive un notevole capitolo della cultura anglosassone. E’ dichiaratamente omosessuale e appartiene al “Bloomsbury”, gruppo di artisti nato nel 1905 che ha la punta di diamante nella scrittrice Virginia Woolf. Il film lascia l’impressione d’aver letto un romanzo di quest’ultima, dove la trama è sfondo per scavare nella psicologia dei personaggi, in una giornata, in anni o secoli. Il tempo scorre e conta limitatamente a questo moderno stile narrativo.

Il regista Christopher Hampton ci consegna, nel 1995, un prodotto raffinato e gli attori, Emma Thompson (Carrington) e Jonathan Pryce (Strachey) sono coppia perfetta per ridarci una sembianza probabilmente vicina alla realtà di quegli anni. 1915, la Prima Guerra Mondiale è in corso e Lytton è obiettore di coscienza, non vuole saperne d’andare a combattere – lascia che ci vada chi è più adatto – e subisce un processo. È riformato e continua la propria carriera di scrittore e storico: il successo arriverà ed anche il benessere economico.

Un ambiente, questo, che pare isolato dal mondo: in realtà il Bloomsmbury era impegnato su vari fronti nel deviare le usanze delimitate da una decenza tradizionalista. L’impressione che otteniamo (dal film) è comunque di un ambiente snob in cui è vero che i sentimenti, le pulsioni intime sono analizzate a fondo e certo sinceramente, ma è anche evidente che l’”amore” è sentimento, non sentimentalismo: in balìa della continua auto-analisi, i “nostri” si perdono a fare i Freud di turno o scambiando posto sulla poltrona, i pazienti e il Dottore. La concentrazione su ogni minimo attimo della sfera affettiva, toglie naturalezza e diviene un estetismo fine a se stesso.

E’ una vita, quella di Carrington, come tante di cui non si scrive e non fa da modello – non lo è – perché in quel lasso di tempo, quegli intellettuali sperimentarono tante esperienze appassionate e un po’ meno quelle che ci sgombrano dall’invadenza della coscienza. Pare quasi una responsabilità, quella di provare sentimenti ed analizzarli, un controsenso, quando quello che dovrebbe essere naturale e semplice va a finire sul vetrino del microscopio.

Carrington e il suo impossibile amore indirizzato su un uomo che non può ricambiarla: ci muove alla partecipazione, alla compassione, forse, perché non c’è scampo? La libertà d’infinite scelte ci ha destinati alla sofferenza: oppure non c’è scelta e l’istinto ci guida. Se l’”amore” è necessario e ci prende quando è impossibile, il destino non può che essere tragico. Perché è nulla, ma se va in altro modo, e succede, è concepibile e càpita. Il nulla che era lì, “presente”, e ci chiamava a sé, non ci dava alcuna possibilità di concepire l’avvenire ancora come scelta. La sofferenza è il tormento del nulla. Altrimenti: la possibilità di una nuova opportunità rimuove il nulla come “presenza”.

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