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Magnificat

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su Magnificat

di dedo
8 stelle

Pupi Avati è un regista serio e, nel parlare del film, considererò fortemente attendibile la ricostruzione storica descritta, circoscritta in un periodo ben determinato: la settimana santa del 926 d.c.. E’ uno spaccato variegato e vivo delle condizioni di vita di un piccolo feudo, in ambiente montano, ostile, sia da parte dei servi della gleba, sia del clero, sia della casata gentilizia. La trama,  non si focalizza su singoli personaggi ma ha una dimensione corale riguardando la quotidianità  degli abitanti del feudo. Avati con taglio tipico del cronista descrive la misera vita del contado, con poche possibilità di emergere ad un rango più elevato, salvo essere scelti come aiutante del boia ufficiale o rinchiudersi in convento come novizia, spogliata di ogni avere terreno (un settimo del patrimonio familiare) da accreditare alla madre badessa. Un clero che opera in un convento con i suoi rigidi rituali, in cui si miscelano credenza religiosa con superstizione ed evidenti connessioni con l’eredità ancestrale pagana, con le sue pseudo reliquie, lucrose per il richiamo di numerosi fedeli. Una corte feudale, sufficientemente povera e devota, quasi succube, al potere ecclesiastico, molto distante dalle esigenze del contado. Il regista ebbe a dire:”  Sono risalito a mille anni fa per trovare un'epoca in cui la fede era fondamentale per riempire quel silenzio di Dio che era allora identico a quello che è oggi. [...] Era tale e tanta la necessità di trovare un interlocutore che trascendesse le cose e gli uomini per dare un senso ad una vita così grama e bestiale, per trovare un modo di vivere e sperare” La fede religiosa era l’unico collante capace di tenere in piedi una umanità arcaica così scollegata ed ancora dominata da usi e credenze pagane. Alcuni momenti del film mi hanno particolarmente colpito. L’amministrazione della Giustizia che ricorre ancora all’ordalia come prova determinante nel giudizio su un caso di supposto uxoricidio. L’elencazione delle pene erogabili a seconda del reato, La rappresentazione di una esecuzione a morte mediante squartamento. L’orrore della concubina del re quando viene a sapere che il figlio appena nato è una femmina, quindi non considerabile nella successione al trono. La formale  rivendicazione da parte dell’erede del feudo del diritto di “ius primae noctis” in un caso di matrimonio.  I ripetuti e vani tentativi del nuovo feudatario di avere un segno di contatto e di approvazione da parte dell’anima del padre. Il lavaggio della salma di costui in una vasca piena di vino, onde togliere le lordure accumulatesi durante una vita in cui non aveva mai fatto un bagno. Il film con precisione ed equilibrio rappresenta con cruda ed efficace capacità il complesso di eventi che si intrecciano e si amalgamo tra loro armonicamente. Lo spettatore viene aiutato nella successione degli avvenimenti tramite una voce fuori campo che fa da collante tra le vicende poliedriche di un genere di vita per noi sconosciuto ed assurdo. Questa opera di  Pupi Avati è fuori dai suoi abituali argomenti. Alla misticità associa una feroce critica verso la conduzione di una esistenza acritica e succube, temi oltremodo attuali. E’ consapevole che il film non avrà un grande successo commerciale, ma, supportato da una scenografia, fotografia (di Cesare Battistelli) e costumistica di impressionante impatto visivo, dalla generosa e pertinente colonna musicale di Riz Ortolani, realizza un film di grande spessore tematico e significato, molto attento nella cura della ricostruzione dell’ambiente arcaico nei suoi particolari peculiari . A mio avviso è la sua migliore prestazione. Voto 8

Sulla colonna sonora

Pertinente, non invadente, curata. Un Riz Ortolani quasi irriconoscibile

Su Pupi Avati

A mio giudizio il migliore Avati fra le sue opere viste

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