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Il corvo

Regia di Henri-Georges Clouzot vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il corvo

di luisasalvi
8 stelle

Ottimo. Certo, affermare che tutto il male non è da una sola parte, che un delatore può essere pazzo ma avere i suoi motivi, una sua intelligenza, e soprattutto dice anche cose vere o può ottenere effetti positivi, se pur traumatici, di purificazione, sono cose che possono irritare i resistenti se vengono affermate per conto degli occupanti tedeschi... In compenso i tedeschi hanno dimostrato maggior apertura mentale dei resistenti e del governo di liberazione, producendo un film (che tuttavia sembra che sia stato denunciato anche dalla Gestapo, non solo dalla resistenza francese) che ha come presupposto indiscusso l'indegnità della delazione e l'anormalità (per quanto comprensibile o compassionevole) di chi la compie, e l'esplicita condanna del giovane giudice che si oppone alla ipocrisia burocratica del padre (del vecchio potere), ma per dar retta al corvo e incriminare il giovane medico calunniato, colpevole solo di aver cambiato (e solo in parte) il nome: troppo facile, nel paese occupato e riconoscendo nel corvo un delatore (come ha fatto chi ha poi vietato il film e sospeso il regista dall'attività fino al 1947), vedere nel giudice l'autorità tedesca o quella francese collaborazionista e nel medico che cambia il suo nome un ebreo che per continuare a svolgere onestamente il suo lavoro a favore della comunità deve nascondere la propria identità, pur senza aver commesso colpe; perfino il mutamento del nome, limitato all'eliminazione della sua seconda parte, fa pensare ai tanti nomi ebrei leggermente modificati ("-mann"/"-man"). La moglie del delatore, innamorata del giovane medico ma costretta a collaborare, acquista tutta la sua drammatica verità nell'allusione politica, mentre nel racconto sembra meno convincente. Vorzet sembra una parodia dell'Autorità che può costringere gli altri a fare ciò che vuole e convince le vittime a denunciare le persone amate; così Germain firma la richiesta di internamento per Laura. Ma le attribuzioni di campo sono come le ombre (nella bella metafora proposta dallo stesso Vorzet che fa oscillare la lampadina) o le colpe: cambiano secondo i punti di vista ed i momenti, e il film è finito vittima proprio di ciò che denunciava.
Comunque un ottimo film; il fatto che non abbia fatto scuola non è certo colpa sua, ma dell'ottusità degli altri. Non è neppure così nero come si dice, poiché il tema è la riabilitazione e la necessità di non giudicare, e alla fine viene esaltata l'umanità e la sensibilità di Denise, inizialmente riprovata: sarà lei a difendere l'avversaria Laura dalle accuse del marito delatore. Notevole comunque che tutta la vicenda delle lettere anonime sia inclusa in due lettere anonime mandate dalle due donne, la prima da Laura e l'ultima da Denise, entrambe al giovane medico e dettate da amore. Ma la conclusione lascia un ultimo dubbio: è certamente Laura che ha telefonato a Denise per dirle di aver ricevuto una minaccia, e così far credere a Germain che sia lei la colpevole; lei invece difenderà Laura e convincerà Germain che Laura agiva per paura; ma il gioco di connivenze fra i due coniugi è molto più complesso: lui ha fatto il gioco di lei e lei ha accettato e assecondato quello di lui; se pur non ne è l'autrice, sa il contenuto delle lettere che la accusano e dell'invito a incontrare Germain: non sarà davvero "matta" anche lei? "Come tutti", aveva detto Vorzet.
A conferma che il male e il bene sono intrecciati in ogni uomo, e che non è chiudendo gli occhi per negare il male che lo si elimina; anzi, l'unico modo per superarlo è quello di denunciarlo, anche se non attraverso la delazione anonima, che fa danni anche quando è dettata da amore (come nel caso delle due donne). Non è così amaro come dicono, e non denuncia la borghesia francese, ma semmai l'umanità intera, bambini compresi ("in un paese, qui o altrove", recita la premessa; in una scena appare la scritta di "St Robin", che non ho trovato né sulle carte né nelle guide francesi; ma lo stile delle case e i costumi delle donne del paese rinviano alla Bretagna. Comunque (secondo imdb) nella versione originale la scritta era "Une petite ville comme il en est tant en France", trasformata dopo la guerra in "Une petite ville, ici ou ailleurs"; ma secondo altri la scritta iniziale sarebbe stata aggiunta solo per le proiezioni in Germania durante la guerra, e secondo altri ancora non è vero e non sarebbe mai stato proiettato in Germania durante la guerra: cf Thunderbolt ., 8 December 2001, imdb).
Il "dramma", come è proposto nel film e riassunto nei commenti, nasce dal fatto che il corvo avverte un malato che la sua malattia non ha speranza: oggi è doveroso farlo, allora era considerato quasi criminale, in Francia, ma in Germania si pensava all'eutanasia. Il malato aveva chiesto che gli cambiassero il letto perché il 13 porta male; non credo che l'episodio sia stato introdotto dal regista solo come curiosità folcloristica fine a se stessa; perché, allora? Il regista la presenta come una superstizione; la richiesta di cambiare letto sottintende quella di scaricare il male su un altro degente, e resta senza alcun commento, né spiegazione. Nessuno si salva in quel paese qualunque, tranne Denise, disprezzata e riprovevole secondo la morale comune; e forse il corvo ha tutte le ragioni, oltre a provocare in ognuno utili chiarimenti e prese di coscienza, o almeno l'obbligo di riconoscere i difetti propri e altrui, senza poter più fingere di ignorarli.
Germain vuole salvare le madri partorienti piuttosto che i figli, poi è tentato di non far nascere un figlio che ritiene tarato, cosa oggi legalizzata, allora ammessa dai tedeschi ma non dai francesi, infine, richiamato all'amore proprio dalla donna che lui prima disprezzava, cambia idea e pensa che sia prioritaria la salvezza del figlio, con costante mancanza di delicatezza (per non parlare d'amore) nei confronti della ragazza, che infatti glielo rinfaccia; ma a questo punto il regista ci ha ormai convinto a dare più credito e più stima umana a lei che a lui. E forse più al vero corvo che alla sua vittima o alla moglie, che aveva iniziato la serie delle lettere e provocato e poi assecondato la follia del marito.
Ma ciò che conta cinematograficamente è l'efficacia con cui tutto ciò è detto, anzi, è imposto allo spettatore per coinvolgimento abile, spettacolare ma autentico: l'atmosfera di sospetto per tutti, la parabola proposta da Vorzet della lampadina che oscilla, alternando luci ed ombre, e Germain che si scotta le dita nella vana pretesa di fermarla e separare le ombre dalle luci; Denise sorpresa a scrivere la lettera anonima in cui si dice incinta chiede a Germain di guardarla per convincersi che lei non è il corvo e che lo ama.
Insomma, un paese qualsiasi, di merda come tutti, ma in cui si può riuscire a scoprire moti umani in chiunque, se pur forse più nel dolore: le ultime battute rivelano qualche nota positiva in ognuno; è lo sguardo del regista che opera l'indagine e il cambio di prospettiva.

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