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Maledetta, ti amerò
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Teaser poster italiano

Maleficent (2014): Teaser poster italiano

     Rimango piuttosto perplesso e dispiaciuto nel rilevare che una delle più frequenti ed accanite critiche contro il “Maleficent”  di Robert Stromberg sia quella di imputargli la presunta colpa di non aver voluto distinguere nettamente il “Bene dal Male”. Constatato amaramente il fatto (e forse per analogia di genere cinematografico), con la mente sono istintivamente riandato alle vicende dei Baggins de “Il Signore degli Anelli”, e a tutte le volte in cui, compreso nel suo preambolo “Lo Hobbit”, accadeva esattamente la stessa cosa senza che nessuno (giustamente) se ne lagnasse. Quanto si mischiavano il Bene e il Male, per esempio, nei personaggi di Gollum, di Saruman, degli stessi Bilbo e Frodo, o degli Elfi Silvani, abitualmente ostili agli Hobbit (i “Buoni”) e pertanto, nella logica della contrapposizione, i “Cattivi”... Eppure l’opera di Tolkien, al quale Peter Jackson si ispira con cronometrica fedeltà,  è considerata testimonianza di un’etica alta e nobile, fino a raggiungere le vette e i gradi dell’insegnamento esoterico vero e proprio.

 

 

 

 

Angelina Jolie

Maleficent (2014): Angelina Jolie

     Per questo recente film, invece, forse a causa della fonte letteraria da cui vuol trarre origine (“La Bella Addormentata nel Bosco” di Charles Perrault, una delle favole più brutte al mondo, scritta  - e non è un dato irrilevante - da un autore che ha vissuto due secoli e mezzo prima di Tolkien, e che a costui non sarebbe stato neppure degno di allacciare i calzari...), ammesso poi (e non concesso) che non si sia invece ispirato alla stessa Disney di molti anni prima (lo “Sleeping Beauty” d’animazione del 1959), il trattamento di critica e pubblico è stato decisamente diverso, perlomeno qui dalle parti degli amici di FilmTV (sempre viva FilmTV!), dal momento che prestigiosi siti internazionali (che non cito per amicizia appunto, ma che tutti sanno quali sono) gli attribuiscono un ranking ben più alto.

 

Personalmente credo, invece, che questo film sarebbe piaciuto, per esempio, a un certo Fëdor Dostoevskij, il quale a suo tempo non ebbe certo bisogno del tridimensionale, special-effettistico e ancora increato mondo di Hollywood per poter scrivere uno dei più nobili, universalmente ritenuto tale, trattato sulla Redenzione quale “Delitto e Castigo”. Perché la Redenzione, come insegna appunto anche (e “nel suo piccolo”, si fa per dire) Dostoevskij, non può non passare che attraverso l’assunzione del Bene e del Male insieme, magari a dosaggio differenziato, magari con temporalità o consequenzialità modulate ognuno a suo modo e secondo il suo “destino”, in una esposizione tesa a dimostrare (ipotesi che amo spassionatamente) che il vero, unico “Bene” al quale si possa avere accesso sia la Redenzione stessa, e non un “Bene” che, di per sé, non significa nulla, come quando si guarda un documentario sulla savana africana allorché, a seconda che il protagonista ne sia la zebra o quello di mamma leopardo coi piccoli da sfamare, rimbalzi capriccioso da una sponda all’altra.

 

         Agli accaniti critici di cui sopra, forse anch’essi addormentati dopo il fatidico incontro con il loro personale arcolaio, forse è sfuggita una delle scene cardine del film, quando la Strega Cattiva (nonché Fata Buona) Maleficent, a dispetto ed in onore a se stessa ed alle sue inconosciute sorti, tenta inutilmente di revocare il maleficio lanciato da lei stessa anni prima sulla neonata Aurora. O comunque è sicuramente sfuggito (e qui il sonno comincerebbe ad essere colpevolmente aprioristico e diffuso) il dipanarsi della ingarbugliata matassa del rapporto tra le due donne, preferendo magari volersi grattare qualche sciocco prurito lesbico piuttosto che accorgersi dei diversi “steps” della vicenda, dalla venuta al mondo di Aurora che non può non rappresentare, per Maleficent, altro che la prova incarnata di un dolorosissimo tradimento (non solo a lei stessa, ma soprattutto a quel “Vero Amore” cui è stata costretta a cessare di credere), l’errore della protagonista (solo più tardi compreso) a voler gettare sull’infante il peso delle colpe non sue (colpa che non potrà che ritornarle indietro), passando per le scene, toccantissime, una: in cui la piccola Aurora ancora bebè chiede sorridente alla riluttante Strega/Fata di prenderla in braccio per un istante; un’altra: quando per la prima volta la già adolescente Aurora riconosce in Maleficent la sua madrina, “l’Ombra che Veglia” su di lei fin dalla nascita, e l’entusiasmo che a lei ne deriva viene subito stoppato da una già confusa Fata/Strega con uno schiocco magico delle dita; ancora (ma non sarebbe l’ultima...): quando Aurora, alla vigilia del fatidico sedicesimo compleanno, 
viene messa a conoscenza dalle tre fatine della sua vera storia e corre da Maleficent a chiederne conto... Tutto questo parla del “Bene e Male” come è giusto e reale che sia, e non come vorrebbero gli stupidi film manichei fatti di cow-boy e indiani, o dei super-eroi contro gli super stronzi (ben vengano, naturalmente anche queste interpretazioni, se ben inscenate: non ho nessunissima intenzione di privarmi di cose alla “Kill Bill”, tanto per dirne solo una).

 

     Insisto e proseguo: come fu per Gollum, anche l’antipaticissimo re Stefano, padre di Aurora, un tempo fu buono. E come non notare, nell’ambito della splendida sceneggiatura che Linda Woolverton ha scritto per questo film, di quanto delicato, e alto, e nobile sia stato il gesto del cucciolo d’uomo, futuro ignobile Re Stefano che, conosciuta Maleficent, getta lontano il suo anello di ferro che ostacolerebbe il loro potersi rincontrare, e di come invece, più tardi, l’atto di tagliarle le ali in vece di ucciderla (cosa che gli darebbe immediato lustro, onore, gloria e successo eterni) sia tutt’altro che nobiltà e pietà o misericordia, né tanto meno (voglio credere) un escamotage scritturale,  ma al contrario rappresenti una perversione insopportabile, mal calcolata e molto tolkeniana (pari probabilmente solo alla perversione con la quale Maleficent si rapporta ed è morbosamente attaccata alle sue imponenti ali, simbolo e strumento di potere) che neppure il “Male”, o il “Bene”, riuscirebbero a spiegare a se stessi...
         E che dire delle tre piccole fate? Da che parte stanno? Giustamente (o accidentalmente, non saprei...

Imelda Staunton, Lesley Manville

Maleficent (2014): Imelda Staunton, Lesley Manville

) non lo sanno neppure loro: creature  e cittadine della “Brughiera” capeggiata da Maleficent (felice il bluff con cui il film si presenta agli esordi: due regni confinanti e in guerra tra loro, ignari fino all’epilogo di essere un solo, grande Regno, quello della Redenzione, appunto), si pongono al servizio di non si sa bene chi, dal momento che Aurora, della quale si prendono goffamente cura per sedici, lunghi anni, è (o meglio: sarà) al tempo stesso figlia di uno (re Stefano, gli umani) ed erede dell’altro (quello di Maleficent e delle buffe creature del suo regno incantato). O del felicissimo personaggio di Diaval (chissà dove gli hanno pescato, i traduttori italiani, il nome di “Fosco”...), luogotenente corvino di Maleficent, inesistente nell’opera di Perrault e magistralmente inserito in questa di Stromberg, che, alla Maleficent che con uno spettacolare e scintillante e semplicissimo: “Into a Man!” o “Into a Dragon!” dispone di lui, trasformandolo come meglio ambiziosamente o convenientemente desidera nelle diverse circostanze,  contribuisce, con giobbesca pazienza e spirito di abnegazione (anche qui: un rapporto tra i due tutto da decifrare) ad attribuire a lei la summa di ogni sublime ambivalenza, cangiante come sarà per tutto il tempo nei ruoli e negli umori, titolare di colpe e di meriti, delle ragioni e dei torti, ora padrona, ora serva, forte e fragile al tempo stesso, a tratti imbattibile, a tratti senza difesa, solida testimone che il “Vero Amore” in cui nessuno crede (neppure lei), può trovare dimora alla fine solo dentro di noi,  e solo se in costante divenire.

 

     Non vorrei soffermarmi troppo sugli aspetti squisitamente cinematografici, visto che è nella sceneggiatura, secondo me, il vero punto forte di questo film. Però vorrei aggiungere che, a parte i consueti aspetti di regia, fotografia, effetti speciali, eccetera, per i quali credo che il film sia ineccepibile quanto inattaccabile (Stromberg, anche se qui è alla prima firma da regista, non è certo un ragazzino per i lavori del genere...), tra le pieghe di una vicenda a mio avviso profondissima e niente affatto leggera, il nostro regista e la sua sceneggiatrice hanno saputo inserire, impreziosendolo ancora di più, alcune scene se si vuole semplici e infantili, ma che contengono una delicatezza assoluta ai limiti della purezza, e il pregio di lasciarci anche il tempo di divertirci “alla Perrault”. Una su tutte: la breve scena della battaglia a palle di fango tra Aurora e le creature della brughiera, girata con maestria perfetta riguardo ai tempi e sulle inquadrature. O anche quella della dispettosa Maleficent che fa piovere dentro la casetta tra i boschi delle tre piccole fate (a proposito... che buffo ritrovare un’icona tragica come il viso di Imelda Stauton nel corpicino miniaturizzato e volante della fatina-capo!), divertendosi a disturbare un già divertentissimo convitto delle tre intente a beccarsi tra loro.

Insomma... a questo film, a mio avviso uno dei più belli degli ultimi anni, non manca proprio nulla. Già solo la Jolie che, pure con le corna e gli zigomi sovradimensionati, riesce lo stesso ad incantare il pubblico e a farsi amare come è da tempo (e giustamente) abituata; sul resto del cast non c’è molto da aggiungere, se non la (disturbante) somiglianza di Sam Riley (Diaval)  col nostro Fabio de Luigi (sòc-mel, che roba!), l’onesta prova di Sharlto Copley nei panni di Re Stefano (ah, però... mi veng

Elle Fanning

Maleficent (2014): Elle Fanning

ono i brividi solo a pensare a cosa sarebbe potuto essere se al suo posto ci fosse stato un Daniel Day Lewis...), e la giovanissima Elle Fanning (classe 1998)  nei panni di Aurora, che avevo già apprezzato nel bel film “Ginger e Rosa” di Sally Potter, qui abbondantemente promossa in un ruolo solo fintamente facile, capace di una notevole intensità (prego notare le sue bellissime e rapidamente mutevoli espressioni nella scena del suo incontro col Principe Filippo) e al tempo stesso capace di calarsi in un personaggio tutto fiabesco che, dopo appunto ruoli come quello di Ginger, poteva lecitamente considerarsi a lei poco affine (beata gioventù, che ha ancora tutta una carriera davanti, e mille prove da affrontare!).

 

 

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