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PARDO NEWS 2014: defezioni, polemiche e addii. Atmosfera pesante, malinconica, che odora di sconfitta. Ma il Concorso si riprende e sfodera le sue carte migliori coi "vecchi". Ancora bene gli italiani.
di alan smithee ultimo aggiornamento
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locandina

They Chased Me Through Arizona (2014): locandina

 

 

Aria di delusione per noi appassionati, e di sconfitta per gli organizzatori del festival; aria mesta e mortifera giunge già di prima mattina nella Piazza semideserta di Locarno. E' ciò che si respira da un paio di giorni a questa parte, dopo la notizia della defezione (non senza motivate ragioni) di Roman Polanski questa sera in Piazza Grande e domani di conseguenza per l'attesissima lezione di cinema del grande cineasta; lutto per due scomparse eccellenti: quella prematura e triste di Robin Williams a cui il quotidiano Pardo live dedica un appropriato saluto con un ironico ma per nulla fuori luogo “nano nano”, che è stato il messaggio di riferimento e parte di noi ragazzi degli anni '80 spensierati e burloni, anche nei riguardi della fantascenza; e pure quella più ragionata, ugualmente spiacevole, ma più naturale, accettabile e di classe, in linea con la personalità, l'eleganza e la riservatezza dell'interessata, ovvero della diva e moglie di Humphrey Bogart, l'inarrivabile per eleganza e bellezza, Laureen Bacall. Giornata di commemorazioni e di rimpianti, dunque velata di tristezza.

Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric

Venere in pelliccia (2013): Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric

 

Lauren Bacall

Il grande sonno (1946): Lauren Bacall

 

Se "Venus a la fourrure" (VOTO ****) continua a far parte del cartellone di questa sera in Piazza Grande, omaggio orfano ad uno dei più grandi registi viventi e dalla vita più tormentata di quella di molti protagonisti dei suoi capolavori, l'attore de L'attimo fuggente (ma io lo ricorderei non meno validamente con il fantastico e commovente La leggenda del re pescatore) viene salutato domani con la proiezione di One hour photo, filmetto mediocre (VOTO **1/2), come tutti ammettono, ma pellicola che ce lo ha mostrato, forse per la prima volta, in un ruolo inedito da carogna o da disturbato, certamente poco comune alle parti peculiari della sua notevole carriera hollywoodiana (e pellicola in cui appare, tra l'altro, pure la bellissima Connie Nielsen, uno dei membri della giuria di quest'anno del Concorso Internazionale). Per la Bacall Il grande sonno (VOTO *****) è la soluzione più consona ed adeguata o rappresentativa per rivedere la diva al culmine della propria carriera e bellezza.

Parlando di cose allegre, o almeno positive, direi innanzi tutto che il Concorso internazionale recupera il suo smalto e lo fa non tanto grazie ai giovani, che in qualche modo deludono tutti, ma al contrario con i nomi più conosciuti e lodati, quelli consolidati e già noti: Pedro Costa, dolorante di un mal di denti, ma comunque presente a presentare il suo film, il “vecchio” Vecchiali col suo aggiornamento dostojeskiano (ne parlerò domani però) ed un coreano tosto e drammatico danno pepe alla competizione, già esaltata ieri dal lungamente citato Lav Diaz, ad oggi sempre il migliore secondo i miei gusti.

 

Jungbum Park

Alive (2014): Jungbum Park

 

La giornata inizia col Concorso internazionale, e col film coreano drammatico e duro Alive, storia di sopravvivenza, di salari che non arrivano, di mansioni che non riescono ad essere portate a termine per interventi poco favorevoli del destino; di follie della mente che non vengono certo incontro nella soluzione del problema di vivere, sopravviere ad un destino duro su cui infieriscono molte asperità. Un operaio (interpretato dallo stesso regista Park Jungbum) di una fabbrica di prodotti di soia tenta di raggiungere la produttività programmata per poter incamerare il compenso pattuito, ma l'intervento maldestro della sorella folle, inaffidabile e maldestra, contribuisce a far deteriorare il prodotto e a compromettere totalmente il destino del lavoratore. A questi avvenimenti funesti e “verghiani” si intrecciano destini di individui che sono in qualche modo legati al protagonista, come quello della giovane nipote, bambina abbandonata a sé stessa a causa della follia irrecuperabile di una madre incontenibile.

 

scena

Alive (2014): scena

 

Alive, terzo lungometraggio del regista Park Jungbum, nato come un corto e poi espanso fino a sfiorare le tre ore di durata, è un macigno ben narrato, teso e drammatico, pessimista e inesorabile, dove le pene e le sfortune piovono sempre sul ceto più povero e debole; uno titolo tra i più interessanti del programma, una odissea senza fine dove il dramma sommerge ogni cosa e il dolore di vivere diviene una costante di una vita che è un lungo drammatico purgatorio senza luce. Una meravigliosa fotografia che azzera i colori e comunica freddo non solo metereologico, ma anche e soprattutto del cuore e dei sentimenti, è un corredo perfetto e calzante per un film che disturba, ma che non si può non ammirare o del quale non riconoscerne le qualità.

VOTO ****

 

scena

The Stranger (2014): scena

 

The stranger è uno dei migliori documentari che ho visto quest'anno nella sezione Semaine de la Critique. La regista irlandese, giovane e bionda Neasa Ni Chianain ci documenta tutto quanto riesce della enigmatica esistenza di un'artista inglese, designer di oggettistiche anche sofisticate e particolari, disegnatore di oggetti avveniristici, gioielli e materiali di arredamento avveniristici e complessi che stonano completamente con lo stile di vita spartano che intraprese, prima di morire in corcostanze misteriose a soli 43 anni in un'isola semi deserta nell'arcipelago del Donegan, in Irlanda. Neal MacGregor scelse di vivere in eremitaggio, dopo un matrimonio appena ventenne durato poco e dopo aver conosciuto una donna riservata e taciturna come lui che si decise a seguirlo. Con lei e con un cane fedele si isolò dal mondo continuando a disegnare le sue avveniristiche combinazioni ed intrecci di materiali dal suo casolare di pietra affacciato su una collina erbosa a ridosso del mare agitato del Nord.

La vita del bizzarro ed enigmatico artista viene raccontata, seppure a frammenti, ricostruendo alcuni tratti salienti dai ricordi di persone che lo conobbero, lo sfiorarono, ebbero dei contatti con lui. Ne scaturisce una raccolta frammentaria ma suggestiva ed interessante, messa assieme con cura e passione grazie alla testimonianza del fratello e delle poche persone che lo hanno conosciuto od hanno avuto occasione di incrociare con lui il proprio cammino. La morte della sua silenziosa compagna e complice non molti anni dopo, e persino quella del suo amato cane solo poche settimane dopo il suo ritrovamento senza vita nella baracca di pietra in riva al mare, non fanno che infittire il mistero su comportamenti e scomparsa di un uomo pieno di talento che rifuggiva dal mondo astratto, ricercato e fasullo che in qualche modo contribuiva a creare.

 

scena

The Stranger (2014): scena

 

Sulla sua morte ipotesi che alimentano misteri, anche quello che la sua identità seminascosta celasse un incarico come agente segreto dell'IRA. Non lo sapremo mai e non è compito di questo interessante e suggestivo documentario scoprirlo.

VOTO ***1/2

 

Pedro Costa

Centro Histórico (2012): Pedro Costa

 

In sala Fevi, che raggiungo velocemente e senza affanni grazie al proverbiale servizio di navetta caldeggiato dal buon Port Cros nei giorni precedenti, ed ora eletto da optional superfluo, ad elemento essenziale ed irrinunciabile, è l'ora di affrontare l'ultima opera del celebrato autore portoghese Pedro Costa, Cavallo dinhero. Un film-esperimento di un regista acutissimo e dalle spiccate qualità scenografiche, che con le sue inquadrature plastiche e l'alternanza sapiente dei colori, del nuovo e del vecchio, degli accostamenti luce ed ombra, riesce a dipingere quadri suggestivi e indimenticabili nelle lunghe sequenze statiche che compongono la vicenda. Un film finito di montare da due settimane, privo di manifesti, e che il regista confessa di non aver ancora visto nella sua completezza tutto di seguito.

La vicenda è quella ambientata in un quartiere di un isola dell'arcipelago di Capo Verde (forse Praja, forse Sal, non lo specificano) chiamato Fontainhas.

 

Il volto smarrito del vecchio Ventura

 

Da antiche fotografie rovinate che illustrano quel quartiere degradato, il regista portoghese ricostruisce un ambiente povero e percorso da frammenti di civiltà che è il punto di partenza dal quale si smarrisce il vecchio e tremolamte Ventura, un nome un programma, verso un percorso accidentato con le incognite della propria coscienza, della guerra, di un popolo sfruttato e deturpato come sempre succedeva alle colonie. La vicenda del passato assume i colori, le dinamiche, i costumi e le "macerie" di una società che è un brandello di modernità, dove i detriti, i muri sbrecciati e le discariche sono pieni di oggetti moderni che tuttavia non servono più perché già superati o già distrutti.

 

Il regista Pedro Costa ed il Direttore Artistico Carlo Chatrian

 

La fuga del vecchio dalla distruzione è la rappresentazione di una evasione per non perdere le proprie origini: una fuga senza scampo che tuttavia va messa in atto. Costa è un gran regista e, a mio avviso, di ciò dovrà tenerne conto la giuria, almeno per un premio alla direzione.   

VOTO ****

 

Al teatro Kursaal faccio nuovamente ritorno alle ore 14 per il secondo film coreano della giornata, quel A Fresh Start di Jang Woojin presentato nella rassegna Cineasti del Presente. Titolo ironico e doloroso, se vogliamo, dato che l'inizio (di una nuova, ipotetica famiglia), è tutt'altro che fresco e foriero di promettenti auspici.

Finito il servizio militare, il giovane Ji-hyeon torna a frequentare l'università per teminare i corsi di studio intrapresi. Nel campus si dà da fare con più lavoretti temporanei, per pagarsi le spese ed aiutare la madre, in balia degli strozzini dopo aver contratto un prestito usuraio.

Woo Ji-hyeon, Lee Hye-rin

A Fresh Start (2014): Woo Ji-hyeon, Lee Hye-rin

 

Da un rapporto occasionale con la pari-corso Hye-rin, questa scopre di essere rimasta incinta: ma se ne persuade a gravidanza inoltrata, complicando le procedure e facendo lievitare i costi per avviare un aborto, soluzione scontata da entrambi che non si soffermano per un attimo a valutare anche distrattamente ipotesi differenti. Sofferenze, nevrosi, apatia e freddezza sono i sentimenti tutt'altro che genuini e beneauguranti di un rapporto di coppia che sembra avviato unicamente a una soluzione medico-burocratica che escluda ogni compromesso sentimentale.

Ma un giorno, all'interno di una grotta dove i due finiscono per caso come turisti qualunque, quando la ragazza si perde e lui non riesce più a trovarla, al momento in cui i due si ritrovano, sotto le luci e la penombra di quella catacomba naturale vecchia milioni di anni, scatta, forse (non ne siamo per nulla certi, ma il dubbio è legittimo e ci piace maturarlo) quella scintilla che nella volgare realtà soprastante veniva soffocata dall'indifferenza e dall'egoismo.

Un buon esordio di un regista, Jang Woo-jin, che rivedremmo molto volentieri per una conferma dopo questo film dai buoni auspici.

scena

A Fresh Start (2014): scena

VOTO ***1/2

 

Sempre nel Concorso Cineasti del Presente (gran bella rassegna ricca di sorprese o curiosità, devo ammettere), ci divertiamo un pò col nonsense del Far West Polacco ironico e laconico come succedeva (e succede in parte ancora) con l'irraggiungibile finlandese Kaurismaki. THEY CASE ME THROUGH ARIZONA di Matthias Huser ci fa percorrere, con l'ostilità di chi rimane fedele al vecchio e diffidente al nuovo - cioè l'atteggiamento tipico dei perdenti - il passaggio dall'era analogica a quella digitale. Leonard, riservatissimo ed ombroso operaio di una fabbrica che manutiene le cabine telefoniche, è stato estratto a sorte per procedere alla disinstallazione dei telefoni in esse contenuti, ormai praticamente inutilizzati con l'avvento dei cellulari. Non potendo condurre l'auto, per antiche poco chiare traversie burocratico/comportamentali dell'interessato, egli si fa accompagnare da un collega. ombroso e laconico quasi quanto lui. Entrambi condividono la passione per un fumetto trovato per caso in un ammasso di libri vecchi e, a turno se ne contendono la storia, rivivendola con la medesima epica nelle fasi, tristi e desolanti, del loro viaggio terminale dettato da regole economiche e di profitto che entrambi non comprendono.

Eryk Lubos, Halina Skoczynska, Krzysztof Kiersznowski

They Chased Me Through Arizona (2014): Eryk Lubos, Halina Skoczynska, Krzysztof Kiersznowski

Krzysztof Kiersznowski

They Chased Me Through Arizona (2014): Krzysztof Kiersznowski

Ironico e godibile, divertente e raggelato proprio come un fumetto impostato e caricaturale, They cased.. gioca sul grottesco e sulla favola risultando gravemente debitore del già citato Kaurismaki, ma con la grazia ed il savoir faire di chi emula e ripropone senza infastidire, ma anzi producendo un filmino godibile che ha molti requisiti per piacere pure in sala.

VOTO ***1/2

 

Cast e regista  Yanira Yariv (la seconda da sinistra) de Amori e Metamorfosi

 

Appartiene a "Sign of Life", nuova rassegna di questa ultima edizione festivaliera che ambisce a percorrere i nuovi territori della narrazione e del lnguaggio cinematografico, il quarto titolo italiano del Festival: AMORI E METAMORFOSI, della giovane regista originaria israeliana, ma naturalizzata francese Yanira Yariv: una coproduzione che vede l'Italia come il paese principale come stanziatore di fondi, cast e lingua prescelta. Con questo film il poker italiano presente a Locarno conferma le sue spiccate qualità autoriali e questo Amori e Metamorfosi è sicuramente il titolo più colto ed impegnato, ancora più delle geometrie ed architetture di Eugene Green o delle ricerche genetiche e comportamentali del "significato", presenti nell'interessante opera di Rapisarda Casanova.

 

La locandina a Locarno

 

L'opera di Publio Ovidio Nasone, Le metamorfosi, recitata da un io narrante che fa capolino tra le paludi ed i boschi ombrosi del Circeo, nasconde dietro le varie vicende di trasformazione di dei e mitologie greche, da Callisto che diviene un' orsa, Giove che si tramuta in Diana, una ninfa che si trasforma nel giovinetto ambiguo e bivalente Ermafrodito ed altre ancora, la mutazione vera, traumatica, straordinaria, necessaria quanto drammatica di altrettante persone, vere però, non mitologiche, e come tali pure e genuine, che hanno preferito definire ciò che la natura aveva, per una svista o chissà per quale altra ragione, disposto in maniera opposta e contraria. Non è vero che madre natura vede e provvede, dispone e regola secondo leggi inequivocabilmente corrette e puntuali. La voce del cuore, dell'accettazione interiore, ha spinto queste persone, attori meravigliosi di se stessi, a recitare la parte più drammatica e vera della propria esistenza, raggiungendo finalmente, dopo mille ostacoli di ogni tipo - fisici, morali, legali e burocratici - quell'equilibrio e quella perfezione interiore che li rende finalmente padroni di se stessi.

Inevitabile che, nelle rispettive parti di se stessi, gli attori coinvolti risultino toccanti, autentici, emozionanti anche pronunciando i testi originari dell'età di Cristo.

Amori e Metamorfosi è un piccolo film importante che tocca il cuore e lo spirito, che apre le menti spesso ottuse e sorde ai richiami interiori, o troppo superficialmente legate ai dettami e ai dogmi di una chiesa che non capisce e non vuole capire.

VOTO ****

 

Terminiamo questa giornata densa e sodisfacente in Piazza Grande, a notte fonda, sapendo che in quel contesto, e dopo un film di tale spessore e contenuto come quello precedentemente trattato, si volerà basso, bassissismo addirittura questa volta, per compiacere la folla, troppo spesso eccessivamente istintiva e così umorale da farsi imbrigliare in storie ricattatorie e zuccherose che partono da contesti seri, come in questo ultimo caso, per svilirne i contenuto e virare sulla favoletta consolatoria di buoni sentimenti.

Non bastava il valido L'Abri dei giorni scorsi in Concorso a delineare con drammaticità e precisione di una docu-fiction corretta e valorosa, la situazione precaria degli emigrati, di coloro che non sanno dove passare la notte o, come in questo caso, attendono invano un pass che regolarizzi la propria posizione transitoria ed non delineata, e che come tale crea frustrazioni e disagi infiniti ad aggiungersi alla già precaria condizione di stranieri, oggettivamente  mal visti o al più tollerati.

La storia di SCHWEIZER HELDEN ci presenta una sessantenne agiata ma frustrata di nome Sabine, abbandonata dal marito e dalle due figlie, e che, sola poco prima di Natale, decide di intraprendere la rappresentazione teatrale dell'eroe baluardo della Svizzera, ovvero Guglielmo Tell, la cui parte viene designata al più istrionico e brillante di coloro che vivono in un centro di accoglienza in cui la donna offre il suo tempo per opere di volontariato; un gigante nero simpatico che, per uno scherzo del destino, porta  come nome quello profetico e sinistro di Punishment. Questa messa in scena e tutte le fasi concitate della preparazione, diventano un esile pretesto per una commedia sdolcinata che il regista svizzero Peter Luisi conduce con occhio rivolto al consenso del pubblico o, meglio ancora, di Piazza Grande, che infatti ci casca in pieno e lo accoglie col consueto calore spropositato, e forse anche di più.

 

locandina

Schweizer Helden (2014): locandina

 

Sarà il mio ultimo film della rassegna Piazza Grande: ci sono ancora troppe pellicole importanti o almeno interessanti da visionare, e non c'e' proprio tempo da perdere con filmini di stampo televisivo, edulcorati e benpensanti, pieni di falsa compassione e sdolcinate intenzioni.

VOTO *1/2 

 

A domani dunque, promessa o minaccia che sia.

 

 

 

 

 

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