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Cronache da Venezia 2012 - Giorno 8
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Venezia 2012, Giorno 8

 

A Venezia. mercoledì 5 settembre è il gran giorno di Marco Bellocchio che porta il suo già controverso Bella addormentata, secondo titolo italiano in Concorso. Con tutta l'attenzione mediatica che il titolo richiama, rischia di passare in secondo piano il secondo film in concorso della giornata, The Fifth Season di Jessica Woodworth e Peter Brosens.

BELLA ADDORMENTATA


«Il film nasce da una fortissima emozione (e stupore) per la morte di Eluana Englaro. Sentivo anche però che questa partecipazione rischiava di limitare la mia immaginazione, sentivo che era necessario dilatare l’orizzonte... Ho aspettato due anni e così sono nate altre storie non estranee alla storia di Eluana eppure indipendenti, che “pescavano” in un tempo lontano, il tempo di tutta la mia vita, l’infanzia, l’adolescenza, la famiglia, l’educazione cattolica, il compromesso della politica, i principi morali, l’importanza della coerenza alle proprie idee, il rifiuto di arrendersi di fronte a una vita in pericolo che conserva però tutte le potenzialità per riprendersi, per rinascere. Senza Eluana che muore non ci sarebbe Bella Addormentata, che si risveglia».

 

THE FIFTH SEASON


«Che cosa accadrebbe se non giungesse la primavera? Dopo aver girato Khadak in Mongolia e Altiplano in Perù, era imperativo concludere la nostra trilogia in Belgio, luogo in cui viviamo. In The Fifth Season la natura prende il sopravvento nella protesta contro l’arroganza umana: non fa niente, non dà niente, nega fertilità alla terra e in questo modo provoca la rapida implosione di un’intera comunità. Al disastro si sottraggono soltanto poche anime che se ne fuggono. Il loro destino è ignoto».

 

Fuori Concorso sarà il turno di Gebo e l'ombra del 104enne maestro Manoel de Oliveira, di cui è previsto il passaggio su Raitre la prossima settimana.

GEBO E L'OMBRA


«L’idea per questo film nacque quando un amico mi chiese di fare un film sui poveri. Sì, l’idea era buona, ma non è facile fare un film sui poveri. Mi venne in mente Aspettando Godot di Samuel Beckett, un dramma sul quale molti intellettuali hanno discusso. José Régio, un critico sempre lungimirante, aveva visto in Il gobbo e la sua ombra, l’opera di Raul Brandão, un’anticipazione di Aspettando Godot di Beckett. Sono così ritornato a Il gobbo e la sua ombra di Brandão perché, pur essendo del secolo scorso, si adatta bene alla nostra attuale situazione, sotto il punto di vista etico ed economico, senza preconcetti. Anzi, rimane contemporaneo e universale. Inoltre, non è la prima volta che la Francia è l’ambientazione dei miei film. Il film è in francese. Sono un grande ammiratore di quel paese dove fu inventato il cinematografo che ha dato vita a tante opere d’arte, essenziali oggi e per il futuro, credo. Come ha detto il grande regista messicano Arturo Ripstein: “Il cinema è lo specchio della vita”. Oltre a dare un riconoscimento alla Francia in quanto paese di quell’invenzione, ho anche un debito personale verso i critici francesi che accolsero il mio primo film al quinto congresso dei critici cinematografici a Lisbona nel 1931».



Al grande regista e sceneggiatore inglese Peter Brook e al suo metodo di insegnamento è dedicato il documentario The Tightrope, girato dal figlio Simon e presentato fuori concorso.

 

THE TIGHTROPE


«Quando mio padre ha finalmente accettato di lasciarmi riprendere quel che accade durante le sue prove con gli attori, ho pensato: “Come posso mostrare quel momento magico e intangibile in cui il teatro diventa vivo e interessante? E come affrontarlo in un modo che non sia né noioso, né prevedibile, dal momento che non c’è nulla di tanto letale e trito quanto un film di teatro?” Il punto di partenza è stato quello di creare un ambiente in cui gli attori e i musicisti coinvolti si sentissero sicuri. Sicuri di poter sperimentare. Sicuri di poter correre rischi. Sicuri di poter sbagliare. Successivamente abbiamo studiato un allestimento con diverse cineprese nascoste che ci permettessero di essere nell’immediatezza del momento, in modo da fare entrare lo spettatore nel processo e da consentirgli di camminare sul filo insieme a noi».



Ad Orizzonti sono di turno invece l'italiano Bellas Mariposas di Salvatore Mereu e Yema di Djamila Sahraoui.

 

BELLAS MARIPOSAS


«Quando lessi per la prima volta Bellas Mariposas ne rimasi abbagliato. Tanto dalla trama, lieve e terribile, e dalle modalità con cui essa si dipana, quanto dalla forma, musicale e inusitata, soprattutto nell’adozione spregiudicata della lingua del luogo. Nella letteratura sarda, mi pare, mai tanta grazia e tanta leggerezza si erano coniugate ad accadimenti anche drammatici. Ogni più piccolo episodio della giornata mirabile di Cate e di Luna anche quando sarebbe meritevole, nelle mani di altri, della peggior cronaca, è sempre stemperato da un’ironia sottile e da una capacità di sorridere di se stessi rara nella nostra letteratura e nel nostro vissuto almeno quanto l’intrusione continua della lingua parlata in quella scritta. Atzeni può essere considerato, a buon diritto, l’apripista, il padre della nuova letteratura isolana, per esplicita ammissione anche di coloro che lo hanno succeduto e a cui hanno manifestato dichiaratamente di ispirarsi. Eppure qui sta il paradosso, l’errore più grande: quello di trattare Bellas Mariposas e Sergio Atzeni solo come una faccenda isolana da dibattere tra conterranei. Le “Zazie” di Atzeni (che si aggirano nella città di Cagliari come quella di Queneau faceva a Parigi) potrebbero avere ugualmente vita allo Zen di Palermo, a Scampia, o nelle periferie di Caracas».

 


«Yema è una tragedia greca nell’Algeria in guerra con se stessa. È la storia di una donna che vuol vivere malgrado gli altri, che deve vivere malgrado se stessa. Lacerata dal dolore ed ebbra di odio. Ouardia è come se fosse morta due volte. Come continuare a vivere nonostante la violenza dl mondo, la violenza del destino? Cosa fare quando i figli si uccidono, per amore, ovviamente? Tarik e Ali amano la stessa donna, la stessa madre, la stessa nazione. E quell’amore scatena disgrazie a non finire. Allo stesso modo di Eteocle e Polinice che si uccisero per amore di Tebe. Ouardia parla poco, quasi per niente. Agisce. Contro il corso del tempo, per sopravvivere. E contro la natura, anch’essa un personaggio del film. Inizialmente, è una natura arida, secca, infertile, ma poi cerca di rinascere. Più esattamente, è Ouardia che la fa rinascere lavorando la terra fino a essere esausta. Un neonato (figlio dei suoi figli) è il fragile legame di Ouardia con il futuro, con la speranza».



La Settimana della Critica propone infine Lotus di Shu Liu.


«Nella Cina totalitaria esistono poche alternative all'adeguamento al dominio del regime nel campo abitativo, salariale, della pubblica istruzione, dell'assistenza sanitaria, delle pensioni e di tutto il resto. Le persone devono avere molto coraggio per andare per la propria strada. Una volta usciti dal sistema, si viene emarginati e privati di qualunque tutela dalle aggressioni fisiche ed emotive. Chi è dotato di una coscienza e di un pensiero indipendente non può evitare di alzare la voce. Si cerca di fare la propria parte aiutando il proprio paese a diventare più umano, democratico e sicuro. Xiao He è un'intellettuale sveglia. Da insegnante, incoraggia i suoi studenti a pensare in maniera critica e indipendente. Tenta di rendere la loro vita più stimolante ma, in quanto donna in un mondo dominato dagli uomini, è vulnerabile e indifesa».

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