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Maratona MCU con Alvy e InthemouthofEP: Fase Uno
di CineNihilist ultimo aggiornamento
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Maratona MCU con Alvy e InthemouthofEP: Fase Uno

mcu fase 1 copertina

 

Il Marvel Cinematic Universe, noto a tutti sotto l’acronimo di MCU, è stato di fatto il mio progressivo ed inesorabile avvicinamento alla Settima Arte, il che è abbastanza paradossale data la natura ipercommerciale, paratelevisiva e fumettara del grande disegno Marvel iniziato nel 2008 dal suo demiurgo Kevin Feige. Eppure, all’apice del mio periodo nerd, ossia il 2016, in cui mi interessava molto recuperare i fumetti storici della Marvel – ma anche della DC – la mia curiosità spasmodica nel recuperare poi i vari film-episodi del MCU al cinema in vista di Infinity War, mi avvicinò (in)consapevolmente ad una profonda fascinazione per le storie narrate sul grande schermo e per il settore audiovisivo in generale (serie tv e animazione). In realtà, già tutto ciò mi affascinava durante la mia infanzia quando ero incantato a vedere i film della Disney e della Pixar con la mia famiglia. Tuttavia, a partire dall’età adolescenziale, la mia curiosità per l’arte del racconto fu sostituita dalla mia viscerale passione per l’interattività del videogioco, che mi allontanò parecchio dal Cinema e mi spinse a diventare col tempo un nerd puro, che però prediligeva più i videogiochi con una maggiore attenzione verso lo storytelling piuttosto che a quelli più focalizzati sul gameplay puro.

 

La mia passione per il Cinema si risveglia, di conseguenza, con la visione in sala di Star Wars Episodio VII – Il risveglio della Forza, in linea perfettamente con le mie inclinazioni nerd. Ciò nonostante, proprio in vista di quel film feci una delle mie prime maratone di film con amici, con tanto di video documentario a seguire per documentare il leggendario arrivo – all’epoca (dicembre 2015) – del settimo capitolo di una saga che già ammiravo da piccolo, e che mi faceva sognare tantissimo per il suo immenso worldbuilding sci-fi/fantasy. Ed ecco che, da quella magica esperienza in sala (a posteriori comunque rivalutai quel filmetto), cominciai nuovamente ad interessarmi al mondo dell’audiovisivo, soprattutto a quello starwarsiano e infine marvelliano, che mi portò a frequentare più abitualmente la sala con i miei vari amici per scoprire tutti i vari collegamenti tra film e fumetti, fino ad arrivare all’esperienza unica ed irripetibile ricolma di hype (col pubblico fomentante in sala) di Avengers Infinity War. Quella visione accecata dal mio nerdismo e hype totale (mi batté forte il cuore nei primi minuti del film) mi scioccò a tal punto che, data la mia acerba conoscenza della storia del Cinema di allora, lo reputai uno dei migliori film d’intrattenimento mai realizzati e che mi portò, anche prima dell’arrivo in sala del film dei fratelli Russo, alla realizzazione di una serie di video nerdoidi con grafica “alla Frusciante” nel “recensire” ogni singolo film di ogni fase del MCU, imitando gli youtuber “nerd-cinefili” dell’epoca.

 

Concluso il mio periodo nerd nel 2019, dovuto principalmente ad una serie di recuperi imprescindibili di cult capolavori veri della Settima Arte nel biennio 2018-2019, la mia opinione sul MCU diventò sempre più fredda e critica col passare degli anni, in cui finalmente diventai un cinefilo al 100%, abbandonando in questo modo anche tutti i vari fandom tossici dei franchise più mainstream che seguivo ancora. Con l’avanzare della sempre più palese crisi cronica del MCU in termini “creativi”, ma anche parzialmente commerciali, ho deciso così di avviare recentemente una (terza ed ultima) maratona sul MCU con i miei sodali amici di FilmTV Luigi (Alvy) e Lorenzo (InthemouthofEP). Lo scopo sarà quello di rivalutare criticamente, con un occhio più freddo e distaccato, un universo cinematografico che, nel bene e nel male, mi ha formato come cinefilo e portato a scoprire la Settima Arte (per cui gliene sarò eternamente grato) anche perché in mezzo alla bassa qualità della maggior parte dei suoi film, l’MCU ha regalato anche del buon cinema d’intrattenimento per le masse che tutt’ora amo molto.

 

L’obiettivo finale di questa nuova rubrica è, quindi, di ripassare questo gigante fenomeno mediatico che ha cambiato la storia del cinema d’intrattenimento, cercando di offrire uno sguardo il più lucido e critico possibile su ogni film del MCU, che io e i miei amici guarderemo settimanalmente per poi raccogliere i nostri voti pareri in modo da elaborare successivamente una mia recensione per ogni film. Inizialmente questo progetto è partito come una maratona personale realizzata in privato sul nostro gruppo Telegram chiamato “I Vitelloni“, ma dato che i miei commenti si sono via via stratificati (lo noterete leggendo man man lo scritto) e allungati a furia di logorrea, ho deciso così di rendere tutto pubblico, divulgando quella che è, comunque, la mia opinione definitiva sul MCU. A seguire, vedrete una precisa struttura nell’elaborare questa retrospettiva in formato playlist: la mia recensione su ogni singolo film della Fase Uno, la pagella dei Vitelloni, degli estratti dei pareri dei Vitelloni su ogni singolo film e, infine, in fondo all’articolo, troverete una pagella sommaria sulla Fase Uno.

 

A questo punto non mi resta che augurarvi una buona lettura (potete sempre diluirla di film in film eh, nessuno vi obbliga a leggere tutto facendo 39 minuti di lettura XD) e di invitarvi a commentare l’articolo se sarete d’accordo o in disaccordo con le nostre recensioni. Scrivere di Cinema non è mai stato così divertente quanto farlo in compagnia!

 

Griglia di valutazione finale dei Vitelloni sulla Fase Uno

Playlist film

Iron Man

  • Supereroi
  • USA
  • durata 126'

Titolo originale Iron Man

Regia di Jon Favreau

Con Robert Downey jr., Gwyneth Paltrow, Jeff Bridges, Terrence Howard, Leslie Bibb

Iron Man

In streaming su Disney Plus

vedi tutti

Tony Stark: La verità è che… io sono Iron Man.

 

Effetti speciali ottimi, ottima storia di origini e numerosi spunti di riflessione antimilitaristi, soprattutto in quegli anni post bushani. Il villain Obadiah Stane dicono tutti che è dimenticabile, ma in realtà è uno dei migliori del MCU e si regge in gran parte sul carisma di Jeff Bridges. Dopo questo ottimo esordio del personaggio, i capitoli successivi non riusciranno più a cogliere quella magia che rese il primo Iron Man iconico con quel finale “io sono Iron Man“. Robert Downey Jr. mattatore assoluto, regge tutto il film in tutte le sue fasi. Il combattimento finale è abbastanza anonimo. Io riconfermo il mio voto. Tra l’altro è l’unico film del MCU insieme a quello successivo ad essere fuori dal controllo Disney, infatti si nota una certa violenza e crudezza che solo in The Winter SoldierCivil War e Infinity War ritornerà fuori. All’epoca era ancora la Paramount a distribuire i film del MCU della Fase Uno, mentre l’acquisizione della Disney avvenne nel 2009, che portò ad un maggiore carico di “battutine” ed edulcorazione un po’ di tutto. Tante battute metasupereroistiche non me le ricordavo. Buon esordio del MCU diretto con buona maestranza da Jon Favreau.

 

FUN FACTJon Favreau interpreta Happy, la guardia del corpo di Iron Man e il secondo migliore amico di Tony Stark.

 

Pagella dei Vitelloni: 
CineNihilist ★★★★ 
Alvy ★★★½ 
InthemouthofEP ★★★½

 

Parere dei Vitelloni:

 

Alvy: “Il mio 9 ad Iron Man non aveva il minimo senso. È un buon film, ma niente di più. La sceneggiatura è ottima ma la regia è veramente anonima, siamo al di sotto del semplice ‘servizio’, non riesce mai a dare un minimo di spessore o ritmo, se non per brevi sequenze di qualche minuto, ma ritmicamente è veramente poco organico. Cast ottimo, niente da dire, Robert Downey Jr. all’inizio pare Al Pacino! Un buon cinecomic.”

 

InthemouthofEP: “Buon film. Molto simpatico. Niente di troppo indimenticabile, però è abbastanza compatto e ha dei buonissimi effetti speciali, soprattutto per l’epoca. C’è un afflato umanitario che è molto interessante. A livello proprio di sentimento, di emozioni e di sceneggiatura siamo a livelli alti, pur senza voli di creatività, ecco. Mi è sembrato un po’ acerbo e infantile quando si danno le botte verso il finale e, forse, viene liquidato un po’ troppo velocemente questo villain facendo esplodere sto reattore in cui cade. Per il resto mi è piaciucchiato. Il 7 glielo do e son molto contento. Il finale è geniale.”

Rilevanza: 4. Per te? No

L'incredibile Hulk

  • Supereroi
  • USA
  • durata 114'

Titolo originale The Incredible Hulk

Regia di Louis Leterrier

Con Edward Norton, Liv Tyler, Tim Roth, William Hurt, Robert Downey jr., Tim Blake Nelson

L'incredibile Hulk

In streaming su Amazon Video

vedi tutti

Dopo la profondissima lettura autoriale e psicologica su Hulk compiuta da Ang Lee nel suo bellissimo cinecomic del 2003 – con tanto di ricercati split screen per imitare la grafica del fumetto e poche scene d’azione dinamiche, ma cruciali per la genesi del personaggio nel suo scontro esistenziale con il padre – Louis Leterrier tenta di riprendere quella strada ma fallendo miseramente con una narrazione confusa e convulsa, che fa a cazzotti tra una volontà di affrontare l’inevitabile triste destino di Bruce Banner e l’esigenza di spettacolarizzare il tutto per evitare il flop della precedente trasposizione. Il risultato commerciale è comunque un flop (solo 20 milioni in più rispetto al Hulk del 2003) e qualsiasi istanza artistica viene così annullata per fare spazio ad effetti speciali da Play Station 3, con tanto di trama confusa e inutilmente frenetica tra romanticismo spicciolo e combattimento finale con botte da orbi alla Dragon Ball girato con cattivo gusto. 

 

La produzione litigò con Edward Norton nella gestione “profonda” dell’esistenzialismo di Bruce Banner, che a questo punto va a farsi benedire con un finale totalmente fuori luogo, in cui non si avverte una reale maturazione del personaggio nel gestire la sua maledizione, sfociando così nell’ennesima scena trash. Un netto passo indietro rispetto al carisma e alla freschezza del primo Iron Man. Forse il film più brutto del MCU, non a caso dimenticato dalla stessa saga nella sua macrotrama, procedendo con un totale “reboot” interno con recasting di Edward Norton per Mark Ruffalo, che ridonerà dignità al personaggio fino a Thor Ragnarok, dove la Marvel deciderà una volta per tutte di liquidare il mostrone verde come un supereroe che spacca tutto e basta, in perfetta antitesi con la lettura autoriale di Ang Lee.

 

FUN FACT: L’Abominio sprecatissimo di Tim Roth ritornerà nella serie tv di She Hulk su Disney+, in perfetta continuità con la qualità trash de L’incredibile Hulk

 

PS: ho dovuto abbassare il voto a Venom perché è ancora più brutto de L’incredibile Hulk.

 

Pagella dei Vitelloni: 
CineNihilist ★★ 
Alvy ★★ 
InthemouthofEP ★★

 

Parere dei Vitelloni:

 

Alvy: “Veramente un film strano. Non si capisce mai dove voglia andare a parare e va letteralmente avanti a furia di incongruenze (‘non userà mai sistemi tracciabili’ e 30 secondi dopo Norton usa il pc di Internet point per inviare una e-mail al delirante Mr Blue). Il mancato rapporto sessuale tra Edward Norton e Liv Tyler è il trionfo del ridicolo. Così come lei che davanti al carro armato dice ‘Generale si fermi!’ e poi dice ‘Papà fermati’ veramente da risate a crepapelle. Pare una candid camera. Così come lei che sta con lo psichiatra in assenza di Norton, ma torna poi Norton e tanti saluti senza troppe storie. Tim Roth cattivone perché si, mi ha fatto pena. All’inizio pare uno sveglio che vuol capire cosa sia quel mostrone verde, poi diventa un colonnello Quaritch di Avatar. William Hurt con la faccia di uno che stava pensando ai soldi e basta. Scene d’azione anonime, giusto qualcosina più decente si intravede nella scena al parco. Ma in generale non ho capito nulla del protagonista: ama il suo potere? Lo teme? Gli piace trasformarsi? Gode nell’usarlo? Si pente nell’usarlo? Perché all’inizio scappa? È felice di stare nascosto? È felice di uscire allo scoperto? Non si capisce un cazzo. Poi mi sarebbe piaciuto capire ‘Hulk’ che volesse dire, invece nulla. Clamoroso fan service ‘Hulk Spacca’, ma cinematograficamente senza alcun pathos, non mi ha esaltato per nulla. Anche gli effetti speciali sono nettamente inferiori a quelli perfetti di Iron Man, in alcuni punti si sfiora il gameplay. Nettamente insufficiente per me.”

 

InthemouthofEP: “Fidanzato di Liv liquidato in un secondo. Tim Roth sprecatissimo, fa quasi pietà. CGI tremenda, pare Far cry più che un film. Regia da film action di terza categoria. Per me è un film abbastanza incommentabile. Totalmente incasinato e fuori fuoco, spesso comico senza volerlo (scena dell’eccitazione sessuale su tutte). Ho fatto veramente fatica ad arrivare alla fine. Gli spunti interessanti di trama c’erano (la gestione del potere sovrumano, il controllo di sé, l’invidia che porta letteralmente all’Abominio…) ma è tutto gettato alle ortiche in nome di un caos e di un giochino action fracassone totalmente senza senso. Non credo che andrò sopra le 2 stelle sinceramente.”

Rilevanza: 3. Per te? No

Iron Man 2

  • Supereroi
  • USA
  • durata 124'

Titolo originale Iron Man 2

Regia di Jon Favreau

Con Robert Downey jr., Scarlett Johansson, Gwyneth Paltrow, Mickey Rourke, Don Cheadle

Iron Man 2

In streaming su Disney Plus

vedi tutti

Ivan Vanko: Hai perso. Hai pierso, Stark! (da leggere con l’accento russo) 

 

Questa è la battuta che recita più volte nel film il carismatico Mickey Rourke nei panni di Whiplash, per sottolineare la caduta “divina” del mito di Iron Man alias Tony Stark, che si ritrova a combattere sia il governo americano che vuole possedere la sua armatura, sia un malanno provocato dal palladio, di cui è formato il suo cuore di metallo e che lo sta condannando lentamente verso morte certa. Nel secondo capitolo si vuole quindi procedere per la naturale antitesi sul personaggio, secondo il copione drammaturgico “tesi-antitesi-sintesi” della maggior parte delle trilogie cinematografiche supereroistiche e non, ma Jon Favreau si ritrova stavolta a dirigere un secondo capitolo nettamente inferiore al precedente per via delle ingerenze della macrotrama del MCU imposte da Feige: l’introduzione della sexy e letale Vedova Nera (interpretata da Scarlett Johansson) accompagnata da un carismatico Nick Fury “blackwashato” dal grandissimo Samuel Jackson. La loro presenza “televisiva” – in quanto chiare pedine di un disegno più grande – appesantiscono, però, un film che già nella sua microtrama “verticale” risulta assai problematico. 

 

La decostruzione del mito di Tony Stark/Iron Man funziona finché il film, nella sua prima parte, si concentra a denudare la fragilità fisica ed emotiva di Tony anche nei confronti di suo padre, di cui deve ereditarne il retaggio nel bene e nel male, e facendo intendere allo spettatore che tra loro due non scorreva sempre buon sangue. Lo dimostra l’unica scena veramente “introspettiva” del film, in cui Stark, vedendo svogliatamente un vecchio video promozionale di suo padre, scopre la cura per sostituire la tossicità del palladio con un nuovo elemento da lui inventato, facendo così pace momentaneamente con la sua figura paterna, che però verrà ulteriormente approfondita fino agli eventi di Civil War

 

Per il resto il film risegue il copione del precedente senza riuscirci, tra un Obadiah Stane dei poveri incarnato da Justin Hammer davvero patetico in tutto per tutto e un Ivan Vanko aka Whiplash interpretato da un carismatico Mickey Rourke, che però gigioneggia troppo nel film nel recitare la parte del villan russo stereotipato assetato di vendetta per colpa del padre di Tony Stark. L’intrigante sottotesto antimilitarista del primo capitolo viene così sacrificato sotto una tonnellata di scene action in CGI (davvero anonime rispetto a quelle poche ma iconiche del primo capitolo), in cui il “potenziale” parallelismo tra i due “freaks” Tony Stark e Ivan Vanko viene risolto in interminabili botte da orbi più spettacolari e “pericolose” di quelle con Obadiah Staine, ma allo stesso tempo sciatte e mediocri nella risoluzione finale, che lascia parecchio con l’amaro in bocca per un secondo capitolo che aveva tutte le carte in tavola per dare molto di più. 

 

Insomma, il bacio finale tra Tony e Pepper non ripaga assolutamente una costruzione farraginosa e piatta dei tre atti precedenti, in cui il film non sa che direzione prendere tra macrotrama orizzontale e microtrama verticale, tra introspezione legata al tema della morte e leggerezza caciarona all’insegna di una comicità puerile che darà il via alle famose “battutine Marvel”. Lo zampino della Disney e la mano invisibile del “grande disegno Marvel” di Kevin Feige si sentono tutte, dando quindi l’impressione di aver assistito ad un noioso e mediocre filler di una grande serie tv, dato che le vere perle del MCU – per fortuna – sarebbero arrivate ben dopo una prima fase alquanto anonima nella sua fase centrale. E riconfermando, inoltre, che la trilogia di Iron Man sarà una delle peggiori e con meno “versatilità immaginifica/creativa” nel creare nuove storie e villain all’altezza del super carisma del suo protagonista. Oltre a ciò, da questo film in poi, sarà sempre più evidente come l’MCU privilegerà sempre di più i suoi supereroi a dispetto dei suoi villain – salvo rare eccezioni – in nome dell’empatia e dell’affettività seriale fondamentale per fidelizzare il proprio pubblico. 

 

FUN FACT: Il bambino mascherato da Iron Man che cerca di fermare un drone di Ivan Vanko è stato canonizzato come il Peter Parker del MCU. C’è inoltre un simpatico cameo “alla Trump” di Elon Musk al Grand Prix di Monaco, che ai tempi in cui recuperai per la prima volta il film non notai, forse perché non era ancora così “memato” sui social. 

 

Pagella dei Vitelloni: 
CineNihilist ★★½ 
Alvy ★½ 
InthemouthofEP ★★★

 

Parere dei Vitelloni:

 

Alvy:  “E insomma raga. Insomma (leggere con voce di Enzo Salvi). Insomma (leggere con voce di Enzo Salvi). Insomma (leggere con voce di Enzo Salvi). Che dire? Uno dei più brutti film che abbia mai visto, insensato dall’inizio alla fine, nei primi 50/60 minuti praticamente non accade nulla se non uno sterile girare a vuoto cialtrone senza pathos, scene che in quanto a trash non fanno invidia a Barbie. “Un Mickey Rourke che… poverino…” cit. La sequenza dell’attentato alla gara automobilistica a Monaco costruita malissimo e sviluppata ancora peggio. Una sequela di puttanate una dietro l’altra che manco l’arrivo di Samuel L. Jackson riesce a risollevare. Scarlett Johansson peggior interpretazione della sua carriera in uno dei personaggi peggio scritti all time. Visivamente è un film di una monotonia infinita, uno sbadiglio infinito, coreografie action terrificanti e scontro finale così triste… ma così triste… così bolso che pare essere stato pensato da un’intelligenza artificiale sabotata da Ezio GreggioGwyneth Paltrow terrificante, Don Cheadle riesce a far rimpiangere l’altro attore che c’era nel primo film, gestioni strategiche dei personaggi deliranti. Un film che quasi non mi sento neanche di definire tale perché non ha un registro chiaro, il ritmo è sbilenco, una serie di sequenze tenute insieme con lo sputo. Per me è peggio di L’incredibile Hulk, che era orribile ma almeno ci aveva provato ad essere un film minimamente serio e costruito, qui invece mi pare ci sia proprio l’aria di cazzeggio (Iron Man che balla in armatura… il PALLADIO NO, NON L’AVEVO CONSIDERATO). Resta una domanda inquietante: che tipo di droga devo aver assunto per aver dato 4/5 stelle a sta robaccia che è decisamente sotto le 2/5 stelle?”

 

InthemouthofEP: “Dire che mi è piaciuto forse è un parolone, però la sufficienzina c’è. Poi ovviamente ha dei limiti enormi. Però perché dico che non mi è dispiaciuto? Ha un suo perché a livello emotivo e secondo me anche di ritmo. Lasciamo stare tutte le scene action che sono abbastanza ridicole, specialmente quella nel Gran Premio di Monaco che non ci si crede proprio perché…sono messe in scena in maniera talmente scema che uno dice: “che cazzo sta succedendo?”. Però ha qualcosa di toccante e scorrevole che mi ha portato ad apprezzarlo. L’idea del padre e il nuovo elemento che lui scopre, e quindi riabilita la figura paterna, e anche la storia di Mickey Rourke e dello scontro tra i due padri giù nella Siberia. Son cose che mi sono piaciute per come sono state trattate. Poi il personaggio di Tony Stark si evolve benissimo, perché deve affrontare la paura della morte, della toxicity che c’ha nel sangue, il palladio, e mi è piaciuto il modo in cui cerca di dirlo a Gwyneth Paltrow ma non ci riesce. Sono piccole cose che sono affogate dalle scene d’azione, però queste piccole riflessioni sono ben fatte. Il film nella sua costruzione, tralasciando la scena in cui lui balla con l’armatura, lasciamo stare, qualcosa da dare ce l’ha. La sufficienza mi sento di dargliela, anche per la colonna sonora.”

 

Rilevanza: 3. Per te? No

Thor

  • Supereroi
  • USA
  • durata 130'

Titolo originale Thor

Regia di Kenneth Branagh

Con Chris Hemsworth, Natalie Portman, Anthony Hopkins, Kat Dennings, Idris Elba

Thor

In streaming su Disney Plus

vedi tutti

Thor [rivolgendosi a Loki]: “Fratello qualunque torto io ti abbia recato… Qualunque cosa io abbia fatto per condurti a questo.. Ti chiedo umilmente scusa, ma queste persone sono innocenti… Prendendo le loro vite non otterrai nulla… Perciò prendi la mia e finiamola qui.” 

 

Devo ammettere che prima di rivedere Thor dopo 4 anni, avevo paura di dargli una lieve insufficienza per via di un ricordo sempre più appannato e negativo del film, ossia di un cinecomic dall’aura epica quando era ambientato ad Asgard e involontariamente (?) ridicolo quando il Dio del Tuono atterrava sulla Terra, rendendomelo ai miei occhi – col passare degli anni – un film bipolare da dover rivalutare più negativamente. Rivisto finalmente con i miei sodali amici, mi sono dovuto nuovamente ricredere sul film, e tutto ciò riconferma le sorprese che una ri-visione può portare sempre ad anni di distanza. 

 

Il primo Thor di Branagh l’ho trovato, innanzitutto, un bel fantasy drammatico dalle atmosfere shakespeariane che trascende il genere del cinecomic, infatti il regista britannico di formazione teatrale e dopo aver trasposto ben 5 opere di William Shakespeare al cinema, conferisce tutto l’amore che ha per il più famoso drammaturgo inglese di sempre nei personaggi di ThorLoki Odino. L’aura da tragedia shakespeariana si respira quindi in ogni istante in cui il regista mette in scena le vicende ambientate su Asgard, un luogo sacro, inespugnabile ed etereo in cui i figli del padre scalpitano per ottenere il trono del regno, mettendo così in moto le vicende che porteranno Thor e Loki ad intraprendere due strade opposte e allo stesso complementari nell’esprimere i vizi e le virtù che plasmano la natura umana. 

 

Da una parte Thor esiliato sul pianeta terra comprende i valori della compassione, dell’umiltà e dell’altruismo, abbandonando così i suoi istinti più egoistici e guerreschi, arrivando addirittura a sacrificarsi pacificamente di fronte al fratello pur di salvare i mortali terrestri; dall’altra parte Loki rifiuta la luce e asseconda il suo lato più oscuro, scaltro ed arrivista per impadronirsi del trono, soprattutto dopo aver scoperto di non essere figlio naturale di Odino, dando così sfogo alla sua bramosia di potere in cui vede tutti gli esseri viventi come esseri inferiori da dominare e schiacciare, in linea con le sue tendenze tiranniche e con la sua natura malefica di Dio dell’inganno. L’affresco che ne dà Branagh dei complessi di inferiorità dei figli nei confronti del padre e del conflitto fraterno al limite del fraticidio, è sicuramente uno dei punti più riusciti del quarto lungometraggio della Marvel, in cui finalmente lo scontro finale tra supereroe e villain lo si respira pienamente sia da un punto di vista drammaturgico senza che questo diventi involontariamente infantile ma invece tragico nell’accezione più positiva del termine, sia da un punto di vista coreografico e scenico nonostante la “legnosità” di alcuni movimenti che colpisce anche alcune scene d’azione precedenti (e piani olandesi usati a caso in scene di dialogo). 

 

La riuscita di Thor e il mio rinnovato “entusiasmo” sono quindi dovuti a questa componente shakespeariana “epicheggiante” di scontro dialettico-fisico che coinvolge i due pesi massimi di questa pellicola supereroistica, in cui brilla particolarmente Tom Hiddleston di formazione teatrale britannica. L’attore riesce, infatti, ad imprimere nel personaggio di Loki tutta la sua fragilità emotiva, il suo travaglio esistenziale e la sua incandescente rabbia e frustrazione, che trova la sua sublimazione in un ghigno malefico che ritornerà prepotentemente in The Avengers (2012), in cui riconfermerà la sua bravura attoriale tanto da guadagnarsi le primissime posizioni – se non la prima – come miglior villain del MCU. 

 

La parte più problematica del lungometraggio resta senza dubbio la parte terrestre che ricopre tutto il secondo atto, in cui il romanzo di formazione di Thor, nel suo processo di “umanizzazione”, non viene costruito a dovere per una serie di gag, anche involontariamente comiche (come gli amici di Thor che sulla terra paiono dei cosplayer del Lucca Comics) nella “decostruzione” del suo mito come “Dio col martello”. Inoltre, il secondo atto è composto da una serie di personaggi umani uno più piatto e inutile dell’altro, nella quale si gira un po’ a vuoto col carrozzone dello SHIELD (la pedina televisiva della macrotrama targata Kevin Feige) che comunque è meno invasivo rispetto a Iron Man 2 (Occhio di Falco viene infatti liquidato – per fortuna – in un cameo di 1 minuto). Forse emerge un pelino di più il personaggio di Jane Foster – pur restando una figura femminile stereotipata che stravede per il “manzo” supereroe – quando il film cerca di mettere in contrapposizione la razionalità scientifica degli scienziati umani con il principio di ordine magico-cosmologico incarnato da Thor, in cui tutto il cuore del racconto lo si avverte nel giocare su questa contraddizione dell’universo Marvel sospeso tra realtà terrestre e realtà fantastiche-aliene. 

 

Nonostante ciò, il finale drammatico – ma non troppo – in linea con la formazione teatrale britannica di Branagh che non soddisfa il classico “happy ending” all’americana chiude, a mio avviso, una riuscitissima introduzione della fase cosmica del MCU (gli asgardiani vengono riletti dalla Marvel più come degli alieni “speciali” che come dei veri e propri dèi, anche se questa ambiguità di fondo resterà fino a Thor Ragnarok) e una storia d’origini tutto sommato godibile con qualche spunto di riflessione affatto banale. 

 

FUN FACT: Kenneth Branagh non ritornò più come regista dei successivi Thor, ma fu chiamato dai fratelli Russo per fare la voce di un asgardiano che chiede soccorso all’inizio di Infinity War, dopo che l’astronave di Thanos attracca quella di Thor. Uno dei soggettisti del film è J. Michael Straczynski, futuro ideatore insieme alla sorelle Wachowski della serie cult Sense8

 

PS: Non male anche la colonna sonora di Patrick Doyle, storico collaboratore di Branagh, soprattutto a partire da 1:47. Molti criticano la fotografia (giustamente) del MCU e le sue colonne sonore, ma qua si deve dare a Cesare quel che è di Cesare. Ovviamente in futuro il MCU sfornerà altri temi musicali ben più iconici di questo, che comunque non è da buttare affatto nel dimenticatoio. 

 

Pagella dei Vitelloni: 
CineNihilist ★★★½
Alvy ★★★½
InthemouthofEP ★★★½

 

Parere dei Vitelloni:

 

Alvy: “Davvero un bel film. Kenneth mi ha sorpreso positivamente. Ha dato un tono tragico alla vicenda veramente azzeccato. Tutte le motivazioni che animano i personaggi sono ben chiare, la messa in scena del mondo di Odino è favolosa, Chris Hemsworth il suo lo fa, Natalie Portman recita in maniera abbastanza anonima ma poco importa, Kat Dennings più inutile dell’uso delle mani nel gioco del calcio, Hiddleston eccelso e l’attore che fa il guardiano del mondo di Odino veramente azzeccato. La parte sulla terra è un po’ sottotono ma, al netto di alcune cadute ridicole (i quattro che scendono sulla terra vestiti in quel modo…), regge comunque. La suspense è costruita sempre molto bene e il finale è appagante nella sua malinconia, in puro spirito tragico. Qualche slabbratura qua e là, qualche caduta di ritmo qua e là, qualche interpretazione sottotono qua e là (ciao Natalie, ma anche Anthony non scherza, manco Mission Impossibile 2), ma tutto il resto funziona a meraviglia. Anche in termini visivi, secondo me Kenneth ha fatto davvero un bel lavoro, è un film che si lascia guardare con vero piacere e che quindi si fa perdonare qualche errore. È il miglior film di Kenneth tra quelli che ho visto e sono abbastanza sconvolto da questo. O forse no, visto che è la conferma che Kenneth è un incapace che dovrebbe lavorare come mestierante per major che impongono copioni e scelte direttive, senza giocare a fare l’autore del cazzo. Davvero un gran bel film, siamo ai livelli del primo Iron Man per me.”

 

InthemouthofEP: “Per me è stato bellissimo. Ora sto ascoltando i Foo Fighters sui titoli di coda. Stellan Skarsgard è un mostro, una spanna sopra tutti gli altri. Asano è un po’ sprecato. Ma il film è bellissimo e prende ispirazione da cinquecento tragedie shakespeariane. Veramente ben costruito e con il giusto bilanciamento tra profondità tragica, lato comico ed epica. Per me un pelino sotto… Iron Man sta sul 7+, Thor sul 7-. Tom Hiddleston è un grande… incarna alla perfezione la fragilità e la sete di potere di questo fratello minore, sempre messo da parte e scartato, e che poi in realtà fratello non è. Il film ha i suoi cali, però mi sembra tutto ben bilanciato e con un finale molto emozionante e malinconico… la colonna sonora lì si trasforma in Hisaishi per un attimo e ci mancava poco che versassi qualche lacrima come Odino. COME LO GUARDA LEI AMMIRATA TUTTA INNAMORATA CON LE LACRIME AGLI OCCHI. VOGLIO ANCH’IO ESSERE GUARDATO COSI’. Ultima cosa: mi è risultata un po’ stucchevole la regia in certi punti, specialmente quando insiste su questi piani olandesi estremamente ripetitivi e un po’ autodisinnescanti. Per il resto ho molto apprezzato. Specialmente la profondità shakespeariana dei vari personaggi… Odino è un Re Lear perfetto nell’armatura di una divinità vichinga norrenica. Tutto troppo ganzo.”

Rilevanza: 4. Per te? No

Captain America. Il primo Vendicatore

  • Azione
  • USA
  • durata 124'

Titolo originale Captain America: The First Avenger

Regia di Joe Johnston

Con Chris Evans, Hugo Weaving, Tommy Lee Jones, Stanley Tucci, Dominic Cooper

Captain America. Il primo Vendicatore

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Nick Fury: “Hai dormito, Capitano. Per quasi settant’anni. [Steve si guarda intorno incredulo e rattristato] Sei sicuro di stare bene?” 
Steve Rogers: “Sì, sì, è solo che… avevo un appuntamento.

 

Captain America Il primo vendicatore e Thor sono i due film della Fase 1 che si completano perfettamente nei rispettivi pregi e difetti, ma anche per le loro varie similitudini, come il racconto di una storia di origini con un finale malinconico – se non tragico, nella quale è negata ogni possibilità di ricongiungimento tra il supereroe e la sua dolce metà. Entrambi i finali non soddisfano così il classico happy ending all’americana, il che è parecchio sorprendente in una fase ancora acerba del MCU, tant’è che, vista a posteriori, questa scelta drammaturgica rafforzerà l’immagine eroica dei due futuri Avengers nel loro primo crossover. Per contro, a differenza di Iron ManThor e il primo Captain America soffrono abbastanza a livello di sceneggiatura, soprattutto nel secondo atto e nella caratterizzazione dei personaggi secondari. Nonostante ciò, se il primo Thor difetta di una parte centrale sul pianeta terra alquanto macchiettistica con personaggi secondari uno più inutile dell’altro, il primo Captain America riesce perlomeno a mantenere, bene o male, saldo il controllo sul racconto anche nella sua fase centrale, delineando un’evoluzione psicologica più solida del suo protagonista e circondando quest’ultimo da un cast di personaggi quantomeno interessanti. 

 

Il film si concentra, infatti, ad esaltare l’indiscutibile valore morale del suo supereroe, che come tutti gli eroi è inizialmente un tizio qualunque, stavolta calato nel contesto della seconda guerra mondiale e con un corpo rachitico affetto da asma, che gli impedisce di arruolarsi e combattere per il suo paese contro i nazisti. La pellicola gioca abilmente sul disagio esistenziale del suo gracile protagonista (emblematica la zuffa con un “bullo” più grosso di lui e l’indifferenza delle donne), il quale si ritroverà invischiato in un esperimento per creare un super soldato non tanto per il suo cieco patriottismo – messo sempre più in dubbio nei suoi successivi film – ma per il suo indiscutibile idealismo, coraggio, altruismo e bontà d’animo, che gli permetteranno di ereditare “moralmente” grandi poteri dalle grandi responsabilità. C’è quindi bisogno di un “uomo piccolo” inserito in un corpo più forte e muscoloso per combattere i nazisti-bulli come afferma lo scienziato interpretato da Stanley Tucci, il quale si trova protagonista dei migliori dialoghi di pura introspezione del film quando si relaziona con Cap, infatti è senza ombra di dubbio l’elemento più riuscito del quinto lungometraggio della Marvel, proprio perché si distacca dall’azione onnipresente e stancante del secondo atto del film. 

 

Il maggior punto di forza della pellicola è, così, concentrato nella sua prima parte di ricostruzione di un’epoca – gli anni ‘40 di New York – con tanto di sfruttamento patriottico volutamente al limite del “patetismo” di un Captain America imbolsito con costume vintage. Se da un lato questa componente storico-bellica asseconda una “giusta” propaganda americanocentrica di quel periodo, dall’altro il film mostra come il supersoldato sia sempre più lontano da questa visione politicizzante di sé, preferendo di gran lunga liberare con le sue sole forze i prigionieri di guerra americani (e alleati) catturati dai nazisti. Ed ecco che, da mero burattino pubblicitario del governo americano, il suo golden boy si emancipa scegliendo il libero arbitrio da puro supereroe, perché seppur continui a combattere una guerra “giusta” per il suo paese, Cap sottolinea al suo creatore – lo scienziato interpretato da Stanley Tucci – di non voler in realtà uccidere nessun nazista, ma solo di voler fermare qualsiasi bullo, da ovunque egli provenga, per difendere i deboli e gli oppressi. Da questo assunto si fonda l’eroismo e l’indiscutibile valore morale di Captain America, che gli sceneggiatori riescono a delineare ottimamente per gran parte della pellicola, viaggiando nel sottile confine tra una celebrazione retorica dell’eroismo all’americana e un grande affresco umano di un individuo che non abbandona mai i suoi valori, anche di fronte agli orrori della guerra. 

 

In antitesi al “Capitano degli USA” subentra così naturalmente il suo opposto, ossia il Teschio Rosso, capo dell’Hydra (divisione scientifica dei nazisti) che mira a sfruttare i poteri del Tesseract per vincere la guerra ed emanciparsi da Hitler. Da questo punto di vista, se Thor difetta in termini di drammaturgia nel suo “incagliarsi” gravemente nel secondo atto, perlomeno ha dalla sua parte un affascinante villain, Loki, ben caratterizzato e interpretato da uno splendido Tom Hiddleston, che riesce a conferire maggior sfaccettature al Dio dell’inganno. Questa componente assolutamente fondamentale per elevare Thor a status di “bel film”, al primo Captain America manca totalmente, a causa di una grave perdita di pathos del film nel momento in cui deve mettere in scena il suo villain bidimensionale e anonimo, nonostante quest’ultimo sia interpretato da uno spaesato e truccato Hugo Weaving (l’attore disconoscerà successivamente il suo ruolo nel film). Difatti, la componente da scienzato pazzo nazista con inclinazioni esoteriche verso l’occulto, non aiuta per niente a conferire profondità al supercattivo, che si limita al banale compitino di essere da contrappeso a Captain America in una guerra a distanza tra truppe americane e naziste. Il ritmo dato dalla regia e dal montaggio, inoltre, vacilla nel dare spessore a questo confronto dicotomico tra bene e male, finendo col rendere la progressione degli eventi meccanica e stancante. Nella seconda metà del secondo atto si ripercorrono così tutti gli stilemi classici triti e ritriti del cinefumetto dell’epoca, in cui nemmeno i personaggi di contorno come il migliore amico Bucky e l’interesse romantico Peggy Carter riescono a salvare la struttura di un cinefumetto già vecchio alla sua data di uscita, sprecando in questo modo tutte le potenzialità da war movie supereroistico de Il primo vendicatore. Il risultato di un così drastico calo qualitativo comunque al limite tra il noioso e l’intrattenente, si riflette anche nell’effimero e sciatto scontro tra Captain America e Teschio Rosso, che fa rimpiangere la tragicità shakespeariana di Branagh nella messa in scena del duello tra Thor e Loki.

 

A dispetto di ciò, le cui colpe ricadono principalmente sulla regia del mediocre mestierante Joe Johnston più che alla scrittura degli sceneggiatori Christopher Markus e Stephen McFeely, il momento in cui Captain America si sacrifica con il bombardiere dando il suo ultimo addio alla sua amata Peggy Carter – finora il miglior rapporto romantico del MCU togliendo Peter Quill e Gamora che giocano tutt’altro campionato – riesce a riconnettersi catarticamente con le buone atmosfere della prima metà del film, regalando almeno un buon finale malinconico con quel sofferto I had a date”. 

 

Captain America Il primo vendicatore è dunque un film della Fase Uno tutt’altro che indimenticabile come il primo Thor, che giustamente dal pubblico e dalla critica vengono ricordati come i film minori del MCU, oscurati infatti dai più riusciti Iron Man e The Avengers. Ma, avendo dalla loro parte un solido inizio, un’interessante storia di formazione e un finale malinconico che non fa sconti a nessuno, mi sento di promuovere, con una valutazione che va oltre la sufficienza risicata, questi esordi che, a dispetto dei loro omologhi della Fase 3 e soprattutto della Fase 4, hanno a cuore il loro racconto e una ricercata profondità nei dialoghi, che via via scomparirà sempre di più, salvo rare eccezioni, nel corso del MCU.  

 

A livello comparativo mi sento, a titolo personale, di preferire leggermente la genesi del supersoldato americano rispetto a quella del Dio del Tuono, anche perché su carta mi sembrava uno dei supereroi più ridicoli e conservatori dell’intero panorama dei comics americani. Incredibilmente, però, sul grande schermo i Marvel Studios sono riusciti intelligentemente a svecchiarlo ed aggiornarlo ai tempi moderni, soprattutto a partire dai sequel diretti dai fratelli Russo. Tutti questi elementi, oltre ad una mia sincera ammirazione per questi supereroi senza macchia e senza paura incorruttibili e idealisti (con anche tendenze antisistema), hanno reso Captain America il mio personaggio preferito del MCU dopo Rocket, anche in virtù del fatto che è l’unico supereroe solista della Marvel ad avere una trilogia completamente riuscita. Il che è abbastanza paradossale, dato che su carta rispetto a Iron Man, Thor, Ant ManCaptain Marvel e Black Panther il “capitano d’America” poteva risultare facilmente ridicolo, antiquato ed anacronistico. Al contrario, la successiva celebrazione “leggendaria” da parte di Joss Whedon e, in seguito, la decostruzione compiuta dai fratelli Russo guidati dagli stessi sceneggiatori del primo capitolo su Cap Christopher Markus e Stephen McFeely (la Marvel se li porterà fino a Infinity War e Endgame), saranno gli elementi vincenti che renderanno iconico un personaggio fumettistico patriottico degli anni ’40 agli occhi degli adolescenti del XXI Secolo.

 

L’eroe senza tempo, infatti, migliorerà col susseguirsi della macrotrama del MCU quando verrà spogliato della sua aura e ambientazione vetusta del Novecento, tant’è che il primo capitolo a posteriori perderà sempre più fascino, finendo prevedibilmente nella damnatio memoriae dei fan. Ma, essendo quest’ultimo un tassello imprescindibile per l’evoluzione di Cap, Il primo vendicatore può ritenersi un piccolo scoglio/dazio da superare/pagare per il meglio che regalerà dopo il supereroe. Il film di origini, pur nei suoi innumerevoli difetti si può comunque considerare, a mio avviso, un bel esordio con un buon studio sul personaggio e con un’interessante ricostruzione di un’epoca d’oro ormai finita, che proietterà Cap in un mondo nuovo, complesso e pericoloso, creando perfettamente una sensazione di spaesamento nel supereroe fertile per nuove storie più innovative, riuscite e profonde.

 

FUN FACT: Quando Steve Rogers esce dalla capsula tutto nudo e sudato diventando di fatto un superuomo, si può notare che per un secondo Peggy Carter avvicina la sua mano sui pettorali scolpiti di Chris Evans per poi ritrarla. Quel gesto non era previsto nello script ma venne tenuto (buona la prima), infatti l’attrice Hayley Atwell reagì d’impulso perché per la prima volta vide il suo collega a petto nudo, e la tentazione di palpare i suoi pettorali fu molto forte. Alla faccia dell’amore platonico che si instaura tra i due personaggi nel film ah ah! 
Un altro elemento interessante è che da questo film si originerà la seconda serie tv dei Marvel Studios, Agent Carter, che si occupa di narrare le vicende di Peggy Carter come spia dopo la vittoria nella seconda guerra mondiale grazie a Captain America. Il personaggio ritornerà invecchiato nei successivi film di Cap e del MCU.

 

Pagella dei Vitelloni:
CineNihilist ★★★½
Alvy ★★½
InthemouthofEP ★★★

 

Parere dei Vitelloni:

 

Alvy: “Per me è un netto passo indietro rispetto a Thor. La sceneggiatura è discreta e, pur ricalcando tutti i cliches di una classica origin story, è efficace, soprattutto nel finale davvero coraggioso (peccato per il collegamento a The Avengers attaccato con lo sputo nel postcredits, tutta la cosa dell’ibernazione è ridicola… e piazzare il trailer di The Avengers come postcredits è una trashata senza fine). È a livello estetico che non ci siamo proprio. La confezione sembra realizzata da un algoritmo, ma non è solo questione di regia o di inquadrature o di ritmo, anche a livello di costumi, di scenografie, di effetti speciali (Hugo Weaving trasformato è inguardabile, sembra una bozza di un villain neanche così micidiale), tutto sa di “mediocrità”, di modestia, di compitino. Le interpretazioni stesse sono dimenticabili. Nulla fa gridare all’orrore, ma nemmeno al miracolo. È un prodottino che fa il suo, che non avevo visto e avevo fatto bene a non vedere, ma che veramente dimentichi 30 secondi dopo. Non c’è una sola sequenza che mi abbia fatto dire ‘Woooooow’. Secondo me questo film è quello che più di tutti fino ad ora tradisce il suo pubblico di riferimento: nerd più o meno giovani che di cinema non vogliono sapere niente. Sono indeciso se dare un 6 (perché comunque intrattiene, non è Iron Man 2) o un 5.”

 

InthemouthofEP: “Secondo me è un film buono che sicuramente si lascia guardare, senza le scene trash di Iron Man 2 e con una migliore formazione del personaggio rispetto a quella di Thor nel film precedente, però a livello di confezione mi sembra parecchio anonimo e abbastanza stanco specialmente nella parte centrale. Certo, ha i suoi momenti molto coinvolgenti e riusciti (una su tutte l’attacco al treno in cui muore l’amico fidato del nostro Steve Rogers), però nel complesso l’ho trovato decisamente meno memorabile di Thor da diversi punti di vista… non ultima la regia. Io mi fidavo del regista di Jumanji. Hugo Weaving che si leva la maschera mi ha fatto molto ridere. Nel complesso direi che il film è sufficiente, ma sinceramente non lo rivedrei. Senza infamia e senza lode. Me lo sto già scordando.”

 

 

Rilevanza: 2. Per te? No

The Avengers

  • Supereroi
  • USA
  • durata 142'

Titolo originale The Avengers

Regia di Joss Whedon

Con Robert Downey jr., Mark Ruffalo, Chris Evans, Jeremy Renner, Scarlett Johansson

The Avengers

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Loki: Ti prego, dimmi che farai appello alla mia umanità.

Tony Stark: Ah, in realtà intendo minacciarti!
Loki: Ahah, avresti dovuto indossare l’armatura.
Tony Stark: Sì, ha fatto qualche chilometro di troppo, e tu… hai la bacchetta del destino! [riferendosi al bastone della Scettro] Ti va un drink?
Loki: Prendere tempo non cambierà niente!
Tony Stark: No, no, minaccio! Niente drink, sicuro? Io lo prendo.
Loki: I Chitauri stanno arrivando, nulla può cambiare. Cosa dovrei temere?
Tony Stark: I Vendicatori… ci facciamo chiamare così: una specie di squadra. “Gli eroi più forti della Terra” o roba simile.
Loki: Sì, li ho conosciuti.
Tony Stark: Già! Ci mettiamo un po’ a riscaldarci, questo te lo concedo. Ma facciamo la conta dei presenti: tuo fratello, il semidio [Loki ringhia infastidito di sentirlo nominare]; un supersoldato, una leggenda vivente che vive nella leggenda; un uomo con grossi problemi nel gestire la propria rabbia; un paio di assassini provetti e tu, bellimbusto, sei riuscito a far incazzare tutti quanti!
Loki: Era questo il piano.

Tony Stark: Non è un granché. Quando verranno, e lo faranno, verranno per te.
Loki: Ho un esercito.
Tony Stark: Noi un Hulk!
Loki: Il bestione non si era perso!?
Tony Stark: Ti sfugge il punto: non c’è nessun trono, non esiste una versione in cui tu ne uscirai trionfante. Forse verrà il tuo esercito, e forse sarà troppo forte per noi, ma ricadrà su di te. Se non riusciremo a proteggere la Terra, stai pur certo che la vendicheremo.

 

Tre furono i film del MCU che vidi scevro da qualsiasi conoscenza in merito ai meccanismi e agli aspetti cinematografici dell’universo condiviso partorito da Kevin FeigeIron ManThe Avengers e Iron Man 3.

 

Il primo lo vidi poco dopo la sua uscita con mio padre, dato che in quel periodo (2003-2013) era usuale a casa mia recuperare i classici supereroistici come gli Spider-Man di Raimi e gli X-Men di Singer, e mi ricordo che mi spaventò non poco l’aggeggio mortale che Obadiah Stane usava per paralizzare il povero Tony Stark. Il film comunque da piccino mi piacque, ma fui completamente ignaro della leggendaria scena post credits con Nick Fury e dunque del progetto del MCU, proprio perché all’epoca interrompevo sempre la visione prima della fine dei titoli di coda. Saltando per un attimo il secondo recupero, il terzo film del MCU che vidi mi deluse parecchio, anche per via di un colpo di scena che mi prese in contropiede, visto che da piccolo adoravo la nemesi di Tony Stark chiamata “il Mandarino” nella mitica serie animata – forse la miglior trasposizione audiovisiva da solista dell’Uomo di Latta – Iron Man Armored Adventures (2009-2012).
Per quanto riguarda, invece, il secondo film che guardai del MCU, ossia The Avengers, recuperato sempre su Rai 2 con mio padre credo proprio nel 2013, mi ricordo che la presenza di Iron Man con gli altri Avengers non mi provocò nessuna perplessità, anzi, nemmeno porsi il quesito a mio padre del perché quello stesso Iron Man del 2008 fosse in un film corale con altri supereroi. Quasi sicuramente fu dovuto dall’ignoranza e dall’ingenuità dell’epoca, in cui la concezione di “crossover” e universo condiviso mi era totalmente aliena essendo abituato solo a trilogie, tant’è che, molto probabilmente, non me n’ero neanche accorto che fosse lo stesso attore ad interpretare Tony Stark. In quel periodo fui veramente parte del pubblico generalista – oltre che giovanissimo – da non pormi troppe domande sui film che guardavo, anzi, l’unica cosa che mi interessò in quel frangente fu di scoprire questo nuovo gruppo di supereroi, che ancora non conoscevo data la mia inesistente cultura sui fumetti. Tutto ciò contribuì a tenermi incollato allo schermo fino all’epico finale, in cui fui davvero carico di adrenalina terminata la visione, probabilmente memore del fatto di aver visto un ottimo film di intrattenimento puro, quest’ultimo sempre assicurato – ai tempi – quando si trattava di vedere un film di supereroi in famiglia (ricordo che pure i miei genitori erano molto presi dalle sorti di Iron Man quando doveva dirottare la testata nucleare).
Nel corso degli anni, però, The Avengers sparì dai miei ricordi in favore degli Spider-Man di Raimi dato che l’Uomo Ragno era – ed è tuttora – il mio supereroe preferito, ma quando nel 2016 riscoprii in modo scioccante tutta l’impalcatura del MCU e del collegamento tra Iron Man e The Avengers, ecco che il film di Joss Whedon divenne ben presto il mio film del MCU preferito, anche dopo essere andato in visibilio per Infinity War e Endgame.

 

E dopo ben quattro visioni a seguito della mia prima visione in famiglia, di un recupero in vista di Civil War (il mio primo film MCU visto al cinema) e di due maratone su tutto il MCU in vista di Infinity War e Endgame, all’indomani di questa mia quinta, lucida e “fredda” maratona marvelliana con i miei sodali amici di FilmTV pensavo di dover ridimensionare il mio sfegatato entusiasmo nerd per il primo crossover della Marvel. E invece, con mia grande sorpresa, dopo aver visto per la quinta volta The Avengers a mente fredda, non posso far altro che lodare nuovamente uno dei migliori film partoriti dal genio produttivo del Marvel Cinematic Universe, che ha cambiato per sempre la storia produttiva dei cinecomics e della concezione stessa del cinema blockbuster per le masse. 
Con il primo capitolo sui Vendicatori si apre infatti la Golden Age dei cinecomic, che finirà sempre sotto le redini del MCU nel 2019 con il mega kolossal Avengers Endgame, di fatto il “Signore degli Anelli” delle generazioni di giovani nati a cavallo tra la fine degli anni novanta e per tutti anni Duemila (2000-2010). Quest’epoca d’oro per il genere ha segnato, così, l’inizio dell’era degli universi condivisi influenzando tutti gli studios hollywoodiani dell’epoca, che malamente hanno cercato di replicare la formula vincente dei Marvel Studios, finendo col saturare il mercato dei blockbuster con cinecomics uno più fetente dell’altro. Tale débâcle produttiva e qualitativa non ha solo intaccato i concorrenti di Kevin Feige, ma anche gli stessi Marvel Studios che, pur tenendo il monopolio sulla loro formula vincente, hanno finito, con le varie fasi della loro efficiente catena di montaggio, con lo sprofondare a livello qualitativo una volta centrato il loro obiettivo finale della Fase 3. Inoltre, se vogliamo essere del tutto onesti, anche nella loro ascesa all’apogeo del loro impero commerciale e industriale hanno dovuto collezionare sonori flop artistici e alcuni addirittura commerciali, senza contare la gestione di cambi di rotta improvvisi nella strutturazione “drammaturgica” del loro organigramma a fasi. Tuttavia, ciò che li ha resi quello che sono oggi nonostante tutti gli inevitabili intoppi, è stata la lungimiranza, la perseveranza e infine la scommessa azzardata di Kevin Feige nel voler realizzare l’ottimo – a posteriori – primo film sui Vendicatori. 
Cos’ha quindi The Avengers di così tanto speciale da renderlo un cinecomic spartiacque al pari dei cinecomics autoriali di SingerRaimiNolan Burton?

 

Innanzitutto, chiariamo subito che The Avengers, a differenza dei film autoriali dei precedenti registi citati, non ha minimamente quella stessa profondità da portare a chissà quali riflessioni sociopolitiche, filosofiche e psicologiche al suo spettatore, inoltre, a livello di regia non eguaglia minimamente la peculiarità visiva dei precedenti autori menzionati. Il film diretto e scritto di Joss Whedon è, infatti, un film fieramente e totalmente industriale, figlio di una scommessa produttiva di Kevin Feige nel voler inserire i codici narrativi dei fumetti nel blockbuster americano di quei tempi, portando quindi al primo e vero crossover della storia del cinema con più personaggi provenienti da vari film solisti (leggasi albi fumettistici), in cui in quest’ultimi si è costruita, con alti e bassi, una psicologia e un’evoluzione narrativa su ogni singolo supereroe. La confluenza di più star – all’epoca già in ascesa – all’interno dello stesso lungometraggio, l’unione di differenti psicologie e stili di ogni supereroe e, infine, ridividere nuovamente il cast degli Avengers in nuovi film solisti in un’alternanza tra microtrama e macrotrama, che porta naturalmente allo sviluppo simultaneo di più linee narrative parallele simile alla serialità televisiva, è ciò che rende in partenza The Avengers un cinecomic rivoluzionario e seminale per l’epoca. In questa ricetta produttiva venuta dall’alto risiede quindi la vera autorialità del MCU, che può coincidere (James Gunn) quanto divergere (Scott Derrickson) con i registi operai coinvolti nella realizzazione dell’ennesimo tassello della sua immensa macrotrama. In questo caso specifico, quindi, si ha una convergenza tra il genio produttivo di Feige e la timida autorialità del buon mestierante Joss Whedon. Il merito del successo del film, quindi, può essere considerato un buon 50 e 50, anche perché il regista coinvolto non è il primo malcapitato preso a caso per essere lanciato in un’impresa titanica e folle su carta. 

 

Joss Whedon è, prima di tutto, un autore (showrunner) nel campo televisivo e famoso per aver creato due serie cultBuffy l’ammazzavampiri e Firefly, quindi abituato negli anni a gestire coerentemente una produzione audiovisiva composta da macro e micro trame con all’interno una miriade di personaggi primari e secondari, ossia tutto ciò che vorrebbe traslare anche al Cinema il produttore illuminato Kevin Feige. Oltre ad essere uno showrunner affermato, quindi creatore e produttore di serie tv, Whedon è anche uno sceneggiatore, che non solo ha scritto parecchi episodi di svariate serie tv incluse le sue, ma ha anche sceneggiato perle come Toy StoryQuella casa nel boscoTitan A.E. e Serenity, quest’ultimo uno splendido film sci-fi che conclude la sua serie cult space opera Firefly. Il reclutamento di Whedon da parte del “Nick Fury” Kevin Feige non è però solo dovuto alle sue ottime qualità come sceneggiatore e produttore – ed anche come regista perché no – ma perché il nostro è anche un fumettista che ha sceneggiato alcune serie a fumetti della Marvel e non solo. La statura di autore di Whedon al di fuori del panorama cinematografico diventa così un fattore determinante per la riuscita del progetto proto-televisivo e fumettaro di Feige, che ha così la fortuna di avvalersi di un ottimo mestierante-autore già avvezzo a parecchi aspetti tecnici e drammaturgici per dare luce all’inizio dell’impero dei Marvel Studios, rivestendo così i panni sia del regista che dello sceneggiatore. Questo doppio ruolo non è affatto scontato in un panorama industriale e commerciale come quello del MCU, abituato come sempre a separare i due ruoli in modo da schiacciare qualsiasi intento autoriale, salvo la rara eccezione di James Gunn, non a caso insieme a Whedon l’unico vero autore dentro la macchina produttiva di Feige. A differenza di Gunn, però, Whedon non è un autore nato nella Settima Arte con un peculiare sguardo sulla regia (si spiega così l’estetica parzialmente “anonima” del film su cui però ci ritorneremo dopo), inoltre si è ritrovato a dirigere due film corali importantissimi per l’ossatura del MCU che gli hanno impedito, di fatto, di emergere come un vero e proprio autore a tutto tondo come invece è successo a James Gunn

 

Nonostante tutte queste limitazioni, lo showrunner da sempre amante della fantascienza, del fantasy, delle narrazioni corali e di personaggi femminili forti, con The Avengers riesce a dirigere e a scrivere con maestria un blockbuster rivoluzionario nel suo iper-concentrato di supereroismo, in cui convivono sei eccentriche ed eroiche personalità. La scrittura chirurgica e frizzante del grande Whedon riesce, infatti, magistralmente a centellinare i momenti di pathos, di distensione, di comicità e di elevata drammaticità grazie alla sua solida esperienza nel mondo televisivo e dei fumetti, nella quale riesce a compiere il miracolo di non prendere troppo sul serio i suoi supereroi per poi, però, renderli incredibilmente leggendari ed epici nella loro stravagante e indiscutibile umanità quando si tratta di salvare la Terra. Le varie personalità “freak” e gli eterogenei stilemi di ogni singolo personaggio si scontrano così violentemente (come lo scontro epico nel bosco della trinità composta da Iron ManThor Captain America) per poi venire smussati, amalgamati e addirittura riscritti (HulkVedova Nera Occhio di Falco) con la funzione di distruggere l’ego del singolo per risaltare la compattezza del gruppo (poetico da questo punto di vista il sacrificio di Tony Stark nel finale). Il cinecomic di Whedon non ha quindi l’obiettivo di disquisire dei massimi sistemi sfruttando la materia supereroistica, anzi, la sua innovazione sta proprio nel puro studio psicologico dei suoi supereroi, di cui vengono denudati le loro insicurezze e traumi, in modo che le differenze caratteriali e opposte visioni del mondo di questi outsider emergano quel tanto da renderli umani e tridimensionali e, di conseguenza, con cui poter entrare in perfetta empatia. La formula seriale televisiva, nata principalmente per donare una maggior evoluzione caratteriale ai suoi svariati personaggi, viene così applicata a regola d’arte al Cinema e alle esigenze di Feige nel creare dei protagonisti fallibili, ma allo stesso tempo intrisi di un’aura mitica grazie alla splendida scrittura e regia di Whedon, che metteranno i poco conosciuti (all’epoca) Vendicatori nell’olimpo delle più famose icone cinematografiche di sempre. Lo scavo psicologico sui singoli Avengers, concentrato nel lungo secondo atto sopra la navicella volante dello SHIELD, è dunque di fondamentale importanza per la drammaturgia del film, la quale può vantare una solida scrittura dei suoi personaggi, in cui quest’ultimi con semplici e brevi linee di dialogo riescono ad esternare i loro malesseri esistenziali e scheletri nell’armadio. Ed è soprattutto nella bellissima scena di discussione di gruppo con Nick Fury che tutti i dubbi, le rivalità, le verità scomode e lo scontro di differenti visioni sul mondo raggiungono l’apice della tensione di questa esplosione chimica di corpi e cervelli fieramente eterogenei, che ha pure generato l’iconico meme “Civil War” nello scontro verbale tra Cap e Tony Stark, ormai entrato nell’immaginario collettivo (come tante altre scene dialogate e d’azione).

Seppur il blockbuster prodotto da Feige si concentri, dunque, maggiormente a costruire un’iconica band composta da soli frontmanWhedon riesce comunque ad inserire in uno script di puro intrattenimento delle schegge antimilitariste e antigovernative quando gli Avengers scoprono che lo SHIELD vuole usare il Tesseract per costruire armi di distruzione di massa come deterrente contro Asgard (tutto ciò porterà paradossalmente all’arrivo di Loki sulla Terra). Oppure, quando entra in scena il villain del film, Whedon non lesina critiche a qualsiasi forma di autoritarismo dettato dalla sete di potere egoista di un singolo individuo (Loki) o di un qualsiasi ente governativo (lo SHIELD), ponendo quindi una nutrita fede nella capacità del singolo eroe di fare gruppo e di smascherare “dal basso” i potenti, in quanto il primo espressione della voce di un popolo lontano dagli intrighi di potere di forze più grandi di esso (le ombre che compongono il consiglio dello SHIELD).

 

La soluzione sta quindi nella forza del gruppo, nel puro eroismo scevro da qualsiasi egoismo malato e autodistruttivo, visto che quest’ultimo porta soltanto a pregiudizi e divisioni, fino ad indebolire gli stessi supereroi. Questa filosofia costruttivista ed altruista a cui devono ambire gli Avengers nel corso del film per salvare il mondo, si scontra, di conseguenza, con l’affascinante Dio dell’inganno Loki – interpretato come sempre da uno straordinario Tom Hiddleston più ghignoso che mai stavolta – che nel secondo atto cerca di dividere gli Avengers sfruttando la sua intelligenza, atta soltanto a manipolare il prossimo per i suoi fini personali e deliri di onnipotenza. Non a caso già nell’incipit del film, il fratellastro di Thor usa uno scettro che controlla le menti per soggiogare il prossimo, proprio perché, dopo lo scontro su Asgard contro suo fratello Thor e suo padre Odino, il semidio asgardiano nella sua nuova crisi d’identità e invidia verso il fratello vuole sfogare la sua rabbia sulla Terra e vederla dominata sotto la sua tirannide per sopperire ad ogni sua insicurezza latente. Non è un caso che la sua volontà di onnipotenza sul prossimo e la sua sete di potere venga messa alla berlina e criticata da tutti gli umani e gli eroi che incontra sul proprio cammino, il che porta da un lato ad un ritratto quasi patetico e parodistico quando viene affrontato finalmente dagli Avengers uniti (con tanto di SMASH di Hulk), ma dall’altro ne esce un ritratto tragico e fragile di una persona consumata da un dolore esistenziale e incapace di instaurare un rapporto sincero ed empatico col prossimo. Difatti, proprio in virtù di questa tridimensionalità iniziata con il film su Thor e approfondita in The Avengers, Loki appartiene ad uno di quei rari casi del MCU in cui il villain non viene totalmente oscurato dagli eroi, tant’è che verrà riutilizzato nei successivi film guadagnandosi l’affetto dei fan (specialmente di sesso femminile) grazie al suo indiscutibile carisma.

La gestione di Loki da parte di Whedon rientra così nella sua sapiente decostruzione e ricostruzione del mito supereroistico degli Avengers, riuscendo magistralmente a gestire i tempi comici – ovvero le famose battutine Marvel per stemperare la tensione – con i momenti di maggior drammaticità del film, in cui il villain riesce a lasciare il segno con la sua malvagità attraverso minacce, manipolazioni e, infine, l’uccisione del fidato Phil Coulson. La sua morte costituisce di fatto il momento cruciale del lungometraggio, che dopo un’accurata disamina delle forze in campo sia benevole che malvagie, apre ad un’interessante riflessione sull’esercizio della retorica (americana e propagandistica?) e del potere morale della produzione di un mito – in questo caso il martirio del simpaticone agente dello SHIELD – anche quando quest’ultimo è basato su una menzogna. Eppure, lo slancio motivazionale degli Avengers (There was an idea), favorito da Nick Fury, riafferma la forza e la base drammaturgica della mitopoiesi supereroistica americana, stavolta, però, trasferita dal singolo supereroe ad un gruppo collettivo, che dal superamento del trauma della morte del loro amico e delle rispettive differenze interne, permetterà definitivamente al film di passare da un’aura fumettosa ad una più cinematografica dai toni squisitamente epici, come viene mostrato dalla scena di preparazione alla battaglia imminente contro Loki.

 

Ed è dunque nel terzo atto che Joss Whedon dimostra di aver fatto tesoro delle lezioni drammaturgiche della Silver Age dei cinecomics (2000-2011), ovvero quando riesce finalmente a collimare e collegare minuziosamente ogni tassello e puntino costruiti nei due atti precedenti dalla sua ottima sceneggiatura tra introspezione ed azione, il tutto funzionale alla costruzione di una battaglia finale dai toni epici e girata con tutti i crismi dalla sua regia invisibile altamente immersiva. Le sequenze memorabili del film, quindi, si concentrano dunque in quest’ultima fase del lungometraggio, in cui l’ex showrunner riesce a conferire organicità e omogeneità agli immensi effetti digitali che compongono la maggior parte del set, che tuttora dopo 11 anni non sono invecchiati di una virgola e perfettamente palpabili, a partire dalle ammaccature dell’armatura di Iron Man fino all’estetica del Golia Verde (tanti saluti alla grafica da PS3 de L’incredibile Hulk). L’invasione aliena dei Chitauri guidati da Loki rappresenta quindi il trionfo massimo della spettacolarità del cinefumetto dell’epoca, in cui Whedon realizza uno dei piani sequenza più belli del MCU, nella quale ogni Avenger viene mostrato nel suo combattimento aereo e/o terrestre contro l’esercito dei Chitauri, i soldati alieni di Thanos teletrasportati grazie al portale del Tesseract aperto da Loki. Questo immenso long take, secondo solo a quello di Gunn in Guardiani della Galassia Vol. 2, riesce a rappresentare perfettamente sia l’epifania nerd che ogni fan della Marvel sognava da quando leggeva i fumetti, sia la riscrittura dell’epica cinematografica ormai legata indissolubilmente con la mitologia del MCU, funzionando così perfettamente a livello cinematografico nella sua grande immersività al limite tra il reale e il videoludico. Altre sequenze memorabili del film, ormai incastonate nell’immaginario collettivo, sono il movimento di macchina circolare sugli Avengers che guardano su in cielo l’avanzare dell’esercito dei Chitauri e il “I’m always angry” di Bruce Banner/Hulk prima di stendere il Leviatano alieno, inoltre il campo di battaglia a New York viene gestito strategicamente e minuziosamente da ogni Vendicatore, senza rendere il tutto un vacuo esercizio di stile nerdoide e action senza pathos. Nella baraonda generale e iper spettacolare che segna il trionfo artistico, commerciale e drammaturgico della scommessa di Kevin Feige, il puro Cinema – che sia di puro intrattenimento o meno – lo si respira, soprattutto, nell’ultima scena magistralmente montata dalla direzione di Whedon, in cui, tra primi piani e ampi totali, si mostra il catartico sacrificio altruistico di Iron Man nel dirottare la scellerata testata nucleare dello SHIELD da New York verso l’armata nello spazio dei Chitauri, sancendo definitivamente la consacrazione e l’iconografia del binomio Iron Man/Robert Downey Jr.

 

Insomma, quello che poteva rivelarsi un fallimento totale dati i più o meno riusciti esperimenti solisti della Fase Uno, si è rivelato col tempo uno dei migliori cinecomic di sempre e un film spartiacque che ha rivoluzionato il cinema d’intrattenimento al pari dei suoi illustri predecessori autoriali della Silver Age, ma anche di perle come Guerre Stellari e Jurassic Park. Nel bene e nel male, dal 2012 in poi si è settato un nuovo canone drammaturgico e produttivo di fare blockbuster e il vero inizio dell’impero commerciale di Feige, che grazie al reclutamento di un ottimo mestierante come Joss Whedon, ha compiuto l’impossibile potendo così vivere di rendita per i prossimi decenni col suo marchio, anche quando gli stessi film corali degli Avengers successivi non son più riusciti ad eguagliare la perfezione del capostipite. A giustificazione di ciò, basti analizzare il finale del film, in cui Nick Fury prende la parola di fronte ai capoccia dello SHIELD nel raccontare le gesta leggendarie degli Avengers, in cui il montaggio alterna il suo epico discorso di chiusura – sulle note della splendida colonna sonora di Alan Silvestri – al congedo dei vari Avengers che, non parlando ed esprimendosi solo con l’ausilio della loro gestualità e dell’espressività dei loro volti, fuggono verso destini ignoti per un meritato riposo in barba al governo americano con tutte le sue macchinazioni. 

La ciliegina sulla torta con quella A (individualista) rimanente della STARK tower pronta a fare il posto alla A (collettivista) degli AVENGERS prima dei bellissimi titoli di coda con tanto di comparsata del vero villain finale Thanos (che a posteriori aprirà ad alcune incoerenze e buchi di trama in The Avengers originati però dai film dopo e non dal film stesso), non fa altro che riconfermare l’inesauribile freschezza registica e di scrittura di un blockbuster che, ormai, è oggetto di studio e giustamente riconosciuto come una pietra miliare del cinema d’intrattenimento.

 

FUN FACT: Phil Coulson viene resuscitato nella prima serie tv del MCU, ossia Agents of SHIELD (2013-2020, con pilot diretto da Joss Whedon), ma gli Avengers non verranno mai a conoscenza della sua resurrezione. Questo è dovuto esclusivamente alla difficoltà enorme di collegare le serie tv con i film, anche perché collegare i due medium complicherebbe ulteriormente una macrotrama che, da The Avengers in poi, avrebbe creato già le sue prime incongruenze e incoerenze, quest’ultime però sempre notate solo dai fan e non dal pubblico generalista, che della continuity se ne fregherà il giusto. Inoltre, obbligare gli spettatori generalisti a recuperarsi una serie tv per comprendere meglio un film sarebbe stato delirante, ma alla fine ad una tale scelta narrativa si arrivò comunque, che però non scosse molto il pubblico, ma il sottoscritto sì. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò in un’altra fase… 

 

Pagella dei Vitelloni:
CineNihilist ★★★★½
Alvy ★★★★★
InthemouthofEP ★★★★

 

Parere dei Vitelloni:

 

Alvy: “Capolavoro senza se e senza ma, 5 stelle su 5 senza se e senza ma. È semplicemente un’inscalfibile pietra angolare del cinema di intrattenimento per le masse. Semplicemente perfetto per ritmo, montaggio, colonna sonora, spazio dato a ciascun eroe, motivazioni del villain, progressione climatica, uso dell’umorismo (la presentazione di Tony Stark nel primo atto con relativi siparietti con la Paltrow è straordinaria, sembrava di vedere Cary Grant e Rosalind Russell in La signora del venerdì). Non avrà quel sottotesto autoriale dirompente che Spider-Man 2 o Il Cavaliere Oscuro o Batman Returns riescono ad esplicitare in maniera più chiara? Verissimo. È un film che prima di ogni altra cosa vuole intrattenere? Verissimo. È un film che vuole parlare ad un pubblico dai 0 ai 90 anni, senza scene scomode o hot o orrorifiche o troppo drammatiche o troppo serie? Verissimo. Ma me cojoni se funziona. Ma me cojoni se stai lì attaccato allo schermo e non vedi l’ora di sapere come vada a finire. Ma me cojoni se la CGI è sempre credibile. La messa in scena, poi, in alcuni frangenti è veramente videoludica, soprattutto nella battaglia finale a New York, però non è mai un problema, perché è come se ogni microsequenza “videoludica” fosse attaccata a quella successiva con un montaggio puramente cinematografico che ne modifica il senso. Poi la capacità produttiva di lavorare su più piani testuali (i fan di vecchissima data che hanno letto tutti i fumetti e visto tutti i film; i fan recenti che si sono appassionati all’MCU col primo Iron Man; semplici spettatori occasionali; cinefili duri e puri) raggiunge qui un apice mai più toccato in seguito per coerenza e qualità. La vera autorialità di questo capolavoro sta nella produzione, che ha fatto un autentico miracolo, riuscendo a rendere di massa qualcosa che era di nicchia, creando un immaginario assolutamente fervido, fecondo, stimolante e intelligente. È un problema se la fotografia di tutti i film che abbiamo visto finora compreso questo sia sempre uguale? È un problema se le coreografie action siano buone ma non eccezionali? È un problema se a volte l’esigenza di unire tutti i puntini renda lo script un po’ macchinoso? Assolutamente no. Capolavoro straordinario. Forse 4.5 stelle su 5 sarebbe il voto più giusto, ma voglio premiare questo film col massimo perché coglie l’essenza del cinema: arte popolare, per tutti. E questa, ai miei occhi, è sana autorialità Disney, a riprova che non è mai il “cosa dici” il problema, ma il “come lo dici”. E in The Avengers il “come lo dici” è perfetto. Masterpiece epocale, c’è un prima e un dopo questo film, molto più del primo Iron Man, prototipo affascinante ma con alcuni limiti. Immenso.

questa è una dei più grandi main theme di sempre. Chi non mette questo tema accanto a Psycho, a Jurassic Park, a Star Wars, a Taxi Driver, ad Anatomia di un omicidio, a Indiana Jones, a Per un pugno di dollari è veramente un irriducibile snob.”

 

InthemouthofEP: “Film semplicemente bellissimo, che crea un intrattenimento per le masse divertentissimo inanellando scene una più coinvolgente dell’altra. I personaggi hanno tutti il loro spazio, nessuno eccede togliendo posto a un altro, è tutto calibrato perfettamente: spettacolo per le masse con cuore e sensibilità, che ti conquista e ti porta via con sé, riuscendo a far affezionare alla sua poetica epica e supereroistica anche il più restio degli spettatori, ovvero me, che mai avrei pensato un giorno di poter dire che The Avengers è un film almeno da 8.5. Secondo me grandissima parte del lavoro lo fanno la regia e il montaggio, sempre freschissimi e coinvolgenti… è quella che il caro Frusciante chiama “regia invisibile”, non nel senso che non ci sia, ma nel senso che è tanto perfettamente calibrata che è come se non ci fosse, è come se lo spettatore fosse presente al momento dell’azione. Ah, OST superba ovviamente. E cameo di Harry Dean Stanton geniale. Captain America che se ne va in moto mi ha fatto scendere una lacrimuccia. Ma i Vendicatori si ritroveranno…”

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