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Il brigante di Tacca del Lupo

Regia di Pietro Germi vedi scheda film

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La recensione su Il brigante di Tacca del Lupo

di lamettrie
8 stelle

Un grande film di guerra. Ancor più coraggioso, perchè si tratta di una guerra civile, che è sempre la più difficile da interpretare. Peccato che sia la guerra civile sotto la cui cattiva stella è nata l’Italia, e siamo cresciuti noi, italiani. I piemontesi invasori, nella loro inizialmente (e necessariamente, per certi versi) brutale colonizzazione, riuscivano addirittura a far rimpiangere i secolari padroni della capitale Napoli. Se il Regno delle due Sicilie era uno dei peggiori d’Europa, lo stato italiano era allora, ed è stato poi, ed è oggi, persino peggio: non ha tolto la secolare miseria; ma in più, di peggio ha portato la leva obbligatoria e la tassazione esasperata.  

Almeno quello stato piemontese ha avuto il merito di cercare di togliere l’illegalità con i mezzi di uno stato serio, quindi purtroppo quelli della forza, appunto, come extrema ratio. Ma, come si sa, la classe dirigente aristocratica al sud sfortunatamente ha continuato a vincere, forte dei suoi soprusi vergognosi. Quindi il “buon governo” piemontese , di stampo cavouriano, ha dovuto tradire sé stesso: per poter governare, De Pretis dal ’76 ha dovuto fare accordi coi mafiosi, cioè i nobili, gli unici che avevano la ricchezza, perché erano gli unici che avevano tutte le terre. Poi nulla è cambiato con Crispi; nulla è cambiato con Giolitti, nonostante gli infondati elogi  a questo corrotto doc; nulla ovviamente è cambiato con Mussolini; nulla è cambiato da De Gasperi in poi, con la DC, anzi!! Ma si può anche dire che, certo, nulla è cambiato con Berlusconi, e neppure con Renzi… Sono passati 150 anni e rotti: la mafia detta le regole, e lo stato non può fare  a meno di quei milioni di voti, e accontenta la mafia. Decine di leggi in favore della mafia e contro gli onesti meridionali certificano questo senza quasi smentita, ad onta dei martiri della vera lotta contro la mafia, celebrati solo per convenienza retorica, ma odiati nel cuore (e, seppur silenziosamente, con i fatti) dagli stessi “statisti” eletti dal popolo (e, in questo, gran parte dell’elettorato ha delle colpe enormi e inconfutabili, al Sud ma non solo). Se si è proceduto a una digressione così lunga sulla situazione del Sud nello stato italiano, è perché film su questo argomento sono pochissimi, mentre di immani e inutili e dannose schifezze ce n’è a iosa, e ben retribuite.

Il realismo è eccellente: veritiera è la scenografia, le scene collettive, quelle di costume (tradimento, delitto d’onore…). C’è tutta l’Italia, con i suoi dialetti, la diversità su cui è nata in modo eccessivamente forzato.

Tra i pregi, occorre elencare questi: l’unificazione viene vista per quel male che è stata, cioè un’impresa colonizzatrice, avversata da tutti i “colonizzati”, e per di più di più mal riuscita. Si mostra una realtà storica: al sud non l’hanno mai accettata perché di peggio ha portato tasse e leva, e di meglio non ha portato niente (la povertà è rimasta). Veritiera è anche l’opposizione degli stessi colonizzatori piemontesi, nella loro pretesa  superiorità e diffidenza. La frase centrale del film per me è questa: “Devono aver paura di noi, non solo dei briganti”. Se lo stato italiano è stato sinora un grave fallimento (pur nel riconoscimento di tutti i pregi che esso ha avuto), è stato soprattutto per questo: che la delinquenza è apparsa più forte dello stato, e che quindi delinquere conviene di più che seguire la legalità ufficiale dello stato.

Inoltre,  essenziale è anche questo messaggio negativo, eppur vincente: che il potere viene rispettato con la violenza, non se è buono. Messaggio pessimistico, del tutto veritiero, che un eccellente Nazzari fa rispettare con la forza, come mostrato anche nella disciplina ferrea con cui a buon diritto si fa odiare dai soldati.

E anche in questo sta un altro merito del film: un valido generale non può che farsi odiare dai suoi sottoposti; se è all’altezza, non può che tendere alla disumanità. L’ottica guerresca viene criticata all’insegna di un pacifismo, che sottotraccia c’è, anticipando tante innovazioni del ’68 (film come questi hanno infatti alimentato una più corretta visione della realtà e della storia, come si vede anche nei festeggiamenti, e nell’umanità e dignità che traspaiono da tanti aspetti del film, quando in silenzio si vuol evitare di eccedere nella violenza e nella repressione). Ma ci sono anche i vizi: alla fine arrivano gli italiani, che sembrano quasi i buoni. Se il film con merito mostra cose contro la verità ufficiale, scadente è però il tentativo di voler non farlo apparire in questo modo.

Spettacolare la regia, il cast, la fotografia, la sceneggiatura, la colonna sonora. Ottimi gli intermezzi melodrammatici: la gelosia, l’onore violato, la riappacificazione, che sono proprio l’occasione che permette la vittoria degli italiani; espediente intelligente dal punto di vista narrativo.

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