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Barry Lyndon

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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La recensione su Barry Lyndon

di Lisergyco
8 stelle

Liberamente tratto dal romanzo "Memoirs of Barry Lyndon (già "The Luck of Barry Lyndon: A Romance of the Last Century") di William Makepeace Thackeray (1844), "Barry Lyndon" segna il ritorno al cinema di Kubrick dopo il discussissimo ed "estremo" "Arancia Meccanica". Il film è l'ennesimo tassello nel mosaico artistico "totalizzante" del regista newyorkese. Dopo avere affrontato tematiche e generi cinematografici estremamente diversi (dai deliranti meccanismi della guerra e del potere militare, all'impietoso e lucidissimo smascheramento dell'ipocrisia borghese, alla riflessione filosofica e visionaria sulle origini ed il destino dell'uomo, all'acidissimo ed inesorabile affresco della violenza, spesso "indotta", della società), Kubrick si rivolge al passato e si cimenta con la rivisitazione storica, con i costumi, la società "bene", i vizi e le aspirazioni del secolo XVIII. Una angolazione "inedita" (e tale rimarrà) nella sua produzione filmica, che tradisce la inestinguibile brama del regista di confrontarsi con nuove sfide, con nuovi "generi". Preceduto da un accuratissimo lavoro di raccolta di materiale audio-visivo e bibliografico settecentesco, di "adattamento" cinematografico, di esperimenti registici e di ricostruzione scenografica, "Barry Lyndon" rappresenta, a mio parere, l'opera più "classica e perfetta" del grande regista, lontanissima dagli eccessi spigolosi, dagli "scarti" visionari e dalla lucida follia (almeno nella sua "veste" grottesca e manifesta) che avevano caratterizzato la sua precedente produzione. E' un film minuziosissimo, "geometrico", di straordinaria purezza formale e di maniacale cura dei particolari "tecnici", giochi di luce, scenografie, ambienti e paesaggi, colori. La straordinaria abilità di Kubrick consiste, tra l'altro, nell'avere reso la pellicola realmente "settecentesca", imbevuta delle atmosfere e degli scenari di un'epoca complessissima ed affascinante. Si respira il Settecento, non solo per la ambientazione storica, per la collocazione temporale. Lo si respira nei colori, con i quali sembra che Kubrick abbia voluto riprodurre i cromatismi tenui, delicati e pittorici dei grandi paesaggisti e ritrattisti inglesi del Settecento (Gainsborough, Reynolds, Hogarth, Constable, Turner). Lo si respira nelle luci, per le quali Kubrick si è servito di una serie di espedienti semplici, ma geniali (il film è girato interamente alla luce naturale): l'uso della tremula fiamma delle candele, per gli interni, e l'utilizzo di speciali lenti create dalla Zeiss per i rilevamenti satellitari della NASA ed applicate all'obiettivo della macchina da presa per esaltare la lucentezza o gli effetti in chiaroscuro. Lo si respira nei costumi, nelle armi, nei "locali", rivisitati con scientifica precisione. Lo si respira nella meravigliosa fotografia, curata in maniera impeccabile da John Alcott. Lo si respira finanche nelle eccellenti scelte musicali, stupendamente assemblate da Leonard Rosenmann (spiccano, tra l'altro, il "Trio per piano" di Schubert e la "Sarabanda" di Haendel). Proprio per tutte queste caratteristiche, il film venne accolto freddamente dalla critica, specie anglosassone, che lo ritenne un freddo esercizio di stile ed un compiaciuto "album di fotografie d'epoca"! Per altri, il film voleva essere una "lezione di cinema" da parte di Kubrick, un esperimento paradigmatico sulle modalità di utilizzare colori, luci, angolazioni, inquadrature, zoom e quanto altro, lasciando del tutto "sfocati" i personaggi e con il pretesto di "raccontare" la società aristocratica settecentesca! In effetti, parlando di "Barry Lyndon", è impossibile prescindere dalla estrema accuratezza tecnica, dal rigore "scientifico" dell'approccio a tutto ciò che è regia e "resa cinematografica" e dalla leggendaria, maniacale esigenza di precisione (anche da parte degli attori) del grande regista. Ma "Barry Lyndon" è ben altro che una accademica operazione stilistica e formale! "The Rise and the Fall of Redmond Barry", mi viene da dire, parafrasando e adattando il titolo di una celebre canzone di David Bowie. Ancora una volta, Kubrick prende di mira la società, la sola differenza è che in questo caso la "storicizza". Il film è un affresco pessimistico e disilluso sui meccanismi che ne regolano la vita, sulle leggi, spesso non scritte, che ne determinano gli sviluppi. La ricchezza e l'opulenza della aristocrazia europea dell'"epoca dei lumi" emergono in tutta la loro meschina e tronfia ostentazione, nella loro ferrea distribuzione gerarchica. E' una società classista, fissa e ripetitiva, senza stimoli ed ideali che non la difesa dei propri beni e del proprio onore umiliato. In questo senso l'ascesa sociale del "parvenu" Redmond Barry sembra quasi essere la prefigurazione di quello che doveva avvenire a breve: il film si conclude nel 1789.. e tutti sanno quello che è venuto dopo! Appare quasi l'anticipazione dell'ascesa della borghesia rampante e "fattasi da sé", proprio come Barry. Ma la borghesia non è meno meschina e avida dell'aristocrazia, e "Lord" Lyndon (così come avrebbe voluto essere chiamato!) ne è la dimostrazione lampante. Arrivista, spregiudicato, venale, attaccato ai titoli conquistati e alle proprietà acquisite con il matrimonio e il nuovo rango sociale, progressivamente assorbito dall'edonismo più sfrenato e dallo sfarzo. Una via di mezzo tra il "self made man" contemporaneo ed il "dandy" ottocentesco, addirittura con venature "trendy" dei nostri giorni. Assimilato ed inghiottito, anima e corpo, da quella stessa società che era stata all'origine delle sue iniziali disgrazie e che lo aveva sfruttato e, poi, allettato e "nutrito", Lyndon diventa ossessionato dallo "status" sociale, dall'"etichetta" e dal possesso di tutte le prerogative che ne provino e ne esaltino il rango. E' una progressiva perdita di innocenza e di slancio ideale, la sua "aristocraticizzazione". Tra l'altro, la stessa collocazione temporale offre a Kubrick il destro per sancire, ancora in piena temperie illumistica, il "grande abbaglio" della "epoca dei lumi". Probabilmente è questa la "chiave di lettura" più importante della sua opera. La incrollabile fede nel progresso e nelle capacità dell'uomo, la metabolizzazione della storia umana e di Dio stesso in un processo univoco ed inesorabile di "civiltà", viene letteralmente demolita. Niente da fare, sembra dire Stanley: ideologie, filosofie, credenze ed ideali verranno puntualmente "smascherati" esattamente da ciò che gli uomini tentano di mascherare, senza successo.. istinto, brama di potere, appagamento, selvaggia passione, volontà incontrollata di lasciare emergere la propria personalità. Kubrick stende il suo "velo im-pietoso" sulla storia, senza redimerla. La graduale ed ineluttabile decadenza di questo "eroe - antieroe" ne è, con tutta evidenza, l'epitaffio più efficace e perentorio. Ed in questo, "Barry Lyndon" è, con "Arancia Meccanica" e "Orizzonti di Gloria", forse il risultato più conseguente della poetica kubrickiana, proprio perché estremamente realistico (per quanto sempre venato dal filtro "fantastico" del regista, che a proposito di questo film ebbe a dire che si trattava di "fantascienza in costume"!), proprio perché meno filtrato, rispetto ad altri film del regista, da interpretazioni allegoriche e simboliche, da visioni e riflessioni filosofiche subliminali e di difficile comprensione. In conclusione, "Barry Lyndon" è una delle più straordinarie, ciniche e crude, nella loro lucidità, "epopee sociali" cinematografiche. Amarissimo, disincantato, velato di una struggente patina di malinconia e di "mancata consapevolezza" della propria miseria originaria, che assorbe ed ingloba luci, colori, costumi. Malinconia con la quale il regista "si diverte" a dissacrare anche un'altra "istituzione" civile e, per giunta, sacra: il matrimonio, strumento volto unicamente ad ottenere tranquillità e prestigio sociale, "escamotage" venale e cinico. Personalmente, non ho mai provato tanta malinconia quanto quella che mi ha provocato la impietosa descrizione della vita matrimoniale di Barry con Lady Lyndon! Kubrick demistifica, dissacra e distrugge, e la sua straordinaria eccezionalità (soprattutto in questo film) consiste nel servirsi a tale fine, semplicemente, del passato, della storia, dell'uomo e dei suoi valori, della vita quotidiana. Fine della storia, appunto!

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