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Race - Il colore della vittoria

Regia di Stephen Hopkins vedi scheda film

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La recensione su Race - Il colore della vittoria

di Utente rimosso (cinerubik)
7 stelle

Race è un film biografico che racconta i successi sportivi dell'afroamericano Jesse Owens (vero nome Jay C Owens), divenuto con le sue imprese sulla pista di atletica, simbolo della voglia di affermazione della razza nera nel mondo "ribollente" e discriminante degli anni precedenti al secondo conflitto mondiale. Lo scenario è l'America del New Deal di Rooswelt, uscita dalla grande depressione e ancora entità in cerca di un senso civico omogeneo. Il livello d'integrazione varia di città in città e il giovane Jesse (interpretato dall'esordiente Stephan James), salutate la fidanzata e la figlioletta, parte per l'Ohio State University, per proseguire gli studi ed essere allenato dal coach Larry Snyder. Dentro di sé nutre la speranza di partecipare (con buone probabilità di successo) ai Giochi Olimpici del 1936 che si terranno a Berlino, dove Adolf Hitler sta attuando la sua "politica" nazista, ma proprio l'eventualità di una sua partecipazione "spacca" il suo animo e quello della comunità nera tra la voglia di mostrare (con la vittoria) che la superiorità della razza ariana è solo razzismo e il proposito di boicottare i Giochi non prendendovi parte. La visione del film è piacevole e le ambientazioni rispecchiano bene il contesto storico. Con alcuni espedienti narrativi si tenta di creare un fattore sorpresa che, di fatto, è il grande assente. Gli eventi scorrono infatti senza sussulti. Le musiche cercano di scandire le emozioni ma finiscono troppo spesso per mancare l'attimo, precedendone l'enfasi o ingigantendo la portata degli eventi. La sceneggiatura, sì, è avvincente (non si può non tifare per il protagonista) seppur incoerente in alcuni passaggi e quasi fiabesca in altri. Gli stadi traboccanti anche per le gare di qualificazione e l'immensa folla degli spalti di Berlino vengono ricostruite piuttosto bene ma per il tipo di panoramiche attuate si abusa di un soft-focus che disperde parte della magia, talvolta dando l'impressione di assistere allo sfondo di un videogame sportivo. I personaggi sono molto "caratterizzati" e mantengono un discreto fascino dall'inizio alla fine del film. Alcuni fatti vengono leggermente distorti o mutati, cosa piuttosto tollerabile nella trasposizione di un libro ma molto meno in una biografia. Il ruolo del protagonista era stato assegnato (in pre-produzione) a John Boyega che lo ha declinato dopo la chiamata (appetitosa) di J.J.Abrahms per Star Wars: il risveglio della forza. Jesse viene interpretato, come detto da Stephan James, un po' impostato e vagamente teatrale ma piuttosto convincente. Nel cast è presente anche Jeremy Irons, nei panni del capo del comitato olimpico statunitense Avery Brundage, inviato a Berlino come supervisore, prima che lo stesso comitato votasse pro o contro la partecipazione degli Stati uniti all'olimpiade. La figura di Avery, nella realtà venne accusata di una collusione con i nazisti ben più grave di quella mostrata dalla sceneggiatura, nella quale sembra prevalere una sua morale sottomessa soltanto a un ricatto d'interesse. Molto valido anche il cameo di William Hurt, che interpreta un dissidente del comitato. Uno dei motivi d'interesse del film è anche il contrasto artistico/morale/ideologico che si crea tra l'organizzatore dell'evento olimpico, un'oscura e gelida figura interpretata da un cereo ma bravo Barnaby Metschurat, e la cineasta/fotografa Leni Riefenstahl che incaricata da Hitler di realizzare un film sui Giochi Olimpici berlinesi, s'impegnò nel far prevalere l'arte e la verità sulle censure razziste (sarebbe interessante visionare il suo Olympia). Altra perla storica è sicuramente l'amicizia, i cui passaggi sono ben curati nel film, nata in pista tra Owens e Luz Long, (il miglior atleta tedesco dell'epoca). Dulcis in fundo Jason Sudeikis, nel ruolo del coach Larry, è azzeccato più perché diverte che per il carisma che emana. Del resto, nonostante un lungo curriculum fatto di commedie e b-movies, il sottoscritto lo conosceva soltanto per la sua relazione con Olivia Wilde. Perché guardare questo film? Innanzitutto perché seppur semplicistico, il punto di vista è quello giusto. Le imperfezioni sottraggono una parte di valore storico alla storia (ad esempio gli sgomberi e le deportazioni "a cielo aperto" o la scena della mancata stretta di mano e l'omesso saluto a distanza di Hitler ammesso dal vero Owens) ma restano i valori sociali che emergono da un razzismo crudele, negli States sicuramente più "liberi" della Germania hitleriana ma dove ancora un bianco può permettersi di chiamare "mangiabanane" un nero senza ricevere ammonimenti o dove un quadri-campione olimpico si trova costretto (all'ingresso del party che lo celebra) a passare dal retro. Stephen Hopkins dirige "RACE" alzando l'asticella della sua arte (fino a questo film davvero bassa) e più di qualche emozione riesce a trasmetterla seppur senza "strozzare" la gola come spesso accade durante la visione di film sull'integrazione.

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