Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
Degli amici, tendenzialmente tutti adulti, alcuni con famiglia e bambini o recentemente sposati, si trovano per una simpatica cena. In questa occasione, vuoi il vino, vuoi il trovarsi a proprio agio con persone gradevoli, viene fuori la curiosità di tirare fuori gli altarini di tutti. Sottoforma di un moderno "gioco della bottiglia" ci si confronta mettendo sul tavolo, allo scoperto, il proprio smartphone. Scopo del gioco, considerando con orgoglio di non avere nulla da nascondere, è di condividere con la tavolata qualsiasi messaggio whattsapp, o telefonata, o sms con i membri del gioco. Non è necessario giustificarsi, se non c'è niente di male. Eppure lo smartphone contiene piccole parti di noi, che non vorremmo mai conoscessero tutti. Ecco che si girano le carte, e ciascuno vede la propria, nel bene e nel male, anche con sotterfugi e menzogne costruite artificialmente. A volte questa carte non rispecchiano nemmeno una vero tradimento, ma è solo un mezzo per proteggere segreti più grandi.
Questo non porta a nulla di buono; i dubbi crescono a causa delle esitazioni davanti a un messaggio o a una chiamata, le certezze si saldano e la fiducia in una relazione si disintegra. Tutto questo in un secondo.
Come sosteneva Pirandello in "Uno, nessuno, centomila" nessuno è unico, ciascuno presenta più facce, più sfacettature, più maschere e più identità. Perseguendo il travestimento, la vita stessa é uno spettacolo, una farsa che esemplifica sulla scena una rappresentazione perfetta della fragilità umana. La disintegrazione dell'io conduce ad un disconoscimento completo di se stessi per cui la vita non è che un attaccarsi qua e là come parassiti, e una volta raggiunto un ruolo, ciò che c'è dentro uno smartphone e dentro il nostro essere, si annulla.
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