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The Demons

Regia di Philippe Lesage vedi scheda film

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La recensione su The Demons

di EightAndHalf
7 stelle

La prima cosa che sovviene guardando Les démons di Philippe Lesage è che il regista ha sicuramente idea di alcuni dei motori fondamentali di certo cinema contemporaneo. La sfida del regista è dribblare tutte le ovvie emulazioni.

 

Innanzitutto, da un punto di vista certamente più ovvio e scontato, Les démons è un po' un remake di Caché, mitico film di Michael Haneke. Stessi campi lunghi immobili, stessi infidi movimenti di camera, stesse abbacinanti fissità. Stessa subitanea, improvvisa e assurda esplosione di sangue. Il film di Haneke è però un capolavoro nel tessere le fila di un mondo che si riempie di crepe (nel senso e nella logica comune) a causa di un certo mondo borghese fermo nelle sue certezze (una deriva quasi bunueliana, un assurdo labirintico senza risposta). Il film di Lesage ha invece molto meno i piedi per terra, poiché si addentra nell'immaginario, nell'inconscio collettivo, negli abissi cronenberghiani più moderni (Maps to the Stars presente), nelle ambientazioni curiosamente carpenteriane. E' un film di immagini, di ammiccamenti mai precisi ma allusivi, subdoli appunto come un campo lungo hanekiano, in cui crediamo di vedere ma non conosciamo i veri motori dell'immagine. La carrellata finale della piscina, in Les démons, è eloquente al riguardo. Il soggetto della ripresa è scomparso dal campo visivo: perché la telecamera continua a muoversi?

 

Nonostante (o proprio per) la crudeltà della regia, il punto di vista è assolutamente quello del giovane bambino, Felix. Il suo è uno sguardo sgomento su un mondo che lui non capisce, su corpi acerbi in attesa, sulle misteriose dinamiche relazionali degli adulti. Lesage trasforma lo sgomento hanekiano, innato nell'essere della società e dei personaggi, nello sgomento di un bambino, e questo filtro concede allo spettatore un'esperienza analoga a tenere in mano una miccia sul punto di esplodere. Vediamo un'operazione del genere un anno dopo in Dark Night di Tim Sutton, benché lì sia tutto più esplicito e allo stesso tempo più evanescente: il Male esplode a causa delle nevrosi quotidiane, e spesso neanche lo vediamo. In Les démons invece il Male esiste di per sé, senza una spiegazione, con la stessa casualità con cui un bambino comincia ad avere paura. Lesage è in grado di prendere sul serio le ovvie paure di un bambino, le paure legate alla crescita, alla sessualità, all'invisibile, e di trasformarle in palpabili orrori carpenteriani. In questo caso invisibili, certo, ma sempre sul bordo dell'immagine, sempre sul filo della coscienza. In fondo, le crudeltà dei bambini di Les démons non sono un po' l'estrapolazione "realistica" degli orrori di Village of the Damned?

 

Perché, dunque, Maps to the Stars? Perché, banalmente, Felix nella seconda parte del film ha incubi riguardo un bambino di cui sa ben poco, e che è stato stuprato e ucciso (da chi quei corpi acerbi e inconsistenti li guarda con ben altro sconvolgimento, con ben altre pretese, con ben altre assurde certezze), e questi sogni rivelano che Felix può attingere direttamente all'orrore collettivo proprio grazie alla sua inconsapevolezza. Fare i sogni di qualcun'altro

Infatti, la breve parentesi sullo stupratore a metà film (stupratore di cui è bene non rivelare l'identità anzitempo) non cambia punto di vista: è come se la guardassimo sempre con gli occhi del bambino, che però non la esperisce davvero. 

Les démons finisce per essere un viaggio nell'inconscio, nelle paure, e non sbaglia nel rendere vere, palpabili, narrative, ma riesce ad avvalorarle, in maniera imprevedibile, concedendosi pure delle assurde tenerezze.

 

Lungi dall'essere un film perfetto (forse è troppo lungo, forse è troppo entusiasta, forse è troppo cinefilo), Les démons è comunque un film che ha non poco da dire, e Lesage con lui. 

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