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Un gioco estremamente pericoloso

Regia di Robert Aldrich vedi scheda film

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La recensione su Un gioco estremamente pericoloso

di degoffro
8 stelle

Misconosciuto ma eccellente poliziesco di Robert Aldrich, reduce dal trionfo commerciale di "Quella sporca ultima meta" dell'anno precedente, sempre con Reynolds e Eddie Albert. Il regista si inoltra nel territorio del cinema noir con risvolti intimistici, quasi melò, genere nel quale già in passato aveva eccelso. La trama gialla infatti è un puro pretesto, un semplice espediente che serve al regista per parlare di tutt’altro (e lo stesso Aldrich ha dichiarato di preferire più la storia d’amore tra Reynolds e la Deneuve che non la scontata indagine poliziesca). Il grande merito di questa cinica e spietata crime story (al pari dei quasi contemporanei e altrettanto riusciti, ma certo più famosi "Chinatown" di Roman Polansky del 1974 e "Il lungo addio" di Robert Altman del 1973) è infatti proprio la particolare attenzione nel ricreare la giusta e malinconica atmosfera, con un occhio minuzioso per dialoghi realistici e i caratteri di perdenti e sconfitti, come tradizione vuole, tanto cinematografica quanto letteraria: una peculiarità tipica del genere dunque, fin dalle sue origini, ma che in quel cinema degli anni settanta si andava un pò perdendo a favore di polizieschi contraddistinti da forti dosi di violenza, inseguimenti ad alta velocità, frequenti sparatorie, elementi che poi sarebbero degenerati negli anni a venire. Aldrich, in particolare, parte da due personaggi - un poliziotto di Los Angeles e una prostituta francese - che potrebbero essere il trionfo dello stereotipo anche per gli attori che li interpretano, non nuovi a quei ruoli, e ne rivela, con sorprendente efficacia, caratteri inediti ed inattesi, grazie anche alla prova di Reynolds e della Deneuve, capaci di creare tra loro un'affinità insolita e straordinariamente romantica. Il regista non si limita a "fotografare" la fascinosa e seducente coppia - all'epoca entrambi gli attori erano considerati legittimamente autentici sex simbol - ma la usa in modo intelligente ed originale per i suoi fini: da un lato Reynolds con il suo umorismo e la virilità mista a vulnerabilità; dall'altro la Deneuve con la sua aria glaciale e perversa, resa celebre da Luis Bunuel nei suoi "Bella di giorno" e "Tristana". Vincente così è il ritratto di questo poliziotto irlandese, spesso ubriaco, Clay Phill, stanco e deluso (Burt Reynolds, dolente e rassegnato, rabbioso ed umiliato, splendido davvero nel ruolo): un uomo che "ha trovato la moglie con le gambe incrociate sulla schiena di un altro", con un figlio che non vede più ("Come sta tuo figlio?", gli chiedono, "Non lo so: l’ultima volta che l’ho visto dormiva"), e con una compagna Nicole, (la fulgida Deneuve, appunto) che fa bollenti telefonate erotiche, creando sogni proibiti, e con la quale ha un rapporto di confidenza più che di amore: "Tu non fai l’amore con me: tu vieni solo a confessarti!", anche se poi la donna ammette candidamente che Phill "è l’unico uomo che ha avuto comprensione venendo a letto con me". Il sogno di Phill è raggiungere Roma, di cui conserva un poster nel suo ufficio, a cui rivolge lo sguardo quando conta i soldi, città molto amata in ricordo di una bella avventura professionale. Nicole invece ha nostalgia di Parigi (vanno al cinema a vedere il romantico "Un uomo, una donna" di Claude Lelouch). Ma Aldrich accanto a questa struggente e dialettica love story, non perde occasione per descrivere il marcio di una polizia pronta a liquidare un omicidio come suicidio solo perché la vittima "è figlia di un reduce della Corea, un signor nessuno, un poveraccio". "E’ figlia di qualcuno quella ragazza?" viene infatti chiesto ai due agenti dal loro capo - piccola partecipazione del solito, immenso, Ernest Borgnine, attore di fiducia di Aldrich - che spiega loro come "Noi non andiamo in cerca di vittime: ce le buttano addosso". Il lavoro del poliziotto, del resto, è duro, rischioso, faticoso, pressante: meglio evitare inutili rogne, sono gia troppi i casi su cui si deve indagare e che bisogna cercare di risolvere bene ed in fretta. Poco importa se poi, con altrettanta fretta, nonostante tutte le precauzioni, ci si può ritrovare all'altro mondo (non a caso "Hustle", fretta appunto, recita il titolo originale). "Facciamo le cose peggiori per le migliori azioni: il nostro non è un bel mestiere" dice Phill. Aldrich, come nel successivo "I ragazzi del coro" del 1977 si dedica, con affetto e complicità, ai tutori dell'ordine, rivelandone umanità, fragilità, aspettative, aspirazioni e debolezze e confeziona, ancora una volta, un onesto ed appassionato, triste e sconsolato ritratto - oggi potremmo dire alla Lumet - di una società ed un sistema legislativo allo sfascio, che favorisce gli arricchiti, i disonesti, i meschini e gli arroganti, lasciando i poveracci in condizioni precarie e disperate, perennemente ai margini a piangersi addosso in cerca o in costante attesa di una utopica giustizia e di una verità che pare sempre più incerta. Film di sogni ("Svegliamoci in un altro posto" chiede Nicole), di rimpianti, di solitudini e di disperazioni (quella del padre di Gloria, deciso a farsi giustizia da solo – "Vivi in un paese sottosviluppato con la tv a colori, che processo pretendi?", dirà Phil - e che di fronte all’omicida, un viscido avvocato, si sente dire: "Comprendo i suoi sentimenti, sono pronto ad un risarcimento. Sua figlia è stata con tanti uomini perché devo pagare io?" "Perché non posso uccidere tutti gli altri", è la sua secca risposta). "Un gioco estremamente pericoloso" racconta anche tante inquietudini, sconfitte e discriminazioni ("Ti costringeranno a fare la Giulietta di qualche Romeo finocchio: sei peggio che morto, sei un relitto umano. Non devi mai uccidere una persona importante: la gente come te dovrebbe morire in guerra", dice Phill al padre di Gloria, dopo che lo ha raggiunto sul luogo del delitto); porta alla luce amare constatazioni, desideri e speranze ("Nicole vorresti cambiare vita?" chiede Phill); mette tristemente di fronte a dolorose disillusioni attenuate solo da improvvisi e ormai, in un mondo così marcio, corrotto e depravato, quasi incomprensibili sentimenti di pietà e compassione ("Non avrei mai pensato di avere pietà per qualcuno" dice il collega di Phil, "Tu stai avendo pietà per nessuno", replica, dopo che hanno creato una messa in scena per scagionare il padre di Gloria). Finale lancinante e senza speranza: in quel gioco estremamente pericoloso che è il suo mestiere Phill uscirà definitivamente vinto (ucciso da un delinquentello da due soldi, interpretato da Robert Englund, il futuro Freddie Kruger) così che per lui non arriverà più "il momento in cui qualcuno deve cercare di vincere la balena" e Nicole lo aspetterà, invano, all’aeroporto nella prospettiva di un matrimonio d’amore che non si potrà mai celebrare. Splendido. Chissà se il grande De Palma per il suo capolavoro "Carlito’s way" ha avuto in mente la parabola disincantata di questo sbirro, che proprio nel momento in cui sembra che tutto ciò che desidera stia per realizzarsi, si vede stroncare violentemente il suo sogno d’amore, che rimarrà così, indelebile ed eterno, fissato su quel poster appeso in ufficio. Scritto da Steve Shagan, nomination all'Oscar per "Salvate la tigre" e futuro sceneggiatore de "La formula", "Il siciliano" e "Schegge di paura". Nella colonna sonora successi di Cole Porter ("Begin The Beguine") Charles Aznavour ("Yesterday When I Was Young") e ovviamente Francis Lai con la sua intramontabile "A Man And A Woman". Distribuito dalla Paramount nel dicembre del 1975, quando Reynolds (qui anche produttore con lo stesso Aldrich) era in sala anche con il divertente e spensierato "In tre sul Lucky Lady" di Stanley Donen, prodotto dalla Fox. Curiose analogie infine con "Pelle di sbirro" film diretto ed interpretato dallo stesso Reynolds nel 1981, in cui l'attore è un poliziotto della narcotici che, trasferito alla buon costume, conoscerà, nel corso delle indagini, una dolce prostituta interpretata dalla splendida Rachel Ward.
Voto: 8

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