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Louisiana

Regia di Roberto Minervini vedi scheda film

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La recensione su Louisiana

di FilmTv Rivista
8 stelle

«Siamo negli Stati Uniti d’America. E questo significa che saremo sempre liberi. Saremo. Sempre. Liberi». Così spiega l’anziano Jim a un bimbo, in quello che è il lavoro più politico della fulminante filmografia di Roberto Minervini, dopo la trilogia texana (The Passage, Low Tide e Stop the Pounding Heart) addentratosi nel cuore marginale e avvelenato della Louisiana. Il veleno è la metanfetamina di cui abusano Mark e Lisa, amanti perduti al centro del primo, folgorante e durissimo capitolo del film; veleno è anche la rabbia, la disoccupazione che in questo stato raggiunge il 60%, il rancore verso il governo che spinge un’intera comunità ad addestrarsi come miliziani, armati fino ai denti, in vista dell’avvento della legge marziale. “Freedom is not free” si legge sugli striscioni alla festa del 4 luglio: Minervini naviga negli acquitrini della Louisiana e nei confini vischiosi come sabbie mobili della sbandierata libertà a stelle e strisce, un’idea che in relazione a questi individui alieni alla società pare grottesca e fasulla quanto la maschera di Barack Obama usata come bersaglio e data alle fiamme in una sequenza impressionante. A portare Minervini alla scoperta di queste due comunità è stato uno dei protagonisti di Stop the Pounding Heart, il fratello di Lisa, l’amante tossicodipendente di Louisiana; un legame di sangue che trasforma la filmografia del regista in una vivida, atroce versione contemporanea della saga dei Rougon-Macquart, un affresco potente sulle tare sociali che si tramandano di generazione in generazione, nel sud di un’America dove nessuno posa lo sguardo. Quello di Minervini, invece, è talmente vicino alle comunità che racconta da produrre un effetto di intimità scioccante, quasi disturbante: lavorando con troupe e attrezzatura ridotte all’osso, costruendo relazioni umane coi suoi protagonisti, lascia che siano loro gli autori della storia, oltre che gli attori, impegnati a mettere in scena se stessi. Una vicinanza che gli consente di filmare l’infilmabile, amplessi e dosi in vena; vita vera, ma orchestrata dalla macchina da presa in modo tale che la distinzione tra fiction e documentario perda di senso. Un’idea di cinema che, come i suoi incredibili attori/non-attori, sembra calata da un altro pianeta.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 21 del 2015

Autore: Ilaria Feole

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