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Il bacio della morte

Regia di Henry Hathaway vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il bacio della morte

di omero sala
5 stelle

 

locandina

Il bacio della morte (1947): locandina

 

Un gangster movie classico, intramontabile, quasi perfetto, girato nel 1947 fra le strade di New York.

Vede lo scontro fra due malviventi dai modi e dai caratteri opposti: il protagonista Nick Bianco (Victor Mature). freddo e fondamentalmente onesto, e lo psicopatico Tommy Udo (Richard Widmark alla sua prima apparizione sullo schermo, un biondino specializzato in parti di cattivo, che fra il ’60 e ’90 apparve in numerosissimi noir e western dei più famosi registi (Kazan, Ford, Don Siegel, Lumet) e con attori leggendari (Marilyn Monroe, Cooper, Fonda e Quinn).

Nik viene beccato dalla polizia durante una rapina e finisce in cella; il procuratore tenta inutilmente di convincerlo a collaborare, ma lui rifiuta per il senso dell’onore (sempre spiccato, quasi esasperato, fra i malavitosi) e “copre” i suoi complici. Solo dopo che viene a conoscenza i soci lo hanno abbandonato, che la moglie si è suicidata forse per colpa loro e che le sue piccole figlie sono state affidate ad un orfanotrofio, si convince con mille titubanze a “cantare” denunciando alcuni complici per ottenere uno sconto di pena. 

E qui cominciano i guai: lo sfortunato Nik diventa confidente, cercando di non farsi scoprire dai vecchi complici, ma gli va storta: uno di questi, lo psicopatico Tommy, viene assolto e gli vuol fare la pelle. Nik mette in salvo le bambine e la nuova compagna, ma è costretto ad affrontare il biondino, e lo fa nel modo più imprevedibile: incontra Tommy e, ben sapendo che il balordo tenterà di farlo fuori, lo provoca per irritarlo avendo avvertito di ciò il viceprocuratore in modo da incastrare l’ex complice in flagranza di reato. E ci riesce. Forse lasciandoci le penne.

 

Hathaway, il regista, è uno che conosce bene il suo mestiere (e lo dimostra girando altri film di tutto rispetto (Il 13 non risponde, Chiamate Nord 777, 14ª ora, 23 passi dal delitto).

Si contraddistingue per alcune scelte registiche insolite alla sua epoca: una su tutte, la scelta di lasciare senza colonna sonora le sequenze più tese come quella, hitchcockiana, dei tragitti in ascensore della banda dopo il colpo (in una gioielleria al 24º piano!) o quella dell’attesa di Nik prima di uscire dal ristorante per farsi sparare da Tommy.

 

La trama è sapiente nel suo intreccio di dosati elementi presi da generi diversi: dal noir, appunto, dal filone legale (processi, affidi), dal poliziesco (indagini, pedinamenti), dai gangster movie (bande, sparatorie), ... senza dimenticare notazioni di carattere psicologico (valori morali, affetti familiari) e sociale o politico (disoccupazione, amministrazione della giustizia).

Anche il soggetto e la sceneggiatura (rispettivamente di  Eleazar Lipsky e di Ben Hecht con Charlie Lederer) sono notevoli nel sottolineare per tutta la durata del film, in ogni inquadratura, la tensione, la titubanza di Nik, la sua incapacità di districarsi fra il codice d’onore del malavitoso e il potente richiamo degli affetti familiari, la sua angosciante incertezza dovuta all’impossibilità di trovare una via di fuga, la sua lenta e faticosa metamorfosi che implica una inevitabile resa dei conti.

Il bianco e nero è perfetto nel sapiente contrasto fra luci e ombre. 

Le riprese sono minimaliste, lente, quasi da bradipo, senza eccessi di montaggio.

La neutra e malinconica voce narrante, fuori campo come si usava nei noir, fa quasi da contrappunto giocando a contrasto con la tensione dell’intreccio.

Il protagonista, dopo alcuni noir, anche per merito della sua possente fisicità, fu cooptato in famosissimi film storici (i colossal Sansone e Dalila, La tunica, Il gladiatore) nei quali dispiegò la sua sostanziale inespressività (che qui possiamo definire minimalista e fa buon gioco, ci sta bene, considerato il fatto che è chiamata a rappresentare una condizione di tormentata incertezza).

Il comprimario antagonista, Widmark, che ottenne una nomination per l’Oscar in questa sua prima interpretazione e iniziò qui la sua sfolgorante carriera (non solo cinematografica, ma anche teatrale e da insegnante di recitazione), è il personaggio più emblematico e farà da modello ad altri psicopatici simili, ma forse - visto a distanza - è il meno riuscito, il più prevedibile, ed è quasi ridicolo con quella sua risatina isterica (doppiato da Paolo Stoppa) che vorrebbe sembrare un tic satanico: un cattivo sicuramente meno convincente e lontanissimo da altri insuperabili malvagi successivi come Anthony Hopkins, Nikolson, Dafoe o Buscemi; resta di sicuro icasticamente memorabile la scena in cui spia Nik da dietro una tenda al ristorante e quella in cui, sghignazzando, scaraventa giù per le scale la madre paralitica di un altro infame. 

Il lieto fine, purtroppo inevitabile a quei tempi, è lì a infiocchettare e a sminuire il pregio dell’opera cha tratta di disillusioni.

 

Victor Mature, Richard Widmark

Il bacio della morte (1947): Victor Mature, Richard Widmark

 

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