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Little Sister

Regia di Hirokazu Koreeda vedi scheda film

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La recensione su Little Sister

di mck
8 stelle

Recuperare l'infanzia, scoprirsi adulti.


La differenza tra famiglia e società.
Al contrario delle apparenze, ogni anello aggiunto rafforza la catena, che forma una maglia. La contropartita? Ogni anello aggiunto diviene indispensabile. 

 


Kore-eda Hirokazu – che potrebbe essere considerato la dicotomica antitesi complementare di Sono Shion, suo coetaneo ma più precoce e prolifico regista: e qui le mie speculazioni, iniziate 18 parole fa, terminano (non ho assistito ad un sufficiente numero di opere né dell'uno né dell'altro autore per potermi addentrare in ulteriori paragoni) – scrive (traendolo da un manga di Akimi Yoshida), monta e dirige “Umimachi Diary - il Diario di un Borgo Costiero” (una crasi tra “Piccole Donne” e “i Tre Moschettieri”, mentre a tratti sembra di stare in “Ponyo sulla Scogliera”) dopo la mini-serie tv “Tornando a Casa” e “(Diventare) Padre e Figlio”. 

 


“Me ne parlerai, un giorno? Di papà, dico.”

La macchina da presa di Kore-eda - perennemente, impercettibilmente in movimento - prende l'abbrivio, in medias res, emergendo di colpo, senza assolvenza, da un a nero (il prima, il solito: la notte passata, gli anni vissuti, tutto il tempo del mondo), cogliendo il soggetto già consolidato nella luce – ovvero non sfruttando la dissolvenza (in apertura) come molte altre volte accadrà (in chiusura, sfociando nel nero di un'ellissi) durante il corso dell'opera a cesura e significazione di ogni ''capitolo'' –, inquadrando...     

 

 

...i piedi nudi di una delle tre sorelle Kôda, e proseguendo poi attraverso una macro-panoramica ravvicinata a risalire in diagonale lungo le gambe di lei, eseguita in steady-cam (che sembra un micro-dolly, o viceversa), estesa poi lateralmente sull'intero corpo coricato ancora sognante e immerso nel dormiveglia tra le lenzuola sulla soglia del risveglio, prospetticamente aprendolo in veste di azimutale paesaggio e posizionandolo ad orizzonte (quadro condiviso con il compagno della notte trascorsa), e spiaggiandosi infine, anch'essa, a chiudere la sequenza, sul letto, sul viso, sui volti, come un'onda di risacca e marea…

 

…e va a spegnersi, dopo 2 ore e passa, sulla battigia, orme di passi di scarpe basse sulla sabbia bagnata e scura del bagnasciuga, al limine delle frattali frange oceaniche, dove la vaporosa schiuma spumeggia, evapora e si ritira: Kore-eda apre il film con un pieno...nudo, spogliato, scalzo, e lo chiude con un vuoto protetto, accudito, calzato : dalla sostanza in potenza si giunge alla forma espressione di sé. 

 

Il mare, il mare.

Thalatta! Thalatta!


“Sono arrabbiata con Dio, qualunque esso sia.”

No, non è un film così fragile e ricolmo di nulla da dover ricavare elucubranti nientumi com'e qual'i di poco fa esposti: in ogni gesto ritratto vi è una storia in farsi, il suo passato e futuro, in ogni parola, un discorso più ampio, quotidiano, comune, riconoscibile e vasto: vi è tanto-quanto, in “il Diario di una Cittadina Costiera - Our Little Sister”, si può ritrovare in un vostro angolo, parentesi, spicchio di mondo. 

 

 

Percorre gli ultimi passi della stradina in dolce salita che porta alla loro grande casa-collegio-sorellanza camminando lo sguardo rivolto al terreno inseguendo i propri passi, e arriva sin quasi al cancelletto d'ingresso, e lì fermandosi, per un momento, giusto il tempo di rinchiudere i pensieri in un gomitolo e portare al viso un sorriso pescato da chissà dove, cesellandolo a guisa di maschera da indossare alla bisogna, disegnata seguendo le fattezze di una spuria automimesi teatrale. E soltanto una volta adempiuto a questo rituale, solamente allora, decide di poter rincasare (figlia, sorella maggiore, madre, moglie...) proseguendo verso la soglia. 

 


Pochi registi come lui (al netto dei soliti, impossibili, inutili, doverosi - non paragoni, ma - accenni alla discendenza acquisita da/con/verso Yasujiro Ozu) sanno restituire l'inverata realtà apparendocela dapprincipio sí'mprobabile {confrontare “Lars and the Real Girl” [di Nancy Oliver (“Six Feet Under”)] del pur bravo (“United States of Tara”) Craig Gillespie, del 2007, con il...ehm...remake potenziato che Kore-eda inscena nel 2009, “Air Doll”}, per troppa quotidiana, pervasiva bellezza (stupore compìto, tenerezza macchinale) : Edward Yang (“Yi Yi”), Takeshi Kitano (“l'Estate di Kikujiro”), David Gordon Green (“George Washington”, “UnderTow”), Alba Rohrwacher (“le Meraviglie”), Abdellatif Kechiche (“la Graine et le Mulet”, “la Vie d'Adèle”), Nanni moretti (“la Stanza del Figlio”, “Mia Madre”), o, pescando bentonicamente, (quasi) tutto Woody Allen (si, alla fine, non è che un ottimista, ed è disposto ad ammazzare per raccontarcelo), e Powell & Pressburger (“A Canterbury Tale”).

Certe volte, anche con te - e sai che ti voglio bene -,
mi arrabbio inutilmente, senza una vera ragione.

 

 

Le 4 giovani attrici protagoniste -[ ma ci sono almeno altre 3 figure femminili rimarcabili (madre, prozia e ristoratrice), più un piccolo stuolo di caratteri maschili (i 4 e più amici-amanti delle sorell(astr)e, il cuoco, e l'assenza - prima volontaria e poi forzata - del padre ]- sono l'una più viv(id)a dell'altra, e fatto il giro si riprende, a spirale, a salire... La fotografia (35mm in 1.85:1) di Mikiya Takimoto (“Padre e figlio”) e la musica di Yôko Kanno ("CowBoy BeBop" - serie e film) sono entrambe nette, palesi, semplici, giuste, limpide, scopertamente retoriche, ulcerosamente romantiche.

 

Come l'hanami (letteralmente: ammirare la fioritura) dei sakura (le infiorescenze di una specie di ciliegio ornamentale, Prunus serrulata).

[ Versione Doppiata (sufficientemente bene) ]  -  * * * * ¼      

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