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Line of Credit

Regia di Salome Alexi vedi scheda film

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La recensione su Line of Credit

di OGM
7 stelle

Il 14% dei proprietari di appartamento, in Georgia, ha appena perso la casa. Sono coloro che, tra il 2009 e il 2013, hanno stipulato un mutuo ipotecario. Una di essi si chiama Nino. È una giovane vedova e madre di due ragazzi, sposata in seconde nozze, e titolare di un bar tavola calda. Tutto è iniziato con la vendita di un terreno, un acquisto effettuato con la somma promessa dall’acquirente, che poi ha cambiato idea. Da quel momento, la situazione non fa che precipitare: un debito tira l’altro, creando una valanga incontenibile, contro la quale nulla serve impegnare, poco alla volta, i gioielli, i mobili, gli arredi. Il film della regista esordiente Salome Alexi è la cronaca di un declino economico, dell’erosione delle certezze quotidiane, di un incubo che piano piano si insinua dentro la normalità, e che, giorno dopo giorno, si può soltanto cercare di rinviare, con piccole iniziative che fanno da tampone. Le immagini nascondono l’ansia dietro un’apparenza di gioia luminosa, in una sequenza di ritratti individuali, di coppia, di gruppo, la cui colorata incandescenza rimanda ai cromatismi di Edward Hopper, nell’interpretazione un po’ allucinata data da Aki Kaurismaki. Come nel cinema del maestro finlandese, un realismo un po’ beffardo e divertito brilla della voglia di dimenticare le sventure per fermarsi a raccontare, a cogliere l’effetto pittoresco e straniante prodotto dai personaggi alle prese con un ambiente che li accoglie con bonaria ironia, pur non risparmiando loro nessuna umiliazione. Come in un quadro naïf, lo scenario è variopinto e compresso, incorniciato dall’abitudine, da una quotidianità che, a dispetto delle difficoltà, fa di tutto per darsi un contegno, per resistere fino all’ultimo all’incalzare della sfortuna. È un eroico sforzo di serenità che esorcizza il dramma, drogando la coscienza con la finta allegria indotta dalle bevute in compagnia, ed inebriandosi del gusto di narrare a vuoto, di discorrere di un nulla trasognato che comunque, a suo modo, riesce a riempire lo schermo, tingendo i tempi morti con il filosofico accento della sciocca illusione che inganna l’attesa. La magia dell’artificio è racchiusa in quella imbelle combattività della gente comune che procede con la forza del paradosso: non c’è nulla da fare, è inutile insistere, il peggio deve ancora venire, eppure si continua come se nulla fosse, a piccoli passi, strappando di volta in volta un attimo di pace in più all’incombente catastrofe. La fantasia, più che esprimersi in ingegnosità operativa, si identifica qui con la capacità di sovrastare la realtà mediante l’assenza di pensiero: l’arte di arrangiarsi si plasma nella dimenticanza, che può essere l’arma creativa dei deboli, sempre pronti a stare insieme ed aiutarsi, a tirarsi su il morale, ma quasi mai veramente capaci di risolvere le situazioni. Line of Credit è un film di denuncia che parla con il tono blando della testimonianza discreta, comprensiva, rispettosa dei limiti imposti dalle circostanze, in termini etici ed intellettuali, anche a fronte dell’esiguità degli spazi di manovra.  I protagonisti sono sempre più inchiodati alla loro condizione, ed assecondano la discesa verso la rovina con una grazia che contempla anche qualche innocua spruzzata di menzogna e meschinità. Il bisogno nobilita i mezzi. Ma, naturalmente, senza esagerare. 

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