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Patria

Regia di Felice Farina vedi scheda film

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La recensione su Patria

di MarioC
5 stelle

Patria è la rappresentazione plastica dei rischi insiti nella procedura di ibridazione filmica. Felice Farina pone un meccanismo narrativo ed uno sfondo che lo accompagni, ne faccia da controcanto e da filo rosso. Il vero problema è che, nel film, è lo sfondo ad avere autentica dignità e spessore, laddove il meccanismo narrativo risulta ad esso soltanto sotteso, lasciandosi intendere quale mero esempio di una retorica necessaria (non avrebbe potuto esserci Patria, se non in forma documentaristica, senza la storia dell’operaio disperato e dei suoi casuali compagni d’avventura) ma inevitabilmente forzata. Al contrario lo sfondo è la Storia, con i suoi rimandi, i suoi intrecci, i suoi agenti tettonici in grado di modificare pensieri e gesti, di invadere di sé pletore di generazioni, formicai di azioni e reazioni.

 

 

Lo spunto è il fluviale ed omonimo libro di Enrico Deaglio, autentico carniere di episodi e fatti, pantheon di vite e soggetti, viaggio dentro i mille perché di mille e una mutazioni. Opera che, si diceva, avrebbe potuto prestarsi, con dignità piena ed autonoma, ad una messa in scena quantomai realistica ed icastica: compendiare 33 anni di storia in una sintesi filmica avrebbe comunque avuto efficace portanza, ove accompagnata dal dono della pennellata veloce e apodittica. Il regista invece vola un po’ più in alto: cercare di esporre, in un gioco di rimandi che sbozza personaggi in forme usurate e granitiche (il comunista duro e puro, il proletario fascista per atavica convinzione, o disperazione di giorni che promettono senza mantenere, l’autistico Forrest Gump chiuso in una memoria storica che pare senza sbocchi reattivi), la necessaria e vivida forza dei fatti e della loro azione chimica sulla psicologia degli uomini. Ecco, sembra dire Farina: questo è quello che siamo, nell’anno di grazia 2015, in quanto portato di una crisi e di una confusione di valori che ha radici lontane e che ora cercherò di spiegarvi senza troppe interpolazioni, con la forza delle immagini, con il documentarismo scevro dei rischi della interpretazione (e le immagini proposte sono davvero belle e pregne di commoventi schegge mnemoniche). Obiettivo nobile ed importante, tuttavia centrato in parte. Si avverte uno scollamento, una forzatura che stride, appensantisce l’esposizione, gonfia i dialoghi di asserzioni già viste e già ascoltate. Le urla belluine dell’operaio di Pannofino, la apparente calma da ottimismo della volontà del sindacalista Citran, le mute rimembranze del centralinista “Assunzione Obbligatoria” di Gabardini sono soltanto una piccola enclave della nostra Patria. Perché la Storia corre e scorre, e non si adegua a fare da sfondo alle minute gesta del quotidiano. O, almeno, nel film, avrebbe dovuto interagire con esse in modo un po’ meno programmatico, con meno salti e balzelli tra gli anni e le epoche storiche e maggiore aderenza a quelle rabbie ed a quelle disillusioni.

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