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Uno straniero a Paso Bravo

Regia di Salvatore Rosso vedi scheda film

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La recensione su Uno straniero a Paso Bravo

di mm40
2 stelle

Uno straniero attraversa il deserto per approdare a Paso Bravo. Si chiama Gary, mancava da sette anni in paese, e ha una vendetta personale da compiere ai danni del cattivo di turno, tale Acombar. Non sarà facile, naturalmente, ma Gary è determinato ad andare fino in fondo alla faccenda.


La seconda regia di Salvatore Rosso – che per l'occasione si spreme le meningi al punto da elaborare uno pseudonimo sofisticato come Salvator Rosso – arriva a quasi dieci anni dall'esordio con Carosello spagnolo, ma si tratta a ogni modo della prima firma in solitaria dietro la macchina da presa poiché nel precedente lavoro la regia era condivisa con Gian Rocco e Pino Serpi. A prescindere da tutto ciò, si tratta anche dell'ultimo film diretto da Rosso, che rimarrà però nell'ambiente cinematografico con incarichi marginali; il lungo apprendistato da assistente (anche di Pietro Germi per In nome della legge, nel 1949) durato quasi tre lustri ha dato senza dubbio i suoi buoni frutti, visibili nella resa estetica di questa pellicola (quantomeno considerandone il budget ridotto e le aspettative da 'riempitivo' per le sale). Insomma, Uno straniero a Paso Bravo non è affatto un brutto film, ma un film povero di idee sì: la sceneggiatura di Fernando Morandi e Lucio Battistrada non va da nessuna parte e contiene più di un momento fragile o non esattamente funzionale alla narrazione (la classica scenetta musicale nel saloon, per es.), dando l'idea di un lavoro realizzato in fretta e furia, nonché largamente già visto per il sovrappopolato filone dello spaghetti western. Qui interviene il testo di riferimento per tale genere, ovvero il Dizionario del western all'italiana di Marco Giusti, che ci racconta come le riprese subirono un drastico stop a causa della mancanza di fondi e anche come dovette intervenire il protagonista Anthony Steffen/Antonio De Teffé (che a dire il vero aveva avuto qualche esperienza come aiuto regista nel decennio precedente) per dirigere le ultime sequenze mancanti. Ma le note più interessanti sono quelle che rivelano una sospetta somiglianza fortissima fra la trama di questo film e quella del successivo E Dio disse a Caino (Antonio Margheriti, 1969). Nel cast, a parte il monoespressivo Steffen, anche Eduardo Fajardo, Pepe Calvo, José Jaspe – e a questo punto la coproduzione italo-spagnola sarà chiara a tutti – e ancora Giulia Rubini, Ignazio Leone e Renato Pinciroli. 2,5/10.

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