La recensione su Calle de la Pietà

di mm40

4 stelle

Agosto 1576, Tiziano sta cercando febbrilmente di ultimare la Pietà, ma è consumato dalla peste. Rimarrà il suo capolavoro incompiuto.

Immagini di Venezia, della Venezia odierna, alternate a carrellate sulle opere di Tiziano, con la voce fuori campo del regista che recita un commento lirico in onore del pittore del sedicesimo secolo e ispirato al giorno del suo trapasso, il 27 agosto del 1576. Per quanto si tratti di un documentario su Tiziano e sulla sua arte, e la cosa sia innegabile, rimane forte il sospetto - suggerito d'altronde dalle parole stesse di Mario Brenta - che Calle de la Pietà sia un lavoro autobiografico, nel quale la rassegnazione alla - più che la paura della - morte ha il ruolo della protagonista assoluta. Un diario, un racconto intimo che prende spunto dalla parabola finale dell'esistenza di Tiziano per proporre "un altro patetico tentativo di fuggire la morte", per usare i termini esatti di Brenta. Classe 1942, il regista è attivo ormai da mezzo secolo nel mondo del cinema, avendo esordito sul set come aiuto di Eriprando Visconti nel 1962 per Una storia milanese; alla quantità ha sempre preferito la qualità, licenziando pochi, ma significativi film. Anche in questo caso tutto si può dire, tranne che Brenta non abbia qualcosa da dire; certo però che la linea narrativa o ciò che dovrebbe rappresentarla si disperde immediatamente fra parole e immagini non sempre in dialogo diretto fra loro e non è sempre facile seguire le divagazioni verbali del commento, specie considerando che il lavoro dura un'ora (forse ridurne la lunghezza a cortometraggio sarebbe stato ragionevole). Accreditata come co-regista e brevemente presente anche davanti alla macchina da presa è Karine de Villers, compagna di Brenta. 4/10.

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