Regia di Ivan Kavanagh vedi scheda film
32 TFF – After Hours
Niente di nuovo sul fronte horrorifico. Non sarà tra i peggiori esemplari del genere, che tanto negli ultimi anni ha prodotto oggetti tutti uguali da catena di montaggio, ma certo The Canal non brilla né per inventiva né per modalità di induzione allo spavento.
Svolgimento tipico, lineare - presentazione della famigliola felice, prime avvisaglie di imminenti manifestazioni maligne, fattaccio brutto, discesa negli inferi del protagonista, risoluzione più o meno aperta - e andamento narrativo/estetico/sonoro altrettanto classico e prevedibile, su storia che sembra un collage di altre storie già raccontate in abbondanza.
Fantasmi, ancora. E vecchi misfatti che vengono a galla dal canale della morte, nere indefinibili entità dal passato che insozzano animi candidi trascinandoli nel gorgo dell'insania, una casa stregata con muri che grondano sangue e celano orrori indicibili, sacrifici di bambini. Non manca nulla, o quasi, dal discount "de paura". E tutto pare nasca da una terribile seduta spiritica, le cui conseguenze sono eventi ricorrenti nel tempo: il maschio alfa che ammazza la moglie infedele e, se capita, pure la candida prole.
In più, probabilmente per darsi un tono "colto", il regista nonché sceneggiatore Ivan Kavanagh, dota il discorso di un corredo da "cinefili" (l'uomo fa l'archivista di film, le vecchie cineprese, le pellicole degli inizi del ventesimo secolo che fanno scoprire le origini della casa, le riprese "ingannatorie" usate per fissare il male), il quale, però, ai fini del racconto, resta sostanzialmente irrilevante, e di conseguenza pretestuoso.
Quello che invece conta davvero è un crescendo standardizzato, ottenuto per mezzo di espedienti normali e immancabili: il sobbalzo sulla sedia giunge (a chi si lascia fregare), infatti, solo ed esclusivamente con picchi assoluti e assurdi del muro di suono che travolge i sensi in un nanosecondo, oppure buttando sullo schermo l'ennesima ombra sospetta, l'angosciante apparizione fantasmatica, l'inquietante figura dai contorni sfumati. Il Male. Puff.
I canoni disegnano i personaggi concentrandosi sulla figura irrimediabilmente corrotta del buon padre di famiglia (interpretato sufficientemente da Rupert Evans, ma l'olandese Hannah Hoekstra, per quel poco che resta in scena, colpisce per presenza e bellezza), azionando il più classico dei dilemmi (che tanto dilemma non è): il responsabile del delitto è lui oppure è opera dell'uomo nero? Chissà, malgrado comunque la banalità (e la prevedibilità) della questione, la cosa è condotta per benino, con ritmi azzeccati e scelte visive accettabili (esclusa perà la sequenza del mostruoso parto, ridicola perché posticcia e inutile, mentre è efficace però stravisto il sogno/viaggio temporale del protagonista che "vede" in azione un suo omologo del passato) che rendono quanto meno funzionale la natura dell'opera.
Infiltrazioni crime (le indagini della polizia) e figur(in)e di contorno (la collega apprensiva e forse innamorata, la suocera che vuole prendere il figlioletto con sé, il detective arguto dalla battuta-sentenza pronta - «è sempre stato il marito» -, il bambino tenero e sfigato e la giovine tata, l'amante che voleva così tanto bene alla defunta che «l'ha presa così male che l'hanno dovuto ricoverare», da cui si può dedurre che forse il marito è solo uno stronzo uxoricida) completano il quadro, al cui centro si trova questo fantomatico canale che più che altro è un rigagnolo di relativa (e accidentale) importanza, mentre sullo sfondo si posiziona la (fu) famiglia felice pronta a riformarsi post mortem (unico barlume di sottile crudeltà).
Se questo basta, oggi, per definire un prodotto horror. Domani ce ne saremo già dimenticati.
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