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Saint Ralph

Regia di Michael McGowan vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Saint Ralph

di kahlzer
6 stelle

Ne polluantur corpora ....Vorrei spezzare una lancia a favore di questo film, costretto a intristire nella discarica a etere aperto della nostra televisione, da dove ogni tanto riaffiora, in attesa che il ciclo delle sue reincarnazioni si compia (il karma dei palinsesti è in assoluto il più crudele escogitato da mente umana). Malgrado la fattura grossolana e i limiti evidenti, il film ha innegabili accenti di grazia e dignità, che altri, magari più curati, o in fama di capolavori, non riescono nemmeno a lambire. È la storia di un ragazzo costretto a vivere il suo essere “al di là del bene e del male” della sua adolescenza proprio in uno dei luoghi - una scuola cattolica – dove la lotta manichea è esperienza quotidiana, e dove le cose più innocenti si convertono facilmente in peccato. Nel rievocare la storia, il regista (o chi per lui) sembra pescare nei ricordi del proprio vissuto collegiale, restituendone il clima, se non proprio oscurantista, certo rigido e illiberale (come anche ci dice un “contrasto” tra un ex allievo e il preside). Preso di mira è appunto il cerbero e maccartista padre Fitzpatrik (l’ottimo Gordon Pinsent), responsabile della “rete di protezione spirituale” della scuola, e testimonial della più prosaica delle ortodossie, con la quale i miracoli mal si conciliano. È la più vistosa delle sue contraddizioni, dato che professa una religione che in due millenni di canonizzazioni ha infeudato debolezze e sofferenze a una miriade di patrocinatori (nel film l’invenzione più spiritosa dei siparietti mensili è un Sant’Antonio Abate, invocato come santo patrono dei becchini - ma se qualcuno cercasse nelle tradizioni medievali, per non dir nelle odierne credulità, non ne uscirebbe con scoperte meno spiritose, visto che in passato neppure i becchi sfuggivano a questo capillare protettorato). Come tutti o quasi gli adolescenti che vivono una condizione difficile, anche Ralph è alla ricerca di un riscatto: si crede destinato alla grandezza (è il suo salvacondotto per sottrarsi al giudizio comune e appellarsi all’anarchismo, come poi scoprirà da una citazione di Nietzsche) - ed insegue vaghe competizioni, in cui mostrare il proprio potenziale talento. A causa di un increscioso incidente in piscina - una polluzione che, a dispetto degli smanettamenti quotidiani, è così abbondante da richiedere la bonifica dell’impianto - egli viene cooptato alla corsa campestre, affinché l’energia in eccesso trovi sfoghi meno materici. Inaspettatamente il castigo diventa l’occasione per individuare finalmente l’obiettivo cercato, e, insieme, per una riflessione sul miracolo, della cui urgenza il ragazzo prende dolorosa coscienza, dopo un improvviso peggioramento della madre. Spinto da una strana commistione di intenti (i miracoli, oltre che contrari alla logica, tollerano una certa laicità di partenza, anzi la reclamano, altrimenti che miracoli sarebbero?) Ralph decide di allenarsi per la maratona di Boston, convinto che, se gli riuscisse di vincere una sfida giudicata da tutti impossibile, allora anche il secondo miracolo – la guarigione della madre – ne seguirebbe per automatismo. Non si guardi troppo per il sottile questo strano sillogismo, che in fondo è la versione elementare del credo quia absurdum. Il maratoneta perderà la gara, ma il nome pronunciato a fior di labbra (è il momento più bello del film, e vorremmo immaginarlo come la fugace apparizione di un fiore in un quaderno di Kiarostami, e invece ...) suggellerà il miracolo e procurerà a Ralph, l’onore di una vetrata, da dove l’aureolato corridore si congeda nel fermo-immagine della sua impresa. Sospeso fra dramma e commedia, girato senza pretese di ricostruzione o di ambientazione, il film sa trarre profitto dai suoi difetti. Procedendo quasi per sottrazione, libera il campo dai molti riflessi sociologici che questo genere convoglia, riuscendo così a darsi le ali giuste per scorrere con grazia e levità (il regista, per altro, anima la sua creatura con qualche tocco di poesia o qualche sorprendente incursione nel profondo: vedi la casa incendiata, rito di passaggio, per sgombrare il cammino dalle memorie). Merito di alcuni interpreti (compresa l’anonima segretaria della scuola: forse una vita intera trascorsa aspettando che qualcuno notasse il colore dei suoi occhi! – un complimento che farà poi miracolosamente comparire una saint-paula sulla sua compassata e frigida scrivania). Merito soprattutto di questo Adam Butcher, alias Ralph Walker, che riesce a prendersi la scena e ad oscurare l’ammaccata impalcatura del set. Le sue pronunciate orecchie a sventola lo mettono fin dall’inizio al riparo dalla indigesta perfezione di tanta stucchevole campionatura seriale nostrana, e gli procurano un surplus di simpatia: diciamo pure che sono parte integrante del miracolo, se grazie anche a quest’imperfezione, possiamo meglio apprezzare la sua espressività, sincera, misurata, intensa, a volte toccante ... Chiudo con un paradosso. Si dice che il piacere perfetto lasci insoddisfatti. Dovremmo concludere che questo film, che lascia certo insoddisfatti, è a suo modo perfetto?

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