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Imagine - Una vita al limite

Regia di Thierry Donard vedi scheda film

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La recensione su Imagine - Una vita al limite

di amandagriss
8 stelle

La paura è la musica degli sport estremi.
Le attitudini individuali, una buona dose di incoscienza, il gusto del brivido, l’adrenalina, lo spirito di gruppo o l’avventura in solitaria, l’estasi che si staglia sul viso sotto le fattezze di un radioso largo contagioso sorriso, sono le note -bizzarre, grintose, suggestive, travolgenti, ipnotiche, elettrizzanti, assuefanti, ogni volta sorprendenti, ogni volta diverse- che la compongono.
Gli sport estremi sono l’evoluzione ultima dell’eterno desiderio da parte dell’uomo di immergersi nella maestosità di una natura sovrana, pura e incontaminata, non più per restarsene immobile a contemplarla, trafitto e schiacciato dalla bellezza che lo contiene e lo sovrasta, quanto per prenderne parte attivamente, contribuire -finalmente- con un ‘gesto’ al suo miracolo in continuo, perenne divenire. Sono altresì un modo per confrontarsi con madre natura stessa, testare i limiti dell’essere umano. Spostarsi ogni volta un poco più in avanti, a raggiungere tutte le volte (e superare) il concepibilmente possibile. Ottimizzando, in progressione, la performance e gli strumenti che ne permettono la realizzazione. Riducendo, fino ad arrivare ad azzerarla, la distanza invisibile tra uomo e natura.
Gli sport estremi sono una scelta rigorosa di vita.
Sono uno stile di vita.
Alla base, la passione.
Verso un determinato sport. Che finisce di essere tale per trasformarsi in qualcosa di più profondo e complesso, volto a coinvolgere l’equilibrio psicofisico. Preservandolo e presiedendo al suo mantenimento.
“Mens sana in corpore sano” recitavano gli antichi, ed è quello che scorgiamo in questi giovani uomini e donne che, simili a incalliti segugi, si dedicano alla continua paziente meticolosa scientifica ricerca delle condizioni meteorologico-ambientali ideali per dare libero sfogo alla propria passione. Ma lo fanno con l’assoluta preparazione che l’atto in sé esige. Non sono degli sprovveduti e tantomeno degli avventati. Consapevoli di guardare la morte in faccia tutte le volte, si premuniscono al meglio. Imparano dai loro errori e si adoperano affinché non se ne verifichino ancora. Quando cadono, trovano la forza per rialzarsi e ricominciare. La forza, unita all’abilità raggiunta da una vita in sella al proprio destriero, sia esso un paio di sci, una tavola da snowboard o da surf, una tuta alata o una canoa con pagaia. La tecnologia più avanzata li aiuta a contenere al minimo i rischi sul campo, anche se la certezza assoluta della riuscita della loro ‘ludica’ impresa non verrà mai fornita da un grafico cartesiano o un calcolo matematico; è qualcosa che si avverte dentro, distintamente, di molto intimo e impalpabile. Trasformare tale viscerale e indomita passione in lavoro è il sogno realizzato di molti di loro. Questi fortunati vivono di ciò che amano, trasmettono il proprio amore e la propria esperienza alle giovani generazioni, ai loro stessi figli, cosicché possano un domani non molto lontano seguire le orme dei padri, fare come loro e meglio di loro.
 
‘95 minuti di meraviglia. Veniamo catapultati, anima e corpo, nel microcosmo folle ed entusiastico di Una vita al limite, realtà parallela che pare essere uscita direttamente da una tavola a fumetti o da un cartoon, per quanto siano messe in discussione, o così per lo meno appare agli occhi dei comuni mortali, le leggi della fisica. Girato pensando al cinema, conserva di esso il suo ampio respiro. La mdp va al di là del limite tradizionale di osservazione. Scorgiamo il tetto delle onde oceaniche (ne abbiamo sempre e solo visto la cresta frontale), la mole di spruzzi sferzanti che inghiottono il provetto surfer impegnato a realizzare -in gergo tecnico- il tubo, con il corpo quasi compresso contro quell’azzurro muro d’acqua innalzato da onde gigantesche. O ci libriamo nell’aria grazie alle efficacissimi riprese in soggettiva mediante l’uso di microcamere posizionate sul capo e parti del corpo strategiche (schiena e torace) degli stessi protagonisti, per assaporare anche noi come loro la sensazione del volo, da sempre nelle conquiste impossibili dell’uomo. O ancora, solchiamo alla velocità della luce spiegazzate lenzuola di neve della consistenza della panna montata adagiata su superfici talmente ripide da sembrare verticali, domandandoci tutto il tempo com’è che non si cade nel vuoto, mentre ci insinuiamo negli interstizi impraticabili di rocce talmente alte da toccare il cielo. O saggiamo le ribollenti rapide del fiume, scivolando tra massi sporgenti e percorsi accidentati, mentre pregustiamo il momento della caduta libera, sommersi dall'immane portata d'acqua di cascate mozzafiato.
Le tecniche di ripresa sono in grado di trasmettere una gamma di emozioni che oggi, nell’era del tutto già visto e stravisto, costituiscono una gradevolissima sorpresa, ancora capace di farci sgranare gli occhi. L’uso del ralenti, impiegato con sapiente parsimonia e nei momenti più appropriati, non serve come accade nelle opere di finzione ad enfatizzare un momento e creare empatia tra storia e spettatore, quanto piuttosto a scandire l’azione (che è istantanea), a chiarificarcela, rendercela assimilabile ad occhio nudo, provvedendo a restituirci i singoli movimenti in tutta la loro armonia e perfezione.
Una sferzata di energia. Assolutamente rinvigorente. 

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