Espandi menu
cerca
Leviathan

Regia di Andrej Zvyagintsev vedi scheda film

Recensioni

L'autore

logos

logos

Iscritto dal 15 aprile 2014 Vai al suo profilo
  • Seguaci 19
  • Post -
  • Recensioni 310
  • Playlist 2
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Leviathan

di logos
6 stelle

Si respira un’aria cupa, frastornante, in cui la terra e il mare, l’uomo e la natura, sono sempre stretti in una morsa, perché il mare, con le sue onde continue, inghiotte tutto ciò che l’uomo produce nella sua vita, di alto e di bassa, e glielo ributta addosso in forma di carcasse, quasi per ricordargli che tutto ciò che è, è destinato a morire, e anche tutta la storia della grande Russia, sia quella imperiale zarista, sovietica o di Putin è solo una grande carcassa, priva di fondamento, un Leviatano senza più storia, in cui il potere religioso e politico si reggono a vicenda tramite la corruzione, ammantandosi di parole, di icone, che si appellano ai valori, alla tradizione, alla verità, al volto di Cristo, quale verità ultima in forza della quale tutto è concesso, pur di riciclare il leviatano, nonostante le sue metamorfosi.

Ma dentro questo mostro fuori della storia, senza più storia, gli esseri umani si aggirano storditi, in preda ai loro fantasmi, al loro senso di potere e di identità, sia che ricoprano ruoli di alto livello sia che facciano parte degli ultimi. Si aggirano come lupi, diffidano di chiunque, e ciascuno deve guardarsi alle spalle per poter sancire il suo diritto all’esistenza, nella famiglia, nella società, fino ai rapporti più complessi del potere politico, religioso, giudiziario.

 

E’ duqnue un film sul potere ma non solo. Lo è perché il potere viene rappresentato nella sua corruzione sistematica, che si abbatte inerte sulle esistenze, le quali a loro volta si aggrappano a questo stesso potere per poter far valere la propria identità, senza rendersi conto che in questo modo non fanno altro che consegnarsi al loro inevitabile naufragio, in quel mare di Barents, simbolo di una natura indomita, che non risparmia i giusti e gli ingiusti, perché la loro colpa è già segnata nel loro stesso esistere, nel loro volersi determinare, senza invece riconoscere che il loro esserci è solo un passaggio nel grande caos. Ma al tempo stesso è anche un film che non parla solo contro il potere ma anche della sua inevitabile dissoluzione per via di forze che stanno fuori del controllo umano.

 

In altre parole, Andrej Zvyagincev sembra volerci dire, con questa sua opera, che la storia ha fallito, si è infranta contro le rocce di un mare e di una natura che nulla vuole sapere della storia umana, perché il suo peccato è quello di dare un senso là dove il senso è scomparso o non è mai esistito. E questo discorso non vale soltanto per la grande storia, ma anche per la storia locale, che non fa che riprodurre quella in grande. Ma vale anche per quegli esseri umani che cercano di resistere contro le ingiustizie della storia umana, perché resistere contro le ingiustizie della storia significa in qualche modo esserne complici. Non c’è salvezza per il Giobbe di Zvyagincev, nessun Dio lo potrà infine riconoscere come colui che ha sopportato l’ingiusta colpa del giusto, perché Giobbe non è un giusto, come non lo è la sua famiglia, i suoi amici e coloro che con le armi di una legalità corrotta lo vogliono combattere e distruggere. E nonostante nel film traspaia netta la critica a una Russia che non si è mai sollevata da se stessa e dal suo marciume, dallo zarismo al sovietismo, dal sovietismo al putinismo, è una critica che si fa sempre più universale, fino a commiserare gli stessi padroni del potere, incatenati come Giobbe all’illusione che l’esistenza debba avere un senso. Una critica che va al di là del bene e del male del potere, se vogliamo anche basata su un esistenzialismo nichilista, che scava nel profondo con le armi di Dostoevskij e di Cechov, ma non sa offrire alternative, e amaramente riproduce l’immobilismo che critica. Gli uomini fanno la loro storia, nel bene e nel male, ma intanto tutto quello che fanno è inutile, perché si ritorce contro di loro in una natura che sempre li inghiotte. E alla fine ne esce vincente, paradossalmente, proprio l’immobilismo, rappresentato dalla Russia, che diventa metafora dell’inferno senza speranza, ma anche fonte di unica saggezza. Messaggio ambiguo, non certo ben visto dai diretti interessati al vertice, ma comunque sopportabile e, perché no, con una eventuale produttiva eterogenesi dei fini.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati