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Solaris

Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Solaris

di vermeverde
9 stelle

“Solaris”, uscito nel 1972, è stato girato da Andrej Tarkovskij ed è tratto da un romanzo del polacco Stanislaw Lem che il regista ha usato come spunto narrativo per esprimere un suo proprio discorso. La trama racconta di uno psicologo, Kris Kelvin (impersonato da Donatas Banionis), inviato sulla stazione spaziale orbitante sul pianeta Solaris, costituito da un oceano di materia indefinita (forse vivente e pensante) che avrebbe il potere, se irradiato, di materializzare durante il sonno il ricordo di persone non più in vita con cui gli occupanti della stazione avevano un forte rapporto: queste materializzazioni, in tutto simili agli umani ma pressoché indistruttibili. Giunto sulla stazione ormai fatiscente vi trova i soli due occupanti rimasti, gli scienziati Snaut (Jüri Järvet) e Sartorius (Anatolij Solony?in), ognuno con il suo “ospite”; anche Kris si risveglia con accanto un “ospite”, la moglie Hari (Natalja Bondar?uk) suicidatasi anni prima, con la quale instaura un rapporto complesso …

La fantascienza per Tarkovskij è solo una cornice esteriore, funzionale per introdurre il soprannaturale ed esprimere con efficacia le problematiche a lui care ed è l’occasione per un viaggio dentro la psiche umana e per una confutazione della razionalità; nel film non si danno spiegazioni, ma l’interesse risiede soprattutto sugli interrogativi che pone: quanto più si cerca di capire, di spiegare, tanto più ci si allontana dalla verità.

Il film evidenzia una totale permeabilità fra la realtà effettiva e quella percepita ed elaborata dalle reti neurali del cervello come pensiero, memoria, desiderio, timore: non esiste una netta separazione fra ideazione e concretezza. Questa volatile ambivalenza si riflette sui rapporti interpersonali, su tutti l’amore, per cui ci si chiede in cosa consista, ovvero se si è amati autonomamente dall’altra persona o, piuttosto, dalla proiezione del nostro pensiero su di essa: Hari, infatti, ad un certo punto dice “…io sono voi: sono la vostra coscienza … io sto diventando un essere umano. Io ho una sensibilità come voi e soffro. Come voi.” Hari rivela di avere sentimenti anche più “umani” di una persona perché è un’emanazione dello spirito attraverso la memoria e non è appesantita dalla materia.

Analoga labilità pervade il desiderio di conoscenza: passato e presente, reale e immaginario sono fusi in modo indistinguibile; quanto più ci sforza di capire, di spiegare, tanto più ci si allontana dalla verità che può essere raggiunta non con il pensiero razionale ma con l’intuizione perché la nostra mente è in grado di comprendere (o crede di comprendere) soltanto sé stessa. Il regista fa dire a Snaut “… perché andiamo a frugare l’Universo quando non sappiamo niente di noi stessi?” e “Noi non vogliamo affatto conquistare il Cosmo. Noi vogliamo allargare la Terra alle sue dimensioni…. Ci troviamo nella sciocca posizione di chi anela una meta di cui ha paura e di cui non ha bisogno. L’uomo ha bisogno solo dell’uomo”.

Vedendo il film (nella versione integrale con sottotitoli) mi è venuto da pensare che Tarkovskij, come proiezione implicita delle problematiche esposte, abbia anche voluto affrontare il problema del rapporto dell’uomo con la divinità e, ovviamente non potendolo esplicitare in un film prodotto dallo Stato sovietico, lo abbia sottinteso nelle domande che si pongono i protagonisti. Sembrerebbe un riflesso dell’agnosticismo dei filosofi razionalisti per i quali sono stati gli uomini e creare Dio, la cui vera natura è inconoscibile, a loro immagine e somiglianza (per consolazione e giustificazione) e non viceversa.

Solaris, un vero capolavoro, è un film di pensiero e non di azione, non a caso negli arredi della dacia e nella biblioteca della stazione compaiono i busti di Platone e di Socrate. La macchina da presa, con il sottofondo del preludio corale di Bach e un fluido montaggio scruta personaggi, luoghi, oggetti, situazioni con ampi movimenti, lenti ma efficaci nel creare un’atmosfera di austera solennità. Unica imperfezione mi è parsa la recitazione di Donatas Banionis, un po’ monocorde e non molto espressiva, mentre ho trovato ottima quella di Natalja Bondar?uk , soprattutto, e di Jüri Järvet.

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