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Il sogno del maratoneta

Regia di Leone Pompucci vedi scheda film

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La recensione su Il sogno del maratoneta

di mm40
2 stelle

Storia di Dorando Pietri, nato in una famiglia contadina nelle campagne emiliane alla fine dell'Ottocento e cresciuto con un'incredibile passione per la corsa. Pur senza grandi mezzi e mantendo sempre un profilo amatoriale, Pietri riuscirà a realizzare il suo sogno: partecipare alla maratona delle Olimpiadi (Londra, 1908). Farà persino di più: la vincerà; ma un cavillo nelle regole della corsa lo farà squalificare.

 

Diligente lavoro di Leone Pompucci, talento cinematografico degli anni Novanta (Mille bolle blu, Il grande botto) ripiegatosi con il nuovo millennio sulle fiction televisive, a partire da Don Matteo. Oltre all'aggettivo in apertura, però, è difficile trovare termini positivi per questa 'miniserie tv' (così vengono denominati tali lavori in quest'epoca) suddivisa come da prassi in due puntate da circa cento minuti ciascuna per la messa in onda in duplice prima serata. La vita di Dorando Pietri viene rievocata con i consueti toni favolistici delle produzioni televisive - qui siamo sulla sponda Rai - e le pagine di partenza de Il sogno del maratoneta. Il romanzo di Dorando Pietri (a firma Giuseppe Pederiali) sono state trasformate in un'ancor più fantasiosa sceneggiatura da un team composto da Roberto Iannone, Grazia Giardiello, Gualtiero Rosella e Pietro Calderoni. Per dirne una: vista la destinazione, non può mancare la storia d'amore contrastato a fare da sfondo alle vicende del protagonista; il fatto poi di inserire come coprotagonista Laura Chiatti - nome di richiamo, ma attrice non impeccabile - e di farle elargire qualche secondo di nudo qua e là, pare semplicemente un pretesto subdolo per acchiappare un po' di audience in più. A dire il vero anche il protagonista Luigi Lo Cascio sembra in difficoltà qua e là, costretto in un ruolo stilizzato e di scarsissimo respiro, come d'altronde tutti i personaggi del film; e nonostante lo sfoggio di qualche buon nome (Alessandro Haber, Pippo Delbono) e di altri apprezzabili (Thomas Trabacchi, Andy Luotto), il lavoro non riesce mai a decollare, a emanciparsi dalla sua confezione 'televisiva'. Buona, per essere tale, ma sempre televisiva, fasulla, approssimativa, con una fotografia (Marco Pieroni) decorativa e musiche (Carlo Crivelli) perennemente pompose. 2,5/10.

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