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Manglehorn

Regia di David Gordon Green vedi scheda film

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La recensione su Manglehorn

di logos
8 stelle

Il sig. Mangelhorn è un uomo anziano, completamente schiacciato da un passato che continuamente rimpiange, in particolare l’amore giovanile per una certa Clara, a cui resta legato in modo ossessivo nella sua solitudine, senza più potere o voler dare un senso al presente, fatto di un mondo privo di sostanzialità, agonizzante come lo è la stessa esistenza di Mangelhorm, fabbricante di chiavi, che si conduce in un modo volutamente chiuso a qualunque possibilità di riscatto.

 

Tuttavia ci sono dei fili che legano Mangelhorn ancora a questo mondo: la sua gattina e la sua nipotina. In più l’attrazione che suscita in un’impiegata. Per il resto le cose non vanno bene: il rapporto con il figlio è un disastro, perché entrambi hanno una visione del mondo completamente diversa, il figlio votato alla cieca intraprendenza speculatrice, il padre inchiodato nel passato con Clara, e ben consapevole che qualunque intraprendenza è un’ipocrisia.

 

A un certo punto abbiamo una svolta: il fabbricante di chiavi troverà una chiave invisibile datagli da un mimo per riaprirsi al mondo, ma è pur sempre un’invisibilità mimetica, non già un ritrovato legame solidale con la realtà vivente.

 

Al Pacino come sempre è un grande. Riesce a calarsi nella parte di Mangelhorn con notevole energia interpretativa introspettiva, senza mai debordare, tenendosi sul limite, per superarlo quel tanto che basta ma per rispettarlo e per rendere il personaggio ancora più credibile. Da non dimenticare poi le scene incredibili, come quella dell’incidente a catena, o la parete tappezzata di tutte le lettere scritte a Clara rispedite al mittente. David Gordon Green dà un film di regia, in cui si sente palpitare la doppiezza dell’esistenza, nelle sue chiusure ma anche aperture, perché Mangelhorn non è soltanto un misantropo, ma anche un uomo la cui normalità è attraversata da piccole scintille rabbiose e gioiose verso l’ulteriorità. Tutto ciò che è passato (Clara), non più vivente, in Mangelhorn, viene celebrato nella sua fissità monumentale, e in fondo, in questo modo, è come se venisse riscattato dalla morte; ma il vivente, il Mangelhorn del presente, che nel frattempo passa e consuma la vita per vivere, si porta la morte dentro, che continua ad allargarsi, perciò vivendo, non solo non è riscattato dalla morte, ma è come se morisse. Ma proprio attraverso questa morte che si vive addosso, in inevitabili ambiguità ben colte e non ascrivibili a errori di scrittura,  Mangelhorn si riapre al possibile, senza dimenticare che le porte comunque, proprio perché si aprono, si devono chiudere, e viceversa… L'importante non perdere la chiave, soprattutto perchè invisibile...

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